sabato 15 dicembre 2012

L’itinerario di don Pasqualino prete frattese

Pasquale Costanzo acque a Frattamaggiore, provincia di Napoli, in diocesi di Aversa il 12 febbraio 1922 ed ivi morì nel clima natalizio del 23 dicembre 1991. Trascorse la fanciullezza nel quartiere natio di San Rocco educato ai buoni valori della famiglia e sviluppando la vocazione religiosa alle catechesi parrocchiali del servo di Dio don Salvatore Vitale. Adolescente fu accolto nel seminario di Aversa, ove era rettore il suo parroco don Nicola Capasso, che divenne poi Vescovo di Acerra. Compì gli studi filosofici e teologici al seminario di Salerno, ove visse i tempi drammatici della seconda guerra mondiale. Fu ordinato sacerdote il 17 giugno 1945 dal vescovo Antonio Teutonico.
Fu sacerdote esemplare, grande educatore e guida spirituale di aggregazioni giovanili (seminario, scout, azione cattolica, studenti medi) e di istituti religiosi (Annunziata di Aversa e Ritiro delle donzelle di Frattamaggiore). Fu canonico di San Sossio e presidente della Congrega del clero frattese, cappellano e collaboratore di varie chiese locali; soprattutto della chiesa di San Rocco.
Dal terremoto del 1980, a partire dall’intervento diretto operato in collaborazione con la diocesi e con il parroco don Giuseppe Ratto, ed insieme con il diacono don Ferdinando Ambrosio a favore delle popolazioni disastrate dell’Irpinia, la carità operante ed eroica fu il campo privilegiato del suo apostolato. La sua vita sacerdotale si intrecciò fortemente con il sentimento del poeta-scrittore e con la passione antropologica dello storico delle tradizioni del suo paese. Ha lasciato molte opere scritte ed un fondo alla Biblioteca Comunale. Frattamaggiore lo ritiene tra i suoi uomini illustri.
La sua anima sacerdotale traspariva anche nelle analisi ‘laiche’ che egli svolse intorno alla storia locale, ai costumi e alle tradizioni della sua città. Il sentimento che egli richiamò come motivazione del suo impegno di studioso fu sempre quello della gratitudine per il luogo che lo aveva visto nascere: il luogo della madre e del padre che lo avevano chiamato alla vita terrena. Verso quel luogo ritornava con sacra nostalgia quando era lontano, come negli anni del seminario, e quando meditava nella vita quotidiana con la preghiera, con la poesia e con la ricerca storica; come uomo di Dio, come pensatore e come educatore. Era per lui un luogo dell’anima: un simbolo che trasponeva e rendeva presente nell’arte del presepe e nella partecipazione emotiva alle auree del Natale.
Il concetto che egli amava, e che utilizzava per esprimere l’intimo rapporto con i luoghi del suo paese, era itinerario: un cammino svolto in una sorta di contemplazione operativa, lungo il quale egli recepiva il messaggio realmente significativo della storia e dei monumenti del suo paese. E questo messaggio egli lo riproponeva ai suoi concittadini, e ai giovani, con i significati e con gli orientamenti della guida d’anima e della sua esperta esegesi. In questo modo egli guidava chi lo leggeva e lo ascoltava, e chi con lui serenamente dialogava, soprattutto i giovani, su un cammino etico e religioso alla ricerca della verità e verso la scoperta di una paideia basata sul valore della dignità della persona vissuta nei legami più alti con la comunità e con la storia del proprio paese.
Presento una sua poesia sul Natale.


mercoledì 12 dicembre 2012

Dialogo in real time con Benedetto XVI


Le aree della umana comunicazione sono complesse e non univoche; talvolta aperte e liberamente percorribili; altre volte esclusive ed inabbordabili. Simboli e valori s'incontrano, linguaggi e pensieri si confrontano; a volte ci si riconosce, ci si accoglie; spesso ci s'ignora o ci si respinge.
Sempre si vuole comunque parlare, anche con il silenzio, con parole vere o con parole vane. Il mondo va come si dice, come dice una massima antica. E allora dicendo sempre parole di bene, prima o poi il mondo potrebbe andare veramente bene. Potrebbe essere un'intenzione progettuale.
La presenza di Benedetto XVI con un profilo sul social network, twitter, che utilizza la comunicazione essenziale e stringata in un numero di caratteri che impongono sintesi e chiarezza e ricostruzione di un discorso globale con frammenti di pensieri che si rincorrono e si interpellano, è un avvenimento ricco di significato. Il papa dice parole vere, utili a disvelare all'uomo il suo mistero ed il suo sentimento; dice parole della Chiesa maestra di umanità tra i fraseggi variegati che circolano nella rete, dei politici, delle star, dei giornalisti, dei diplomatici, dei monsignori, dei giovani, delle donne, di ricchi e di poveri, delle persone che vogliono semplicemente dire e sapere.
Egli dice parole che riguardano il Vangelo di Gesù Cristo comunicato con uno strumento attuale che può servire a molti per un approfondimento conoscitivo di Dio Padre, tramite le parole del Figlio e della sua Chiesa, e per ricevere stimoli spirituali ed ispirativi per narrare con il cielo, a volo d'uccello, la Sua gloria.

Dal commento recuperato da news.va leggiamo la prime cose dette dal papa con i suoi tweet:

Il primo tweet del Papa è stato ritwittato migliaia di volte già nei primissimi minuti dopo il lancio, mentre la notizia ha fatto il giro del mondo con breaking news dei principali media internazionali.
Poco dopo le 12, dunque, il Papa ha risposto alla prima domanda su come vivere l’Anno della fede nel nostro quotidiano. Quesito che gli era stato rivolto su Twitter attraverso #askpontifex. “Dialoga con Gesù nella preghiera – ha risposto il Papa - ascolta Gesù che ti parla nel Vangelo, incontra Gesù presente in chi ha bisogno”. Anche in questo caso, sono migliaia le persone che stanno riprendendo ed esprimendo il loro apprezzamento per il tweet del Papa. Quindi, intorno alle 15 ha risposto alla domanda: "Come vivere la fede in Gesù Cristo in un mondo senza speranza?". Nel tweet del Papa si legge: "Con la certezza che chi crede non è mai solo. Dio è la roccia sicura su cui costruire la vita e il suo amore è sempre fedele".

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Prologo francescano di spiritualità biblica


La Verna - San Francesco detta la Regola
Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, con tutta la loro forza ed amano il loro prossimo come se stessi, ed odiano il proprio corpo con i suoi vizi e peccati, e ricevono il corpo ed il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno degni frutti di penitenza: quanto mai sono felici questi e queste, facendo tali cose e perseverando in esse

E' l'esordio di San Francesco d'Assisi al prologo della Regola del terz'ordine francescano, ad esortazione dei fratelli e delle sorelle della penitenza. E' la via del bene e della fede che si contrappone alla via dei “ciechi che non riconoscono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo”.
Nel formulare la regola dei secolari Francesco opera lo spontaneo ragionamento del santo che si conforma a Cristo e al suo Vangelo e lo propone ai suoi discepoli come orientamento del cammino per la salvezza.
L'ispirazione biblica (Dt 30, 1-3) è decisa. Dare la regola è dare un comandamento, il primo e il più grande di tutti: l'amore totale per Dio; insieme con l'altro che gli è simile: l'amore del prossimo come di se stessi. Allo stesso modo l'ispirazione del salmo (Sal 1, 1-3) delle due vie è luminosa:

Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere.

Impegnativa è l'ispirazione della conversione, il monito ancorchè biblico del Battista: “preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Lc 3,4). E appare sul cammino della santità evangelica, che Francesco ha mostrato con la regola ai frati e alle sore penitenti, luminosa, la conferma di Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv. 14, 6).

Il Prologo della Regola dell'Ordine Francescano Secolare è una esortazione di San Francesco rivolta “ai fratelli e alle sorelle della penitenza” con argomentazioni incoraggianti per “quelli che fanno penitenza” e con argomentazioni scoraggianti per “quelli che non fanno penitenza”. Nello stile semplice ed efficace della devota pedagogia comunitaria ed ecclesiale che ha nella Didachè, l'anonimo insegnamento apostolico dei primi secoli, un sorprendente modello di riferimento spirituale. 
Ecco l'esordio della Didachè

“Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie. Ora questa è la via della vita: innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri”. 

domenica 2 dicembre 2012

Il Pellegrinaggio Lauretano nella diocesi di Aversa


La pratica devozionale dei luoghi mariani, molto diffusa nella diocesi di Aversa nell’età medievale, si arricchì di nuovi e diversificati segni spirituali, artistici e costruttivi, nell’epoca post-tridentina. Per l’esemplificazione di questa nuova dinamica nella diocesi aversana, una particolare menzione merita il sacello lauretano, costruito nel transetto laterale della Cattedrale di Aversa.

Il sacello lauretano è in pratica una ricostruzione, in scala ridotta, della Santa Casa di Nazareth che si visita nel santuario marchigiano di Loreto.
Il vescovo aversano Carlo I Carafa (1616-1644: epoca dell’episcopato), fu nunzio apostolico in Germania per oltre sette anni. Di ritorno alla sede di Aversa, che amò con particolare intensità, egli ebbe occasione di vivere l'esperienza del pellegrino a Loreto e volle condividerla con la sua chiesa particolare. Fece costruire la copia monumentale in scala fedele della Casa del santuario che lo aveva profondamente commosso.
Sacratissimae Dei Matri Virgini Carolus Episcopus Aversanus in humilissimam gratiarum actionem: è la dedica a Maria impressa sul suo libro pubblicato in Aversa nel 1630 a resoconto e a divulgazione del suo lavoro di diplomatico al servizio della Chiesa: Commentaria de Germania Sacra Restaurata...
L'anno della stampa è lo stesso della costruzione del sacello lauretano in cattedrale e si rafforza la testimonianza dell'umile e sentita devozione mariana del vescovo Carlo Carafa che a Maria volle dedicare la sua opera ed il suo ministero, come volle che fosse posta ai piedi del monumento mariano aversano la sepoltura delle sue spoglie mortali.
L'iniziativa del vescovo Carafa ebbe significati prestigiosi e devozionali, legandosi alla concessione dell’indulgenza plenaria; ed il modello aversano della casa di Nazareth fin dal '600 è stato fortemente legato alla spiritualità mariana in Diocesi.
Ancora oggi, dal 21 novembre al 10 dicembre si celebra il Giubileo Lauretano in onore della Vergine di Loreto compatrona con San Paolo apostolo della diocesi. In questa occasione un centinaio di comunità parrocchiali e migliaia di fedeli appartenenti alle diverse zone pastorali del territorio si recano in pellegrinaggio alla cattedrale per rinnovare il rito antico e per lucrare l'indulgenza plenaria. Tutte le componenti di tutte le età e di tutte le esperienze diocesane si ritrovano in preghiera nel duomo normanno vivendo insieme con il vescovo momenti importanti e ricordevoli della propria fede e della propria appartenenza ecclesiale. I giovani, gli anziani, i seminaristi, il clero, i religiosi e i laici fraternizzano raccogliendo i frutti devoti del sacro pellegrinaggio mariano e proponendo impegni entusiastici nella testimonianza della fede. Il dialogo e l'incontro del pellegrinaggio annuale sono in questo modo occasioni di novità e di un rivedersi tra amici e conoscenti. Prevalgono sorrisi speranze e narrazioni di percorsi e di progetti, di situazioni memorabili da condividere.
Tutti i vescovi e fedeli aversani hanno nei secoli rivolto alla Vergine Lauretana un segno della loro devozione, una preghiera speciale, una cappella musicale, opere di carità, una ricerca orante della sua materna protezione nelle varie circostanze ed attualità della vita.
Il vescovo Angelo Spinillo ultimamente ha scritto per i pellegrini al sacello laureatano di Aversa questa ultima preghiera. 

  

lunedì 1 ottobre 2012

Il Convegno di apertura dell'Anno Pastorale in Diocesi di Aversa


Il Convegno di apertura del nuovo Anno Pastorale 2012-13 nella Diocesi di Aversa si è svolto secondo l'agenda prevista, intensamente vissuto e frequentato nei suoi vari momenti dall'accoglienza ai Vespri conclusivi.
Momenti caratterizzanti della comunicazione, svolta nella serata di venerdì 28 Settembre 2012 in Cattedrale, sono stati quello dell'Introduzione del vescovo ordinario mons. Angelo Spinillo, quello della Presentazione dell'Icona del Convegno fatta da d. Stanislao Capone sacerdote diocesano, e quello della Relazione del vescovo ospite mons. Giovanni D'Ercole ausiliario dell'Aquila.
L'orizzonte spirituale dell'Anno della Fede indetto da papa Benedetto XVI con il Motu proprio Porta Fidei ha fornito la chiave di lettura pastorale e teologica-ispirativa per i tre interventi centrali del Convegno.

Il vescovo Spinillo ha voluto assimilare l'attività del Convegno ad un evento festoso per la Comunità ecclesiale diocesana con forte valenza di coinvolgimento personale. Un coinvolgimento che si opera per il consolidamento della conoscenza dei contenuti della fede e per la testimonianza dei credenti che procedono sulla strada del Vangelo. Egli ha operato una disamina delle attività ufficiali e degli eventi recenti che hanno impegnato la vita e la riflessione della Diocesi. Ha fatto riferimento all'operatività delle Comunicazioni Sociali, alla vita del Seminario, alle esperienze parrocchiali ed associative, alle gravi problematiche ambientali del territorio. Ha indicato nello sprone pastorale di Benedetto XVI, riguardante la riscoperta della bellezza della fede, lo stimolo ad impegnarsi nella testimonianza delle virtù cristiane, della Fede della Speranza e della Carità, per vivere nel vincolo spirituale della salvezza, nella preghiera allo Spirito Santo, l'esperienza comunitaria del credere in Cristo come Maria e secondo l'esempio dei Santi. Ha poi descritto i 4 momenti dell'anno pastorale che si collegano alla riflessione sui 4 articoli della professione della Fede: Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e la Chiesa.

D. Stanislao ha descritto i significati simbolici e teologici dell'icona (una delle 7 porte della Cattedrale di Aversa) scelta per rappresentare, con il linguaggio dell'arte, le tematiche del convegno nello spirito della riscoperta della bellezza della fede.

Mons. Giovanni D'Ercole ha voluto svolgere la relazione sul tema 'Io credo in Dio Padre' con “umiltà e cuore”. Ha immediatamente esordito con l'affermazione dell'Amore del Padre che dona vita e senso della vita all'uomo: “Noi siamo solo se Dio ci ama”.
L'Anno della Fede improntato alla Porta fidei ricavata da Benedetto XVI dalla lettura degli Atti degli Apostoli (At 14,27), porta d. Giovanni a considerare la Porta come una Relazione che si ristabilisce tra il credente e Dio in un tempo che è caratterizzato da “crisi di relazioni” e da “difficoltà” che si verificano ai vari livelli della vita contemporanea. Crisi e difficoltà nei linguaggi, nelle aspettative, nei comportamenti, che danno le sensazioni dell'essere abbandonati. “Ma Dio c'è! Dio non ci abbandona”: le parole di d. Giovanni irrompono come ad illuminare le coscienze e a salvare da una particolare crisi: “la crisi dei padri”, “la crisi tra le generazioni” che nel mondo che cambia, nel 'piccolo villaggio' della società occidentale, si esprime con “la difficoltà a far sentire padre un padre di figli”. Egli ha così scoperto “l'importanza del Vecchio”, la risposta a “che cosa è il Padre?”: “Egli è colui che ti ascolta!”.
Mettersi quindi “in ascolto sacerdotale” è l'atteggiamento più giusto per fare l'esperienza del Padre.
Con queste premesse emozionali il discorrere di Mons. D'Ercole assume andamenti molteplici. Un andamento storico-patristico con il riferimento ai tempi di Agostino che difronte ai “barbari distruttori” forte della sua fede in Dio dice: “non vedo un mondo che crepa ma sto vedendo già un mondo che nasce”.
Un andamento antropologico con il riferimento ai significati di ideogrammi cinesi che significano insieme individualità ed opportunità relazionale.
Un andamento mistico con il riferimento all'esperienza dell' ”avere Dio” di Santa Teresa e alla riflessione di Gandi sul Cristianesimo.
Un andamento socio-pedagogico con il riferimento ai linguaggi giovanili dei “nativi digitali” che spingono gli “arcaici digitali”, ed egli stesso è uno di questi, ad usare le opportunità della rete per ascoltare e dialogare sulla fede con i giovani.
Ed allora si riscopre la bellezza antica della fede, quella legata alla gioia dell'annuncio del Vangelo, “la bellezza di comunicare la fede con gioia”. Si comprende il pensiero di Thomas Merton, il giornalista divenuto monaco trappista, circa “la luce del Vangelo” che “non sta nel convincere ma nel comunicare”.
Nel dialogo con l'assemblea le argomentazioni di Mons. D'Ercole sulla fede in Dio assumono anche un carattere squisitamente catechetico ed abbondano così di edificanti esempi e di belle narrazioni di esperienze di vita.
Non mancano infine i suoi consigli pastorali per realizzare ai livelli parrocchiali iniziative adatte a rendere significativo l'anno della fede in diocesi. 

Il breve dibattito che è seguito con l'assemblea è stato iniziato con una domanda del Vicario Generale d. Francesco Picone che ha riguardato la forza che spinge il vescovo Giovanni D'Ercole ad essere comunicatore instancabile. "Anche nelle difficoltà so che sto annunciando il Vangelo" è stata la risposta. 


sabato 22 settembre 2012

Benedetto Croce e il silenzio riverente per i simboli religiosi


I simboli sono quelli del cristianesimo ma la valenza del silenzio riverente si può sicuramente estendere per le altre religioni. Ci inoltriamo così nel tema dell'mportanza della considerazione doverosamente rispettosa dei simboli e delle fedi religiose, nel tempo particolare, come quello di questi giorni, degli scontrosi avvenimenti internazionali causati dallo stridore tra le idealità religiose delle folle islamiche e talune mene libertarie di media che trattano in prospettiva dislocata, non antropologica non dialogale e non teologica, i simboli religiosi. In questo senso non appare peregrino il contributo del ragionamento storiografico che ci viene offerto da Benedetto Croce circa il pudore degli antichi liberi pensatori che mai si sarebbero arrischiati di parlare 'a spiovere' su Gesù e sul cristianesimo. Dal suo ragionamento, sicuramente datato e collocato, si possono trarre insegnamento e indicazioni costruttive utili per la comprensione e per la necessaria pacificazione ideologica degli avvenimenti preoccupanti di oggi.

Le parole del filosofo della libertà:

“Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo.”
Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano le epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate.
[...]
E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana.
[...]
La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità. Gli uomini, i genı, gli eroi, che furono innanzi al cristianesimo, compierono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accumula e affratella
[...]
La continua e violenta polemica antichiesastica, che percorre i secoli dell’eta` moderna, si e` sempre arrestata e ha taciuto riverente al ricordo della persona di Gesù, sentendo che l’offesa a lui sarebbe stata offesa a sè medesima, alle ragioni del suo ideale, al cuore del suo cuore. Perfino qualche poeta, il quale, per la licenza che ai poeti si concede di atteggiare fantasticamente in simboli e metafore gli ideali e i controideali a seconda dei moti della loro passione, travide in Gesu` – in Gesù che amò e volle la letizia - un negatore della gioia e un diffonditore di tristezza, finì col dare la palinodia del suo primo detto, come accadde al tedesco Goethe e all’italiano Carducci.
[...]
La spensierata gaiezza e la celia, che pareva innocente dovunque si rivolgesse e si versasse, su qualsiasi fatto o personaggio glorioso della storia o della poesia, non è sembrata innocente e non è stata mai permessa intorno alla figura di Gesù, che anche si è ripugnato costantemente a portare sulle scene dei teatri, salvochè nella ingenuità delle medievali sacre rappresentazioni e delle loro sopravvivenze popolari, alle quali la Chiesa stessa è stata indulgente o che essa stessa ha promosse."

(B. Croce, Perchè non possiamo non dirci cristiani, Bari 1944)

domenica 15 luglio 2012

Icona frattese della Madonna del Carmelo


Alla triennale arsura che colpì verso il IX secolo a. C. il territorio della Palestina pose fine una 'nuvoletta come una mano d'uomo' avvistata in lontananza sul Mediterraneo di fronte al Monte Carmelo. Il profeta Elia aveva fatto scalare per ben sette volte quel monte della Galilea ad un suo giovane discepolo, prima di ottenere l'annuncio della desiderata pioggia. Quel monte divenne sacro agli antichi eremiti, e in epoca paleocristiana vi fu fondata una chiesa mariana. I fratelli della Madonna del Monte Carmelo, sorti al tempo delle crociate e cresciuti di numero nel XIII secolo ottennero l'approvazione di una Regola da papa Onofrio III. Dopo la caduta della roccaforte di San Giovanni D'Acri ad opera dei musulmani e dopo il martirio dei frati rimasti sul monte, l'ordine dei Carmelitani si diffuse in Europa ed ebbe tra le sue fila un santo frate inglese, Simone Stock, al quale apparve direttamente la Beata Vergine del Monte Carmelo nel 1251, e a lui che era stato eletto Generale dell'ordine diede l'incarico di diffondere lo Scapolare per la protezione e la salvezza dell'anima dei suoi devoti. La Vergine offrì al suo servo l'abito simbolico e distintivo con una promessa:

"Ricevi, figlio dilettissimo, lo Scapolare del tuo Ordine, segno della mia fraterna amicizia, privilegio per te e per tutti i carmelitani. Coloro che moriranno rivestiti di questo Scapolare non andranno nel fuoco dell'Inferno. Esso è un segno di salvezza, protezione e sostegno nei pericoli e di alleanza di pace per sempre".

La devozione alla Vergine 'bruna' è documentata in Frattamaggiore già nel XIV secolo con una cappella nella chiesa complateare di san Nicola un tempo prospiciente la piazza ove s'innalza ancora il più antico tempio patronale di san Sossio martire. Si tratta per questa devozione di un legame storico allacciato nel periodo angioino con quella napoletana del Santuario del Carmine Maggiore tenuto dai Padri Carmelitani. Con il santuario napoletano è anche condivisa la leggenda d'origine della chiesa primordiale dedicata a san Nicola, che a Frattamaggiore è documentata nel XIII secolo dalla Ratio Decimarum della diocesi di Aversa. La devozione della 'Madonna del Carmine' risulta presente in Frattamaggiore anche con una congrega laicale, in una cappella rurale quattrocentesca ora scomparsa ed in edicole urbane del '500 e del '600.
La grande trasformazione urbana del paese, che negli ultimi 60 anni ha perso le connotazioni antiche dell'ambiente rurale, sta all'origine della dispersione di molti antichi simboli della religiosità e della devozione popolare.
La chiesa un tempo centrale dedicata a san Nicola e alla Beata Vergine del Carmelo, e dal '700 anche a san Ciro, si ritrova oggi a causa di questa trasformazione ad essere edificata in forme architettoniche contemporanee in un quartiere periferico della città.
Una sorte negativa è toccata ad una bella e significativa edicola databile al '600, dedicata alla Beata Vergine del Monte Carmelo, effigiata in un decoroso affresco, situata in un vicolo antico sul muro di un fabbricato e posta in alto rispetto allo sguardo dei passanti devoti.
L'edicola è scomparsa con l'abbattimento del vecchio edificio che ha lasciato il posto ad una nuova costruzione. L'affresco non esiste più, ma mi è stato possibile realizzare una sua 'restituzione visiva' al patrimonio artistico-devozionale locale grazie alla bella abitudine che ho di documentare con la fotografia luoghi e fatti della storia del mio paese. Grazie alla documentazione fotografica si può effettuare un'interessante analisi iconologica dell'affresco scomparso.
La Beata Vergine del Monte Carmelo è raffigurata nella veste dei colori dell'ordine carmelitano ed ha il Bambino sul ginocchio sinistro. Due angioletti svolazzanti la incoronano Regina ed ai suoi piedi stanno ritti due santi importanti della tradizione religiosa frattese: alla destra San Rocco patrono nella peste con accanto il cane di Gottardo, e alla sinistra San Sossio patrono della città. Tra i due Santi in basso si ritrovano le fiamme che avvolgono alcune anime che impetrano la grazia di essere liberate dal Purgatorio. La Madonna ed il Bambino ambedue offrono uno Scapolare ai due Santi: la Vergine lo offre a san Rocco e il Bambino lo offre a san Sossio in un gesto di carità che lascia intendere l'offerta dello strumento di salvezza anche alle anime del purgatorio.
Nell'icona si ravvedono la simbolica devozionale dello Scapolare carmelitano e la tradizionale venerazione per la Beata Vergine del Monte Carmelo. La simbolica e la venerazione sono altresì collocate con precisione nel particolare contesto storico-culturale frattese del '600. Il culto delle anime del Purgatorio è connesso con gli avvenimenti tragici della peste del 1657 che a Fratta fece moltissimi morti. Il ricorso alla Vergine del Carmelo fu spontaneo ed immediato: nella chiesa a lei dedicata furono sepolti molti dei cadaveri. Il ricorso a san Rocco protettore nella peste fu anch'esso necessario, ed il santo fu raffigurato nell'affresco con la stessa caratteristica veste principesca della statua fatta costruire dai devoti a metà '600 ed ancora posta sull'altare maggiore della parrocchiale a lui dedicata. Il san Sossio martire dell'icona fotografata, effigiato in veste diaconale con la dalmatica rossa, ricalca lo stile e le forme del santo patrono della città che è rappresentato allo stesso modo sia nella iconografia ecclesiale e sia in quella popolare del '600.
L'icona recuperata appare così un documento importante della storia e della religiosità frattese. Ho voluto dare una giusta collocazione a questo documento. Mi è apparso necessario far realizzare nella tipografia amica dei fratelli Capone di Acerra una foto-poster dell'icona (100x70 cm) e poi 'restituirla' come un quadro a don Michele Costanzo parroco dell'attuale chiesa frattese dedicata alla Beata Vergine del Monte Carmelo e a San Ciro, chiesa che è l'erede diretta di quella antica di fondazione medievale che esisteva al centro della città.
Il dolcissimo sguardo della Vergine effigiata continuerà così a consolare e a rivolgersi ai suoi devoti. Giusto in tempo anche per un mio personale omaggio alla Beata Vergine del Monte Carmelo in occasione della festa liturgica di quest'anno, e in onore anche dell'onomastico di mio padre buonanima che ogni giorno passava per il vicolo antico e faceva suo e nostro l'augurio della compagnia della Madonna sul cammino della vita. 

Grande devoto della Beata Vergine del Monte Carmelo fu anche il Beato Giovanni Paolo II che, in occasione del 750° della consegna dello Scapolare a San Simone Stock, il 25 Marzo del 2001 scrisse una lettera sulla devozione mariana all'Ordine Carmelitano. 

  

giovedì 12 luglio 2012

Tradizione e pellegrinaggio nella festa della seconda domenica di luglio a Pascarola


Mons. Sossio Rossi, rettore della Basilica Pontificia di San Sossio di Frattamaggiore, ha motivato la ricerca nell'Archivio della Basilica per trovare notizie riguardanti la tradizione della festa della seconda Domenica di Luglio a Pascarola. La comune appartenenza di Fratta e Caivano, di cui Pascarola è frazione, all'antica area atellana della diocesi di Aversa, è stato il punto di partenza della ricerca che ha analizzato i dati che si leggono nelle Rationes Decimarum delle Chiese e delle Cappelle del territorio tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo. Altri dati si evincono dalla notevole storiografia realizzata negli ultimi anni dalla Rassegna Storica dei Comuni – Istituto di Studi Atellani che ha messo a disposizione in rete l'intero archivio delle sue pubblicazioni di storia locale. Dalla Storia Ecclesiastica e dall'Archivio Diocesano di Aversa sono stati ricavati altri dati riguardanti la devotio medievale, le Santa Visite dei vescovi e il censimento storico delle chiese e cappelle della diocesi. Grazie a questa ricerca si è potuto stendere un'interessante relazione che funge anche da riferimento storico per una catechesi ecclesiale sulla festa a Pascarola comunicata dal monsignore. 

Nella Seconda Domenica di Luglio a Pascarola si realizza la festa di Sant'Antonio da Padova e con essa si celebra anche la devozione alla Madonna del Buon Consiglio, la cui effige per l'occasione viene portata in processione e solennemente intronizzata sull'altare maggiore della Chiesa patronale di San Giorgio martire.

La tradizione e la religiosità di un paese sono fatti importantissimi perchè esprimono tratti importanti della sua identità storica e culturale. La fede diviene catalizzatrice della memoria, della fatica e delle speranze di un popolo che procede con dignità e con valori etici antichi attraverso i cambiamenti e le criticità dei tempi moderni.
E così la festa della Seconda Domenica di Luglio, celebrata in una liturgia estemporanea (la Madonna del Buon Consiglio e Sant'Antonio si celebrano ufficialmente in aprile e giugno), diviene il simbolo di una devozione e di un comportamento che hanno motivi antichi e che si ripropongono oggi come segni della tradizione religiosa di un popolo che ha inteso santificare il duro lavoro dei campi e della mietitura nell'orizzonte della festa ricca e gioiosa di una memorabile domenica d'estate.
Lo fa sicuramente celebrando l'Eucaristia, il rendimento di grazie al Signore, e lo fa in particolare onorando la Madonna del Buon Consiglio e Sant'Antonio.

C'è sicuramente una ragione percui il popolo di Pascarola da vita a questa particolare modalità della festa. Provo a definire questa ragione con due dimensioni della devozione cristiana: quella del pellegrinaggio e quella tradizione trasmessa dai padri.

Vediamo il pellegrinaggio. Dagli Archivi della Basilica di San Sossio, in un libro del '500 si legge che era tradizione molto consolidata nel popolo frattese quella di realizzare per un'intera giornata di primavera un pellegrinaggio per i luoghi religiosi e le cappelle degli antichi casali e delle campagne che facevano parte dell'area atellana della Diocesi di Aversa. Il pellegrinaggio si svolgeva a partire da San Sossio e toccava la chiesa di San Biagio a Cardito, poi il Convento dei Cappuccini e la chiesa di Santa Maria di Campiglione (tenuta dai Domenicani e poi dai Carmelitani) a Caivano; si procedeva per le cappelle della campagna di Pascarola e di Crispano; si ritornava per la chiesa di San Maurizio a Frattaminore e per il Monastero degli Agostiniani di Pardinola. Come si vede si tratta di un tipo di pellegrinaggio che può essere inquadrato tra quelli che si sono da secoli realizzati nelle aree rurali napoletane e campane, come quello della Madonna dell'Arco e dello stesso Sant'Antonio d'Afragola, che si svolgono avendo per meta santuari e monasteri.
Pascarola si trova all'apice di un itinerario religioso che può prendere sia la direzione del cammino di san Michele Arcangelo (Maddaloni, Gualdo San'Arcangelo, Pascarola, Casapozzano), sia la direzione del cammino di Sant'Antonio (Pascarola, Caivano, Carditello, Fratta, Afragola).
La devozione di Pascarola a Sant'Antonio sicuramente s'inquadra nello spirito del pellegrinaggio rurale che trova una sede importante nella chiesa locale ed un importante riverbero foraniale.
Per la Madonna del Buon Consiglio, venerata a Genazzano nel Lazio, vale la forza di una devozione mariana che dal XV secolo è estesa su scala interregionale e che si integra e si alterna con la devozione ai titoli locali della Madonna. Sicuramente nell'area della diocesi di Aversa un punto di partenza, tra fine del '700 e inizio dell'800, della diffusione della devozione alla Madonna del Buon Consiglio lo si trova nell'opera dei Prelati di casa Lupoli a Frattamaggiore i quali istituirono l'opera del Ritiro e fondarono la Chiesa dedicata alla Madonna che essi appresero a venerare nei collegi laziali redentoristi della diocesi di Veroli. All'inizio dell'800 la devozione al Buon Consiglio era diffusa in tutte le chiese di Fratta, e fu portata dal giovane beato Modestino di Gesù e Maria anche nell'area dei conventi francescani napoletani. Oggi la devozione campana ha il suo punto di riferimento principale nella Basilica di Capodimonte, ed è presente in molte chiese e cappelle della diocesi di Aversa, tra queste anche quella di Pascarola.

Vediamo la tradizione trasmessa dai padri. La storiografia diocesana che analizza i documenti delle Rationes Decimarum, ci riferisce che in Pascarola nel XIV secolo esisteva una Cappella dedicata a Santa Maria che aveva una funzione vicaria rispetto alla principale Ecclesia di San Giorgio; dopo qualche decennio la situazione si presentava ribaltata: la Cappella era quella di San Giorgio e la Ecclesia era quella di Santa Maria. Si tratta di patronati medievali che vengono poi ridefiniti nel corso del tempo e soprattutto durante la formazione delle Parrocchie e delle Cappellanie stabilite dal Concilio di Trento. Pascarola consolidò così il patronato della chiesa parrocchiale di San Giorgio. La questione ci viene ben presentata dal canonico Francesco Di Virgilio che analizzò le Sante Visite dei Vescovi del '500 e del '600 e negli anni '90 del secolo scorso pubblicò in due tomi il censimento storico di tutte le chiese della diocesi di Aversa.
Secondo il canonico aversano la Chiesa antica di San Giorgio aveva una ubicazione diversa da quella attuale che sarebbe sorta sul luogo ove nel 1943 fu abbattuta un'altra antica cappella pericolante.
La lezione dei padri ci segnala così l'onore di un patronato antico scomparso, che almeno la seconda domenica di Luglio viene ricordato e celebrato con l'effige della Madonna sull'Altare Maggiore.

Dal pellegrinaggio e dalla devozione tradizionale dei padri ricaviamo due insegnamenti per la nostra vita cristiana di oggi. Il primo è quello di mettere sempre come meta del nostro percorso spirituale la santità che il Signore ci fa apprezzare nell'esempio di sant'Antonio che oggi Pascarola celebra per riempire delle grazie e dei doni del Signore la fatica dei campi e la letizia della festa.
Il secondo è quello di dare sempre un giusto peso alle tradizioni che i padri ci hanno tramandato per vivere, anche nelle difficoltà e nei mutamenti del presente, nello spirito della fede e dell'umiltà di Maria, le verità perenni della Parola nel Signore. 


mercoledì 4 luglio 2012

52° dell'ordinazione sacerdotale del vescovo Milano


Il 3 Luglio del 1960 Il giovane Mario Milano, in veste di Diacono stretto dalla sua Comunità, si avviò per essere ordinato Sacerdote. Sono 52 anni. Quel giorno egli lo rivede nel ricordo e nella consapevolezza della pienezza sacerdotale del Vescovo.
Allora la Santa Messa si celebrava ancora in latino e l'avvicinarsi all'altare del Signore era accompagnato dall' Introibo ad Altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam: Vado all'Altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.
Oggi, insieme con tutti i significati profondi dell'anniversario del sacerdozio, don Mario, padre Mario, S. E. l'arcivescovo Milano, celebra dunque un ricordo di giovinezza, di giovinezza perenne allietata e santificata dal Signore.
Mi piace annotare questo aspetto della giovinezza e della santificazione e collegarlo al vescovo Mario. Nella primavera del 1990, durante un pellegrinaggio a Montevergine, mi ritrovai a dialogare con una suora che parlava entusiasticamente del giovane vescovo che il papa aveva mandato a Sant'Angelo dei Lombardi, nell'Irpinia più profonda ancora ferita dal terremoto. Poi una mattina di qualche anno dopo, appena giunto ala sede di Aversa, lo incontrai a passeggiare in piazza San Pietro, giovanilmente elegante con il suo cappello borsalino in compagnia di don Francesco il suo giovane segretario.
Quel camminare per salire all'Altare del Signore che allieta la giovinezza e santifica le speranze dell'uomo credo che sia stato sempre presente nel suo cuore.

Sue parole: 
Dall’intima unione con Dio scaturisce la comunione come dono dello Spirito alla Sua Chiesa, come segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano. Quanto bisogno ci sia di comunione nella nostra Chiesa è noto a tutti. Tutti lamentiamo divisioni, lacerazioni, contrapposizioni, chiusure, mancanza di dialogo e di apertura. Non possiamo negare che è diffusa una cultura individualistica, che fa fatica ad aprirsi alla cultura comunionale promossa dal Vaticano II. Da quanto sono in mezzo a voi, sono impegnato a favorire in tutti i modi la comunione fraterna tra il clero, i religiosi ed i laici, promovendo incontri di studio, di lavoro, di preghiera e anche di gioiosa convivialità. Non c’è altra scuola di comunione, da cui si possa imparare la grande lezione dell’amore fraterno, che il Cuore di Cristo Signore sempre attento agli altri fino alla dimenticanza di sè. La stessa pietà Mariana, vissuta nella sua autenticità di scuola di spiritualità, ci aiuterà tanto a coltivare la vera comunione nella nostra Chiesa.
La Chiesa è santa perché partecipa della santità del Suo Signore, il solo Santo. Pur sperimentando infatti la triste realtà del peccato nei suoi membri perché comunità di peccatori, è chiamata tutta ad essere santa. È quanto ci ricorda il capitolo V della costituzione Conciliare “Lumen Gentium”. Tutti nella Chiesa sono chiamati ad essere santi secondo il proprio stato di vita ed i propri doni di grazia e di natura. Dobbiamo prendere ogni giorno coscienza dì questa chiamata divina alla santità, ogni giorno è dono di grazia che il Signore ci elargisce per realizzare il Suo disegno su di noi: la nostra santificazione”.


40° dell'ordinazione sacerdotale di don Armando Broccoletti


La sera del 1 Luglio 2012 nella chiesa di San Rocco di Frattamaggiore in diocesi di Aversa, il parroco don Armando Broccoletti ha celebrato il 40° dell'ordinazione sacerdotale. E' stato a lungo parroco della chiesa dello Spirito Santo di Casale di Principe, dal 1977 al 2000, prima di esserlo di San Rocco, ove ha portato l’esperienza di una lunga attività pastorale e comunitaria vissuta come testimonianza di fede e di vita cristiana in un contesto sociale e culturale caratteristico e complesso. Oggi egli è stato scelto dal vescovo Angelo Spinillo ad essere direttore della Caritas diocesana.
La celebrazione è iniziata con un fitto corteo di sacerdoti e ministri che ha accompaganto don Armando ed ha attraversato la chiesa stracolma di fedeli. All'inizio e alla conclusione della solenne liturgia, l'opera e la figura di don Armando sono state brevemente presentate dal lettore Enzo Vitale e dal sottoscritto. Don Armando è il prete della semplicità e della carità, tratti che si corroborano con la cultura rurale e comunitaria dell'ambiente d'origine; egli opera nel contesto della chiesa particolare della parrocchia e della diocesi e la sua fama è estesa anche negli ambiti della chiesa universale. Da questi ambiti gli sono pervenuti un elogio ed un saluto per l'occasione del 40°.
   L'elogio è quello che si legge in una lettera del 2009 del teologo calabrese Giovanni Mazzillo dall'Eremo delle Sarre. Con don Armando il teologo Mazzillo ha costituito un gruppo di amici formatosi tra il 1968 e il 1972 nel Seminario Teologico Interregionale 'San Luigi' di Posillipo. Un gruppo che periodicamente s'incontra ed annovera tra le sue file Giovanni D'Alise vescovo di Ariano Irpino; esso ha anche un riferimento in rete nel sito puntopace.net gestito dell'Eremo delle Sarre. Giovanni Mazzillo definisce l'incontro con la Comunità di San Rocco come una esperienza positiva e rigenerante:
Ero stato invitato da un mio collega di studi di teologia, don Armando Broccoletti (sì, il cognome vi farà sorridere, ma non è affatto consono alla persona di Armando, che con broccoli e derivati non centra proprio niente, visto che è volitivo, impegnato, amato dalla sua gente) e sono stato nella sua parrocchia di “San Rocco” a Frattamaggiore (provincia di Napoli), a guidare due incontri sulla teologia di San Paolo. Ci sono stato lunedì e martedì, organizzando e semplificando il materiale complesso e difficile del pensiero di San Paolo su Cristo e sulla Chiesa. Ho toccato con mano quanto sia importante e costruttivo il clima di comunità, di voglia di sapere di più e di capire di più. I partecipanti sono stati numerosi e attenti e mi hanno anche rivolto domande interessanti. Il clima di famiglia, dai rapporti semplici e diretti (siamo stati sempre invitati a pranzo e a cena, con un senso di grande accoglienza e ospitalità) mi ha riconfermato nel valore su uno stile di vita e di pastorale che va in questa direzione e che da parte nostra cerchiamo di seguire anche noi, con don Benjamin e gli altri della nostra comunità delle Sarre. A questa esperienza positiva e “rigenerante” si è aggiunta la gioia di aver rivisto e/o sentito alcuni colleghi più o meno nostri coetanei, tra i quali Pasquale Capasso, Fiorelmo, Carlo de Laurentis, Pasquale Gentile”.
   Il saluto è stato quello letto in una lettera dalla Nunziatura Apostolica di Bosnia- Erzegovina, datata la sera del 30 Giugno 2012, con la quale S. E. Alessandro D'Errico, che inizia proprio in questi giorni la sua nuova missione di Nunzio Apostolico in Croazia, si unisce al presbiterio aversano per ringraziare il Signore del dono del Sacerdozio di don Armando e per il bene dispensato in questi anni. 








domenica 17 giugno 2012

Amici dei poveri a convegno a Napoli


Sabato 16 Giugno 2012 alle ore 8.20 sono partito in bicicletta per Napoli. Alle ore 9.10 stavo già sull'atrio della basilica di San Lorenzo ove si teneva il Convegno Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri. Il titolo è una frase del beato papa Giovanni XXIII. E' stata una passeggiata di 15 chilometri tutti in pianura e discesa. Il Convegno è stato organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio in collaborazione con l'Arcidiocesi di Napoli e la Comunità Papa Giovanni XXIII, ed ha coinvolto oltre un centinaio di raggruppamenti 'amici dei poveri' provenienti da tutta l'Italia. Non son mancate testimonianze di confessioni e gruppi stranieri, in particolare gli ortodossi greci di Apostoli. L'amplissima chiesa gotica era gremitissima. Ho faticato un poco ad individuare tra la folla la collega Anastasia che, operante nell'ambito dei progetti napoletani della Comunità di Sant'Egidio, mi ha spesso proposto di partecipare a qualche incontro. Prima di intravederla, ho potuto scambiare qualche parola con il prete ortodosso seduto in prima fila, interprete dell'intervento previsto in greco, e ho potuto salutare l'amico Giorgio, prete della diocesi di Aversa e mio compaesano, impegnatissimo nell'assistenza al volontariato sociale e appassionato pure lui della bicicletta. La collega mi ha presentato ad Alfano, impegnato nella Caritas di Nola. Qualche foto prima dell'arrivo puntuale del cardinale Sepe e subito le parole del Convegno. Alcune le ho fissato sulla brochure ricevuta all'entrata, scaricabile in PDF.
Molto bella e significativa l'icona del convegno in stile 'paleocristiano': due fratelli, uno con l'albero rigoglioso e l'altro con l'albero impoverito, che condividono il cesto con i frutti colti dall'albero pieno.
Alcune parole della moderatrice Gabriella Pugliese sono per la chiesa dei francescani e per Napoli che ospita l'incontro: “una città segnata da profonde povertà ma allo stesso tempo capace di grandi slanci di generosità”.
Altre parole sono di Antonio di Donna, Vescovo ausiliare di Napoli, che riferisce lo spirito del Concilio Vaticano II a riguardo delle povertà, rileggendo il N. 8 della Lumen Gentium. Importante nella sua lettura critica e teologica il riporto del concetto di don Milani: “fare strada ai poveri, senza farsi strada”.
Le parole di Francesco Soddu, Direttore della Caritas nazionale, sono preliminarmente rivolte alle sette diocesi recentemente terremotate dell'Emilia e della Lombardia; poi esprimono l'opzione e i servizi che la Chiesa realizza per i poveri.
Le parole del cardinale Crescenzio Sepe appaiono ricche di riferimenti umani e teologici, intrecciate con la narrazione personale. Egli accoglie i convenuti come Città e come Chiesa, come Cittadino Onorario e come Vescovo. La sua comunicazione sulla realtà dei poveri è ricca di aspetti antropologici, cristologici, sacerdotali ed ecclesiologici. La sua verve accompagna verità e concetti profondi; anche con ironia, quando elenca i vescovi presenti quasi a rappresentare l'intera Conferenza Episcopale Campana da lui convocata sul tema delle povertà. Non manca il ricordo di Giovanni Paolo II, il suo “grande maestro” che invitava a “spalancare le porte a Cristo”, e le sue parole ispirate dal papa beato sono state : Questo è un tempo in cui tutto si chiude. Perciò, mentre tutto si chiude, la Chiesa deve aprire: aprire ogni giorno una nuova porta, che sia quella di una chiesa, di un centro di ascolto, di una casa che accoglie. Soprattutto deve aprire le porte del cuore. Solo così sarà possibile vincere anche battaglie impossibili. Chi è amico dei poveri è amico di Cristo e chi è amico dei poveri di Cristo, è amico della Chiesa. Ha salutato tutti con il solito “E 'a Maronna v'accumpagna.”
Le parole di Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant'Egidio, chiaro e profondo nel suo discorso di Storia ecclesiastica e di Storia contemporanea, nell'orizzonte dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, hanno viaggiato per la casistica, la statistica e la problematica delle povertà assolute e relative, descrivendo quadri storici ed attuali, evidenziando criticità e proponendo prospettive di servizio, di impegno e di speranza. L'esempio del francescanesimo, fare storia a partire dai poveri e vivere la gratuità sono stati i concetti chiave della sua relazione che è stata la fondamentale del Convegno. Alcune sue frasi:
Si può fare storia a partire dai poveri, perché c’è una forza attrattiva e diffusiva del bene. Ogni incontro con il povero suscita energie di amore, che non si trovano in una vita individualista ed egoista. La solidarietà con i poveri è una straordinaria energia di cambiamento”;
La gratuità libera l’uomo di oggi dal sentimento di estraneità all’altro, di paura e di diffidenza. Mostra la comunanza di destini ed indica un futuro assieme. Emancipa dalla solitudine delle proprie sofferenze e crea un sentimento più largo”.
Qualche minuto prima di mezzogiorno vi è stato un intervallo con uno stacco musicale. Ho avuto occasione di scambiare qualche parola con il cardinale Sepe e con Marco Impagliazzo sulla gratuità. Abbiamo ricordato che la gratuità ha un riferimento evangelico ed è anche il motto contenuto nello stemma del vescovo di Aversa mons. Angelo Spinillo: gratis accepistis, gratis date (Mt 10,8).
Sono ritornato a Fratta passando prima per le bancarelle di Port'Alba, dove ho acquistato qualche vecchio libro agiografico, e risalendo sotto un bel sole per la via della 'Doganella'.


Diocesi di Aversa: il Convegno conclusivo dell'anno pastorale 2011-2012


Con la preghiera dei Vespri in Cattedrale si è chiuso venerdì 8 giugno 2012 il Convegno conclusivo dell'anno pastorale 2011-2012. Il Convegno Pastorale Diocesano iniziale si era tenuto il 24 settembre 2011 nella chiesa abbaziale di san Lorenzo fuori le mura. Leggiamo dalla lettera del Vescovo Mons. Angelo Spinillo i significati, i momenti salienti e le iniziative avutisi nel corso dell'anno pastorale.

"L'anno pastorale 2011-2012 volge al termine. Per grazia di Dio lo abbiamo vissuto con intensità in tanti momenti caratterizzati da un sempre impegnato ed attento dialogo fraterno e formativo. Insieme ci siamo preoccupati di curare l'educazione di tutti i membri della comunità cristiana al vivere la fede nella realtà delle situazioni della vita e negli ambiti della storia personale e sociale di ogni credente. Ci siamo preoccupati di educarci all'ascolto della presenza e della parola di Dio che sempre risuona nei diversi ambiti del vivere quotidiano e sempre chiama ad aderire alla volontà del Padre e ad assumere atteggiamenti e scelte nuove, feconde di vita e di carità.
Abbiamo vissuto:
il 24 settembre 2011, il Convegno di inizio anno pastorale, con S. E. Mons. A. Staglianò;
il 24 novembre 2011, l'incontro sull'educarci alla fede nell'ambito" tradizione", con il Rev. P. Pino Stancari;
il 23 febbraio 2012, l'incontro sull'educarci alla fede nell'ambito "fragilità e affettività umana", con il Rev. Prof. Carlo Rocchetta;
il 15 marzo 2012, l'incontro sull'educarci alla fede nell'ambito "cittadinanza" con il Magistrato Dott. Raffaele Cantone.
A conclusione di questo tempo, ci sembra importante, come già fu detto in settembre, vivere un momento di verifica e di sintesi della strada percorsa."

Il convegno conclusivo si è svolto in due momenti: il primo ha visto i vari gruppi convocati nelle varie sedi indicate per la discussione delle tematiche dalle 17.30 alle 19.00; il secondo si è vissuto dalle 19.15 nell'assemblea in cattedrale con le sintesi dei relatori dei gruppi e le indicazioni pastorali del Vescovo.
Personalmente ho partecipato nella pinacoteca del seminario vescovile alle riflessioni del primo gruppo sul tema: educarsi all'ascolto, all'annuncio e alla trasmissione. Si è trattato di una discussione molto partecipata sul fondamentale argomento della testimonianza della fede. Ho sviluppato nel mio intervento la proposta di contemperare la fede con il sentimento antropologico della 'fiducia' che bisogna avere nella libertà, nella dignità e nella capacità dell'uomo, e/o dell' "altro", di essere disponibile all'accoglienza del dono della fede e alla comprensione del messaggio evangelico. Ho proposto di considerare l'ascolto, l'annuncio e la trasmissione come le tre parole di un dialogo che coinvolge credenti, non credenti, e le generazioni. L'ascolto presuppone la volontà, cioè che si abbia la disposizione interiore ad accogliere le parole della fede; l'annuncio presuppone la ricerca, cioè che si abbia la disposizione a recepire la bellezza della novità, e che si sia animati dal desiderio della salvezza; la trasmissione presuppone una sapienza impegnata, una capacità ed una esperienza tese ad 'educare alla vita buona del Vangelo'.
Che poi sia sempre possibile rivolgere le parole della fede a chiunque nel dialogo, mi è parso esemplare riferirmi al Maestro che con il linguaggio delle parabole insegna la verità e ne adatta le dinamiche per la comprensione in ogni situazione ed esperienza esistenziale ed umana.



martedì 22 maggio 2012

DEVOZIONI MARIANE DI MAGGIO


La tradizione cristiana ha collocato nel mese di Maggio le devozioni più popolari e la riflessione spirituale più partecipata del culto di Maria. In vero la Madre di Dio è ampiamente celebrata nel corso dell'anno e varie pratiche sono realizzate per onorarla esaltarla e pregarla. E' a Maggio, però, che si pone la  devozione maggiore: un appuntamento ormai secolare, che appare talvolta nostalgico e sentimentale ma sempre pieno di significati. Personalmente rammemoro con letizia i momenti della devozione giovanile vissuta nei pomeriggi di maggio in preghiera nella cripta della Madonna delle Grazie di Taranto, dinanzi all’altare che una suora ornava di fiori. Il 'Maggio a Maria' rivendica certamente un posto d'onore nella spiritualità e nella pienezza della vita ecclesiale di cui Maria è un simbolo.
 Quando il cielo delle elevazioni a Maria era già stato raggiunto con gli inni liturgici, con le orazioni ritmiche, con la teologia e con l'arte, nelle comunità antiche, nelle chiese orientali, nei monasteri medievali e nelle liturgie pontificali; nel XIV secolo fu il domenicano Enrico Susone ad istituire la prima devozione mariana maggese dopo la diffusione del rosario voluta da San Domenico. Si trattava di portare omaggi floreali nel primo giorno di Maggio agli altari della Vergine per esaltarne la regalità celeste. Nello stesso secolo a Mantova si celebrò Maria nelle domeniche di Maggio.
Nella Roma del XVII secolo i Gesuiti furono autori dei MESI MARIANI: libretti contenenti esempi, preghiere e fioretti. Questi libretti nelle successive formulazioni settecentesche ed ottocentesche ebbero una presentazione giornaliera con l’opera di P. Alfonso Muzzarelli e con la lezione del canonico napoletano Francesco Di Domenico divennero DISCORSI SACRI. La pratica solenne del maggio mariano fu istituita nel 1784 dai Camillini nella Chiesa della Madonnina a Ferrara.
Le apparizioni della Vergine hanno dato ancora più importanza a queste devozioni. Ed oggi, con il culto in chiesa, si accompagnano pure le infiorate alle edicole votive e l'allestimento di altarini domestici dove viene posta una statua itinerante della Vergine.
Un particolare impulso alla devozione mariana in tempi recenti è stato dato dal beato Giovanni Paolo II, che durante il suo pontificato ha arricchito la recita del Rosario antico con la meditazione dei Misteri della Luce.
Ad Aversa particolare importanza devozionale riveste l'esistenza in Cattedrale di un modello della Casa di Loreto voluta nel '600 dal Vescovo Carlo I Carafa. Nel '700, il Vescovo Nicolò Spinelli, rivolgendosi ad un peccatore, mitigava gli eccessi devozionali nel suo CATECHISMO: 
"Se con questa divozione intende continuare nel peccato più francamente; non è divoto della Madonna, ma nemico: Se intende venire a penitenza, e si sforza di farlo; piace molto alla Vergine, la quale gode d'esser rifugio ed Avvocata di tali peccatori".