mercoledì 22 febbraio 2012

Pier Damiani tra l'eremo e la riforma della Chiesa


Pier Damiani (1007-1072) visse nel XI secolo, nel clima del millennio nuovo del Cristianesimo. In quel tempo, ricco di fermenti ideologici, assunse particolare importanza il rinnovamento della vita religiosa che interessò i principali monasteri europei. La Chiesa si trovò a combattere l'ingerenza laica dell'Impero nell'attribuzione delle cariche ecclesiastiche, e le pratiche che determinavano la rilassatezza dei costumi di molta parte del clero. Essa riuscì a riaffermare la limpidezza della sua originaria ispirazione evangelica e a difendere la sua giustificazione spirituale, grazie ad una profonda opera di riforma, che viene oggi indicata come riforma gregoriana dal nome di Gregorio VII pontefice promotore. 
La storiografia della Chiesa medievale identifica Pier Damiani come un personaggio-chiave dell'epoca, rappresentante della spiritualità e della politica ecclesiastica. Egli è identificato come monaco romualdino rinnovatore dell'eremo e della vita monastica, fustigatore dei costumi del clero corrotto, e come cardinale-vescovo di Ostia consigliere di diversi papi, pacificatore efficace nelle controversie politiche e difensore intelligente dell'autonomia della  Chiesa rispetto all'Impero. Egli nacque a Ravenna nel 1007 in una famiglia numerosa. Rimasto  presto orfano, provò prima la pena di una faticosa obbedienza nel duro lavoro di garzone di campagna, e poi fu accanto al fratello Damiano, arciprete della cattedrale di Ravenna. Dal fratello ricevette la prima formazione intellettuale e, in segno di gratitudine egli ne volle portare il nome (Pietro di Damiano = Petrus Damiani).
Dopo l'esperienza di Ravenna, Pier Damiani proseguì gli studi a Faenza a Padova e a Parma, dove giovanissimo, all'età di 25 anni, insegnò eloquenza e retorica. Nel 1035, spinto dall'esigenza di vincere le passioni del mondo e di vivere più intensamente la vita spirituale, chiese di essere accolto nell'eremo umbro di Fonte Avellana che si ispirava alla regola di San Romualdo, fondatore dell'ordine monastico dei Camaldolesi. Dopo 8 anni di esemplare vita ascetica e contemplativa fu nominato Priore. Con la sua guida l'eremo divenne il centro irradiante della Congregazione Avellanita, della quale divenne poi Priore Generale, dotandola di regole e diffondendola per il territorio marchigiano. Già nel 1042 prima di essere nominato Priore, nell'eremo di San Vincenzo al Furlo aveva scritto la Vita di San Romualdo.
Con la sua guida il monastero avellanita divenne un luogo di santificazione e di intensa vita spirituale; fu dotato di una biblioteca ricca di codici e di uno scriptorium attivato da monaci pazienti ed operosi. Da quella sede egli non tralasciò di intervenire con scritti ed esortazioni per il rinnovamento della vita religiosa della Chiesa. Nel 1045 indirizzò al papa Gregorio VI due lettere che lo incoraggiavano ad agire contro la vendita delle cariche ecclesiastiche e contro il concubinato. Con gli stessi intendimenti si era mosso pure con uno scritto all'imperatore Enrico. Quest'ultimo ne fu così impressionato che lo pregò di impegnarsi come consigliere del papa Clemente II eletto nel 1046. Pur essendo divenuto una voce importante nel dibattito del tempo Pier Damiani preferiva la solitudine dell'eremo; ed infatti, durante il papato di Leone IX (1051-1054) che si trovò a contrastare l'ascesa dei Normanni in Italia meridionale, egli si trattenne nel suo amato monastero. Richiamato dalle necessità della riforma della Chiesa, nel 1055 partecipò al Sinodo di Firenze riunito dal papa Vittore II; nel 1057 il papa Stefano IX lo nominò cardinale-vescovo di Ostia. Per la nomina ricevuta contro la sua volontà prevalsero le insistenze di Ildebrando di Soana, monaco suo amico, che fu poi eletto papa col nome di  Gregorio VII, il pontefice che più di ogni altro legò il suo nome alla riforma della Chiesa in quello scorcio dell'XI secolo.
Pier Damiani amministrò pure la diocesi di Gubbio e, durante il  pontificato di Nicolò II, nel 1059 sottoscrisse il decreto che ancora oggi determina la forma di elezione dei papi da parte del collegio cardinalizio. Compì varie missioni, avendo modo di esercitare la sua grande capacità di mediazione; fu a Milano, a Francoforte, a Montecassino, a Benevento, a Roma. Nel 1063, durante il pontificato di Alessandro II, in Francia fu ospite dell'abbazia di Cluny, centro della riforma monastica benedettina, e ne rimase fortemente edificato. In una situazione ecclesiastica generale che per quasi un decennio, fino al 1072, venne attraversata dalle tensioni scismatiche procurate dall'antipapa Onorio II, Pier Damiani, sempre sostenuto da Ildebrando di Soana, svolse un ruolo di continua rappresentanza della Chiesa in varie parti d'Europa, pur ritornando sempre, appena gli era  possibile, alla sua vita di eremita.
Nel 1067 in Firenze egli riuscì a dirimere una difficile controversia tra il vescovo e i monaci Vallombrosiani; nel 1069 fu in Germania per impedire ad Enrico IV di ripudiare la legittima consorte; e  nel 1072 fu a Ravenna per riconciliare quella città con la Santa Sede. Fu proprio al termine di quella missione che, sulla via del ritorno all'eremo, Pier Damiani il 22 febbraio morì a Faenza, ove ancora oggi riposano le sue spoglie. L'anno dopo il suo amico Ildebrando fu acclamato papa, quasi a coronare lo sforzo riformistico della Chiesa che pure egli da grande protagonista aveva sostenuto. In quello sforzo, contrariamente all'attivismo del grande papa, egli aveva confidato maggiormente nell'efficacia della preghiera dell'eremo. Pier Damiani fu acclamato subito santo. La sua memoria è celebrata il 21 Febbraio perchè il giorno successivo nella liturgia romana è dedicato alla festa della Cattedra di San Pietro. Per i suoi numerosi scritti teologici ed ascetici, prodotti nel corso della sua vita monastica, il papa Leone XII nel 1828 lo proclamò Dottore della Chiesa. Nel modello di San Pietro Damiani la Chiesa propone sia il magistero operato nella presentazione di un "Vangelo che non deve subire compromessi" sia  la  sua "dedizione al servizio della Chiesa"; cosa quest'ultima che a volte lo portava lontano dall'amato eremo di Fonte Avellana.
La Patrologia Latina del Migne dedica all'opera di San Pier Damiani i volumi CXLIV e CXLV. Si tratta di numerose Lettere scritte a diverse personalità della sua epoca; di Sermoni predisposti  ad uso dei suoi monaci per la celebrazione della principali feste liturgiche; di Vite di alcuni  santi, di San Romualdo fondatore dell'ordine dei monaci Camaldolesi, di Sant'Odilone e di San Mauro di Cesena, di Rodolfo vescovo di Gubbio e di Domenico Loricato eremita avellanita; di 60 Opuscoli a vario argomento morale, teologico, biblico, esortativo.
Ho avuto occasione di leggere e di tradurre dal latino La Santa Semplicità (De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda) un opuscolo esortativo rivolto al giovane monaco Ariprando. Ho potuto convincermi che il magistero e la dedizione, espressione congiunta della sapienza e della carità, consentono sempre un buon incontro al lettore che percorre le vie del dialogo spirituale con sincerità di cuore onestà di mente ed umiltà di vita, in santa semplicità.
La Santa Semplicità è pubblicato in self-publishing ed è inserito nella vetrina di ilmiolibro.

Approfondimenti:
http://www.storialocale.it/agiografia/pierdamiani/Pier_Damiani.pdf

domenica 19 febbraio 2012

Storia del monachesimo occidentale. Presentazione ad Aversa


La chiesa abbaziale di San Lorenzo fuori le mura è l'edificio centrale del più antico complesso monastico di Aversa. Essa fu fondata prima dell'anno mille ad septimum, nelle propaggini del territorio della Capua longobarda, sulla diramazione stradale che conduceva verso Napoli e verso il litorale flegreo. In epoca normanna (XI-XII secolo) essa assunse un'importante rilievo nel rappresentare il polo monastico nella proto-contea di Aversa che nel 1054 era stata elevata a sede episcopale da papa Leone IX. Sia l'abbazia e sia la cattedrale, dedicata a San Paolo, condivisero i tratti del monachesimo. Alla fine dell' XI secolo i normanni Guitmondo e Guarino, fratelli e monaci benedettini, si ritrovarono rispettivamente vescovo di Aversa e abate di san Lorenzo. Nell'epoca della espansione normanna il monastero aversano ebbe la disponibilità di possedimenti estesi e dislocati lungo la via sacra tra Campania e Puglia fino al santuario micaelico del Gargano.  Nella vicenda storica del monastero, dal medioevo ai tempi recenti, si evidenziano aspetti significativi ed originali della cultura benedettina. 
La scelta della chiesa di San Lorenzo per la presentazione (17 febbraio 2012) del libro di d. Mariano Dell'Omo monaco di Montecassino, paleografo storico e docente, è stata definita “irrinunciabile” da mons. Ernesto Rascato parroco-rettore dell'abbazia. Irrinunciabile per le specificità monastiche della storia di Aversa, per i natali aversani dell'autore, per l'intrinseca valorizzazione del bene culturale dello studio e della ricerca accademica locali.
Il libro (M. Dell'Omo, Storia del monachesimo occidentale dal Medioevo all'età contemporanea. Il carisma di San Benedetto tra VI e XX secolo, Jaca Book, Milano 2011) è un volume ponderoso di oltre 600 pagine ricco di bibliografia e diviso in due parti: I- Da Benedetto a Bernardo e II- Dall'Autunno del medioevo alle soglie del terzo millennio. La presentazione è stata organizzata congiuntamente dall'Associazione Amici dell'Abbazia di San Lorenzo, dal Monastero delle Benedettine di San Biagio e dall'Istituto Superiore di Scienze Religiose San Paolo, predisponendo per l'evento un taglio culturale religioso ed accademico. La Cappella Lauretana, diretta da mons. Francesco Grammatico ed il Coro delle monache hanno eseguito un repertorio di canti gregoriani. 
Hanno rivolto saluti: Mons Angelo Spinillo vescovo di Aversa, Madre Cecilia M. Farina abbadessa di San Biagio, Mons. Ernesto Rascato rettore di San Lorenzo, Prof. D. Emilio Nappa direttore dell'ISSR S. Paolo. Ha moderato Claudio Coluzzi de “Il Mattino”.  Hanno relazionato: Mons. Mario Iadanza docente universitario, Prof. Ulderico Parente docente universitario, Mons. Lorenzo Chiarinelli vescovo emerito di Viterbo e già vescovo di Aversa. Tra le personalità presenti: Mons. Mario Milano arcivescovo emerito di Aversa, Mons. Francesco Marino vescovo di Avellino, Mons. Paolo Dell'Aversana vicario generale della diocesi, Prof. Luciano Orabona storico della Chiesa. La vastità dell'argomento ha dato occasione a ricezioni e riflessioni molteplici sviluppate e comunicate dai diversi intervenuti. 
Il vescovo di Aversa ha rimarcato il valore spirituale della storia del monachesimo evidenziando un legame simbolico con la natura e le funzioni del canto gregoriano. Come il canto celebra nella varietà dei temi e dei tempi la liturgia e la preghiera monastica riattualizzando una memoria antica ed una speranza nuova, così nella storia si ripropone e si riverifica la tensione originaria che ha animato l'opera del santo patriarca; doni ambedue di Dio alla civiltà dell'uomo: il monachesimo ed il suo santo fondatore. Il concetto espresso dal vescovo attraverso il simbolismo ha riguardato l'esplicitazione di due caratteristiche del monachesimo benedettino: persistente “identità dello spirito” originario impresso da Benedetto e “flessibilità del corpo” che ha assunto variazioni ed adattamenti nel corso del tempo. 
Madre Cecilia ha sottolineato aspetti spirituali e vocazionali del monachesimo benedettino ancora oggi teso a realizzare un'opera di preghiera, parafrasando la regula, affinchè “nulla si anteponga all'amore di Cristo”.   
D.E. Nappa ha rilevato il contributo di ricerca e di approfondimento della cultura benedettina dato dall'opera di Dell'Omo, ed ha rimarcato l'impegno dell'ISSR S. Paolo nel valorizzarla come strumento di studio per le discipline storico-ecclesiastiche locali.
Mons. Iadanza ha salutato il libro com una “nascita gioiosa”, compimento di un lungo percorso di ricerca e di insegnamento dell'autore nell'ambito della storia del monachesimo benedettino.
Ha voluto rimarcarne l'importanza per la storia ecclesiastica e per la storia d'Europa, esemplicando documenti personaggi e vicende significativi; ad esempio le Lettere di papa Gregorio Magno riferite a san Colombano e alla missione dei monaci benedettini nelle isole britanniche. Ha sottolineato gli aspetti storico-teologici legati al carisma di san Benedetto. 
U. Parente ha evidenziato alcune caratteristiche del libro: la sua “utilità” come strumento di studio e di ricerca grazie alla sistematicità e all'abbondanza della bibliografia intercettata; ed il suo  porsi come “opera interessante” per la sobrietà e l'equilibrio delle parti e dei contenuti non riferiti a visioni e periodizzazioni precostituite ed eurocentriche. Ha colto l'euristicità di tematiche ulteriori presenti “al di là dei titoli” predisposti. Ha segnalato l'importanza  della relazione tra il carisma di Benedetto e le istituzioni da esso suscitato.
La relazione del vescovo Chiarinelli è stata molto ampia, comunicata con verve chiarezza e profondità, armoniosamente sviluppata su diversi piani concettuali (estetico, storico, culturale, teologico, simbolico, biblico, magisteriale, politico, pastorale). Ha iniziato con l'esplicitazione dei sentimenti personali sul “tema” monastico (ispirazione ed aspirazione della sua vita); sul “luogo” dell'abbazia di san Lorenzo (da lui riaperta e restituita alla cultura storica e religiosa locale quando era vescovo di Aversa); sul “libro” (opera 'temeraria' imponente e sintetica che spazia negli ambiti diversificati della storiografia e delle istituzioni monastiche benedettine). Ha realizzato uno splendido percorso discorsivo aperto con la chiave di lettura del 'carisma', recuperata dal sottotitolo ed utilzzata preliminarmente per significare la 'mens benedettina' che permea l'intera opera di dell'Omo. Ha lanciato uno sguardo generale ai contenuti: “radici e missione”, “continuità ed innovazione”, riferite alla presenza dello Spirito nel dinamismo della storia. La I parte del libro riguarda l' 'autenticazione' delle radici: regola, pedagogia e progetto di vita monastica. La II parte riguarda l' 'arborizzazione': espressione e tensione delle istituzioni monastiche dall'eurocentrismo alla mondialità. E' uno sguardo richiamante la necessità di una comprensione in chiave simbolica e di un riferimento biblico allo sguardo di Mosè dall'alto del monte Nebo sulla terra promessa da lui non raggiunta. Ed il vescovo utilizza la 'metafora del monte' per cogliere lo spirito ed il carisma del cammino benedettino nella storia: il 'monte della  preghiera', (nihil Operi Dei praeponatur (R.B. 43,3), niente si anteponga all'opera di Dio); il 'monte della trasfigurazione' (conversio); il 'monte della sofferenza' (fino ad entrare nel Mistero); il 'monte delle beatitudini'. Una comprensione retrospettiva sulla storia monastica, grazie a questi approcci, ci rimanda la visione di “una omologhia della fede e di una sinfonia delle culture”; uno sguardo in prospettiva teologica ci inoltra verso “una nuova frontiera: spiritualità monastica in dimensione domestica e dimensione domestica in spiritualità monastica”. Le implicazioni che attualizzano lo spirito benedettino nella contemporaneità riguardano l'opportunità di vivere ecclesialmente i suoi riferimenti nella vita di relazione (politeia), nella vita religiosa (ecumenismo), nella riflessione spirituale (teologia).
La presentazione del libro si è conclusa con l'intervento dell'Autore che ha voluto, tra l'altro, informare il pubblico della estesa documentazione riguardante la storia dell'abbazia di San Lorenzo e della cultura monastica in Aversa.

Approfondimenti:







sabato 18 febbraio 2012

Il percorso in Campania del culto di santa Giuliana


1. La santità al femminile riceve in Febbraio belle celebrazioni. Sante come Agata, Apollonia e Giuliana rimandano il ricordo delle Vergini Cristiane, martiri dei primi secoli, accomunate nella coraggiosa testimonianza di fede ed esprimenti patrocini particolari. 
Santa Scolastica, sorella di san Benedetto e patrona femminile del più importante ordine monastico, ci propone il fascino di una presenza discreta e potentissima capace di ottenere dal cielo il fragore della tempesta in onore dell'amore fraterno. La Madonna di Lourdes anima le lodi popolari pre-quaresimali e dona le anticipazioni spirituali delle aure primaverili e del soprannaturale. In questa santità al femminile che riceve vario onore nel territorio della diocesi di Aversa, una particolare menzione può farsi per Santa Giuliana. Ella è considerata una santa 'diocesana' dal momento che Cuma, la cui sede episcopale fu incorporata da quella aversana, per tutto il medioevo ne ha conservato le spoglie e la memoria devozionale.
2. La Santa fu martire a Nicomedia, città della odierna Turchia, nel 304-305. Ella, diciottenne, per amore della fede cristiana rinunciò al matrimonio con il prefetto Eleusio, e subì il martirio con il vescovo Antimo, con santa Barbara ed altri santi. Le sue spoglie furono venerate nella cattedrale di Cuma, oggi diruta, che le accolse dopo il naufragio della nave che le conduceva verso Roma. Giuliana venne subito venerata tra i santi e le sante più note del paleo-cristianesimo in Campania. 
La sua bella icona fu dipinta nel V secolo in una edicola a lei intitolata nelle catacombe di San Gennaro extra moenia a Napoli. Nella Napoli bizantina, Santa Giuliana, figura giovanile bella e brillante ed esemplare modello di Vergine Cristiana, suscitò una grande devozione popolare che fu sostenuta dalla monache del monastero di Donnaromita, le quali vivevano secondo i dettami della Regola di san Basilio. Quelle monache seguirono poi la Regola di san Benedetto e, custodendo il corpo della santa dopo la distruzione di Cuma, estesero ancora più la devozione in tutti i luoghi della cristianità europea ove viveva la testimonianza benedettina. Testimonianze del culto della santa si ritrovano così a Vallepietra e in Inghilterra, e sue reliquie a Perugia e a Verona. Il suo corpo, dopo una traslazione al monastero delle Clarisse di santa Chiara, si trova ora nella cripta di san Guglielmo del monastero benedettino di Montevergine. La devozione per questa Santa, che è patrona delle partorienti, è valorizzata oggi da riferimenti molteplici che attengono la spiritualità giovanile, l'ecumenismo, la storia del cristianesimo europeo, la storia locale e l’agiografia.
3. La cattedrale di Cuma, basilica cristiana dedicata ai santi martiri Massimo e Giuliana, i cui resti diroccati si osservano ancora sull’alto del colle prospiciente il litorale flegreo che guarda verso l’isola di Ischia, fu eretta nell’alto medioevo sulle vestigia di un antico tempio dedicato a Giove. Oggi il sito è considerato un luogo importantissimo nel panorama dell’archeologia campana perché rappresenta una testimonianza notevole sia dell’arte classica che dell’arte cristiana. Come principale luogo della devozione giulianea, la basilica cumana fu frequentata fino al primo decennio del XIII secolo, epoca in cui la città, contesa dalle contrapposte forze sveve e napoletane, fu teatro di battaglie e di distruzioni. Nel 1207 Cuma fu lasciata all’abbandono e le reliquie dei santi patroni Massimo e Giuliana furono traslate a Napoli. La popolazione si disperse per i territori della Liburia, e si trasferì in gran parte nell’agro di Giugliano, di Aversa, e nella Fratta atellana ove era già insediata dal IX secolo una componente proveniente da Miseno, città flegrea distrutta dai saraceni, e devota a San Sossio. In quella data l’episcopato cumano fu abolito, i beni ecclesiatici furono trasferiti alla sede metropolita di Napoli, e gran parte della giurisdizione territoriale rientrò nelle competenze della sede episcopale di Aversa.
Da quel tempo la città di Frattamaggiore celebra la Santa come sua patrona principale insieme con San Sossio, a testimonianza della sua leggenda d'origine che la vuole fondata da una componente di Miseno sfuggita alle incursioni saracene, e da una componente di Cuma portatrice della devozione giulianea. In realtà il culto della santa nell’area frattese era già documentato nel XI secolo (Regii Neapilitani Archivii Monumenta), e si consolidò con la provenienza da Cuma di quelle popolazioni che cercavano un nuovo e più sicuro insediamento. Di fatti nella documentazione storico-agiografica si evidenzia che la devozione giulianea nell’area frattese è menzionata prima di quella sossiana, la cui testimonianza più antica è ancorata al documento architettonico altomedievale costituito dal tempio patronale situato al centro della città.
La figura di santa Giuliana venne subito celebrata in quel tempio, nel santorale e nella principale iconografia religiosa frattese. Essa fu sicuramente presente nella grande raffigurazione absidale, in quella più antica che fu ripresa nel ciclo delle pale lignee medievali, poi nel grande quadro settecentesco del De Mura, e quindi nell’attuale grande mosaico della Scuola Vaticana.
In Fratta la Santa fu rappresentata anche nei quadri di G.B. Lama (1570) e di Luca Giordano; nell’affresco quattrocentesco e nella statua lignea del ‘500 della chiesa rurale a lei dedicata; in un busto reliquario argenteo del 600; nell’iconografia popolare delle cappelle e delle edicole votive, e nel lapidario del paese. L’Università frattese, ovvero l’antica municipalità, istituì per santa Giuliana, al pari di san Sossio, iniziative sociali, celebrazioni e festeggiamenti che ne evidenziavano il sentito patronato e la forte devozione popolare. La devozione frattese per santa Giuliana ha avuto modo di esprimersi così nei secoli con varie manifestazioni; e l’immaginario popolare frattese si è arricchito rispetto alla santa anche di una leggenda medievale (riportata da Pasquale Ferro) posta all’origine della fondazione della chiesetta rurale scomparsa da qualche decennio a causa dello sviluppo urbano: si tratta del sogno di una fanciulla a cui appare la santa che la incarica di farle costruire una chiesa.

Approfondimenti:
P. Saviano, Santa Giuliana vergine e martire, Frattamaggiore 1997
Alfredo Di Landa, Le reliquie di S. Giuliana V. e M. nel culto della storia. Quaderni del XVII Centenario del Martirio di S. Sossio, n. 2, Tip. Cav. Mattia Cirillo - Frattamaggiore 2006
Recensione di Fernando Angelino in Rassegna storica dei comuni



martedì 14 febbraio 2012

Santi patroni d'Europa

Tre santi e tre sante. Due monaci: Benedetto e Cirillo; un ecclesiastico: Metodio; tre donne mistiche impegnate nel sociale: la nobile Brigida di Svezia, francescana e fondatrice dell’Ordine del Santo Salvatore, la domenicana Caterina da Siena e la filosofa, ebrea e carmelitana, Edith Stein; sono i Santi dichiarati compatroni d’Europa dal papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Spes aedificandi del 1 ottobre 1999.
San Benedetto è il primo patrono nominato nel 1964 da Paolo VI, a riconoscimento dell’opera originaria e fondamentale svolta dal monachesimo benedettino nello sviluppo della civiltà e della cultura europea (Ora et Labora et Lege: monasteri, contadi, scriptoria e scolae), a partire dall’alto medioevo (V-VI secolo) e dalla evangelizzazione degli antichi popoli barbarici.
Metodio e Cirillo, per gli stessi motivi di civiltà cristiana istituzionalmente estesa ai popoli slavi (Scrittura ed alfabeto cirillico del IX secolo) sono i compatroni indicati da Giovanni Paolo II, alle soglie del terzo millennio, a riconoscimento di una integrazione europea antica e consistente, storicamente significativa e coinvolgente i paesi del cristianesimo ortodosso e dell’area bizantina ed orientale.
Brigida, Caterina ed Edith sono state indicate da Giovanni Paolo II come compatrone d’Europa per la loro specificità di donne (la Chiesa onora da sempre la santità al femminile a cominciare da Maria) e per il forte significato spirituale e storico della loro testimonianza cristiana.
Con Brigida si tratta di una santa del XIV secolo che s’impegna nella vita di corte, nel pellegrinaggio ai santuari cristiani d’Europa e di Terra Santa, e nella istituzione di opere di carità. E tutto ciò ella lo fa nello spirito della profezia, dell’ammonimento morale, e della visione di Cristo che le svela i disegni di Dio sulla storia.
Per Caterina da Siena, domenicana del XIV secolo e Patrona d’Italia, dichiarata dottore della Chiesa da Paolo VI, si tratta di una santa famosissima che ha legato la sua opera al ritorno del papato a Roma dopo il periodo francese di Avignone, e alla sua comunicazione, rivolta alla pari a tutti i regnanti del suo tempo, per rinnovare il volto della Chiesa e riformare i costumi del clero.
Con Edith Stein (Teresa Benedetta della Croce) si tratta di una santa martire, cattolica ed ebrea, morta in un campo di sterminio nazista durante l’ultima guerra mondiale. E’ per lei riconosciuta una santità significativamente legata al pensiero, alla civiltà, e alle esperienze storiche vissute nell’Europa del secolo scorso.

Approfondimenti su: storialocale.it:

domenica 12 febbraio 2012

CULTO MARIANO E APPARIZIONI

La riflessione teologica individua le basi evangeliche, patristiche e tradizionali del culto di Maria. 
Nei Vangeli Maria appare inserita nel misterioso piano di Dio con il concepimento verginale di Gesù, con il suo dialogo di fede con Dio, con la sequela del Figlio fino alla croce, e con la sua condivisione con la Comunità degli apostoli. 
La riflessione dei Padri della Chiesa, in epoca antica, individua per Maria le caratterizzazioni principali che fondano la dogmatica cattolica: Theotòkos (Madre di Dio) al Concilio di Efeso del 431; sempre Vergine al Concilio Laterano del 649; culto delle Icone e della venerazione al Concilio di Nicea del 787. 
La tradizione rimarca i tratti della devozione mariana che si consolidano nelle varie epoche.
Nel Medioevo della preghiera monastica e dello schema feudale, Maria è Regina, Madre di Misericordia; è Mediatrice della riconciliazione tra Cristo e la Chiesa; ed è Madre dei Miracoli a favore dei peccatori. 
Nell’Età Moderna Maria è la Serva del Signore partecipe alla sua redenzione (Concilio di Trento); la devozione mariana diviene molto diffusa e popolare e, con il Rosario si incentra sulla comprensione del Mistero di Cristo 
Nell’Età Contemporanea le apparizioni della Madonna a Caterina Labourè (1830) e a Bernadette Soubirous a Lourdes (1858) accompagnano la formulazione del Dogma della Immacolata Concezione (1854) stabilito da Pio IX con tutti i Vescovi del mondo. La grande diffusione del culto mariano culmina nel Dogma dell’Assunzione di Maria stabilito da Pio XII nel 1950.
Oggi la Dottrina Mariana si basa soprattutto sulla Lumen Gentium, costituzione del Concilio Vaticano II, che indica la figura di Maria come Madre del Salvatore inserita nel mistero di Cristo, della Chiesa e della Salvezza. Essa ha trovato anche un grande sostenitore in Giovanni Paolo II, papa mariano, che nel 2003 ha scritto la Lettera Apostolica ROSARIUM VIRGINIS MARIAE.
I teologi contemporanei riconoscono nella persona e nella funzione di Maria “l’icona del mistero” (B. Forte), la “microstoria della salvezza” (S. De Flores), la “chiave del mistero cristiano” (R. Laurentin). La recente celebrazione del 150° delle apparizioni della Vergine, Immacolata Concezione, a Lourdes si è caricata di grandissimi significati, biblici, teologici e devozionali, per i milioni di credenti e di pellegrini. 
L’8 dicembre 1854 Pio IX definì in questi termini la concezione immacolata di Maria: 
"la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli".
La Chiesa riconosce nell’Immacolata la realizzazione del progetto di Dio sul nuovo popolo messianico, nella sua espressione più alta che è quella sponsale, di cui è il prototipo. La liturgia dell’8 dicembre, infatti, pone sulle labbra di Maria le parole del Cantico: "Esulto e gioisco nel Signore [...] perché mi ha avvolto con il manto della giustizia, come una sposa adorna di gioielli", perché la sua concezione immacolata ha segnato l’inizio della Chiesa, sposa di Cristo, senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza.
Le apparizioni di Lourdes e le altre apparizioni della Vergine hanno dato grande importanza alle devozioni mariane. Oggi, con il culto in chiesa, non è raro che si accompagnino le infiorate alle edicole votive, e l'allestimento di altarini domestici dove viene posta una statua itinerante della Vergine.
Per Maria, apparsa alla umanità contemporanea ed in attesa nelle mete del pellegrinaggio, ci si muove sempre e si è sempre impegnati, nella semplicità della preghiera personale e nel fasto della preghiera comunitaria. Il pensiero dei credenti si inoltra nelle favolose considerazioni del suo mistero, corre alle ardite riflessioni teologiche che riguardano gli avvenimenti testimoniati e creduti e la fede stessa: il Rosario e il Dogma. Il Dogma dell’Immacolata Concezione, della creazione nuova, che trova un riverbero nella Vergine apparsa a Lourdes. Il Rosario nella cui recita si ritrova la sintesi delle apparizioni di Fatima e l’aggiunta della stessa preghiera voluta dalla Vergine:
"O Gesù perdonate le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell'inferno; portate in Cielo tutte le anime, e soccorrete specialmente le più bisognose della vostra misericordia".
L'avvenimento mariano più importante del secolo scorso è stato senza dubbio il Concilio Vaticano II, perché da esso è scaturita una prospettiva mariana che investe il campo dottrinale, liturgico, pastorale e devozionale. Il Concilio ha voluto risituare Maria al punto di partenza e al centro stesso del mistero di salvezza. L'inserimento di Maria nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa può considerarsi un segno del rapporto di esemplarità che intercorre fra Maria e la Chiesa: la Vergine è tipo e compimento della Chiesa.
Inoltre, la Vergine è Madre della Chiesa, giacché è Madre di Cristo e di tutto il Popolo di Dio, sia dei fedeli che dei Pastori. Paolo VI ebbe a cuore il proclamarlo solennemente a conclusione della terza sessione del Concilio, offrendo in tale titolo una sintesi della mariologia del Concilio (cfr. DC, 6.XII.64, col 1544).
Benedetto XVI nell'omelia dell'Assunzione del 2005 disse queste parole: "Maria è assunta in cielo in corpo e anima: anche per il corpo c’è posto in Dio. Il cielo non è più per noi una sfera molto lontana e sconosciuta. Nel cielo abbiamo una madre. E la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto. Ne ha fatto la nostra Madre, quando ha detto al discepolo e a tutti noi: “Ecco la tua Madre!” Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore".

Una nota di storia locale. Alcuni dati storiografici ci inducono a dare una importanza singolare alla devozione per l’Immacolata nella nostra terra, che appare riconnessa al dibattito teologico svoltosi in Campania intorno all’anno mille. Si può notare, nello sviluppo della devozione mariana del nostro territorio diocesano (diocesi di Aversa) un riferimento storico-teologico che pone l'area culturale locale tra quelle che per prime, a partire dal medioevo, hanno riconosciuto alla Madre di Dio l'onore del titolo dell' Immacolata Concezione. Questo riferimento, come viene rilevato in uno studio sulla teologia medievale (L. Orabona, La societa cristiana del Medioevo), rimanda al trattato mariano di Eadmero, monaco benedettino nel monastero di San Salvatore Telesino, vissuto nell'XI secolo al seguito di Sant'Anselmo, Arcivescovo di Canterbury, che lo conobbe durante un suo viaggio in Campania. L’importanza di tale riferimento si coglie ancor più in considerazione del fatto che il santuario mariano di Frattamaggiore è il principale luogo diocesano dedicato all’Immacolata, costruito all’epoca della proclamazione del dogma sul sito di una preesistente chiesa medievale.

Approfondimenti su storialocale.it:

In diretta dalla Grotta di Massabielle:
http://it.lourdes-france.org/tv-lourdes/

sabato 11 febbraio 2012

Scolastica da Norcia - Colomba discreta della cultura benedettina

Nel Libro II dei suoi Dialoghi, il santo papa Gregorio Magno (540-604) ci narra la vita di San Benedetto da Norcia (480 – 550 ca.), del quale tesse le lodi esaltandone la santità in vita e l’opera della santa Regola dettata a i suoi monaci. Gli avvenimenti sono narrati al diacono Pietro che dialoga con il papa chiedendo di conoscere alcuni aspetti della vita del santo abate: “Veramente se alcuno vuol conoscere i costumi e la vita del santo con più accuratezza, può scoprire nell'insegnamento della regola tutti i documenti del suo magistero, perchè l'uomo di Dio non ha affatto insegnato diversamente da come è vissuto ". 
La Vita di Benedetto, narrata da Gregorio, è completata anche con alcuni tratti fondamentali della Vita della sorella Scolastica (480-543 ca.). San Gregorio parla del Venerabile Padre che ha insegnato la Regola ai Monaci, così come l'ha vissuta e così come è andato concependola e realizzandola, a partire dalle esperienze di studio nella Roma dell'inizio del VI secolo. Negli ambienti culturali romani Benedetto, infatti, si muove criticamente come giovane intellettuale alla ricerca di Dio, preceduto sulla via religiosa dalla sorella Scolastica. La scelta religiosa vissuta in prima persona e la sua guida richiesta da numerosi monaci, lo conduce poi alla vita monastica, prima eremitica e poi cenobitica, vissuta allo 'Speco', nei primi monasteri di Subiaco, e nell’abbazia di Montecassino dove viene formalmente completata la sua Regula Monachorum.
Il Ritratto di Scolastica, breve ma intenso, appare verso la fine del lungo racconto di Gregorio:
Scolastica, sorella di san Benedetto, consacratasi a Dio fin dall’infanzia, era solita recarsi dal fratello una volta all’anno. L’uomo di Dio andava incontro a lei, non molto fuori della porta, in un possedimento del monastero. Un giorno vi si recò secondo il solito, e il venerabile suo fratello le scese incontro con alcuni suoi discepoli. Trascorsero tutto il giorno nelle lodi di Dio e in santa conversazione. Sull’imbrunire presero insieme il cibo. Si trattennero ancora a tavola e, col protrarsi dei santi colloqui, si era giunti a un’ora piuttosto avanzata. La pia sorella perciò lo supplicò, dicendo: «Ti prego, non mi lasciare per questa notte, ma parliamo fino al mattino delle gioie della vita celeste». Egli le rispose: «Che cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero». Scolastica, udito il diniego del fratello, poggiò le mani con le dita intrecciate sulla tavola e piegò la testa sulle mani per pregare il Signore onnipotente. Quando levò il capo dalla mensa, scoppiò un tale uragano con lampi e tuoni e di pioggia, che né il venerabile Benedetto, né i monaci che l’accompagnavano, poterono metter piede fuori dalla soglia dell’abitazione, dove erano seduti. Allora l’uomo di Dio molto rammaricato cominciò a lamentarsi e a dire: «Dio onnipotente ti perdoni, sorella, che cosa hai fatto?». Ma ella gli rispose: «Ecco, ho pregato te, e tu non hai voluto ascoltarmi; ho pregato il mio Dio e mi ha esaudita. Ora esci pure, se puoi; lasciami e torna al monastero». Ed egli che non voleva restare lì spontaneamente fu costretto a rimanervi per forza. Così trascorsero tutta la notte vegliando e si saziarono di sacri colloqui raccontandosi l’un l’altro le esperienze della vita spirituale. Non fa meraviglia che Scolastica abbia avuto più potere del fratello. Siccome, secondo la parola di Giovanni, «Dio è amore», fu molto giusto che potesse di più colei che più amò. Ed ecco che tre giorni dopo, mentre l’uomo di Dio stava nella cella e guardava al cielo, vide l’anima di sua sorella uscita dal corpo, penetrare nella sublimità dei cieli sotto forma di colomba. Allora, pieno di gioia per una così grande gloria toccatale, ringraziò Dio con inni e lodi, e mandò i suoi monaci perché portassero il corpo di lei al monastero, e lo deponessero nel sepolcro che aveva preparato per sé. Così neppure la tomba separò i corpi di coloro che erano stati uniti in Dio, come un’anima sola. (Gregorio Magno, Dialoghi, II, 34).
La tradizione monastica cassinese antica (a partire dall’abate San Bertario del IX secolo) riteneva che Santa Scolastica fosse gemella di San Benedetto, che avesse seguito il fratello a Subiaco, e che si fosse stabilita con delle monache al monastero di Plumbariola vicino Cassino. La segnalazione della presenza di Scolastica accanto al fratello abate, consacrata fin dall’infanzia e solita incontrarsi con lui una volta l’anno nel suo monastero di monache, ha giustificato la sua santità discreta ed orante, modello stesso del monachesimo benedettino femminile. Si è verificata così una universale celebrazione di Santa Scolastica mai disgiunta dalla celebrazione di San Benedetto. La diffusione del suo culto ha sempre seguito le vie italiche ed europee del culto benedettino (Norcia, Roma, Subiaco, Montecassino, Italia, Francia, Inghilterra, Germania, ecc.). Alla fine del VII secolo reliquie della santa furono traslate a Mans, in Francia, ove fu eretto un monastero in suo onore; altre reliquie furono portate a Javigny, al tempo di Carlo il Calvo alla fine del IX secolo.
Un rilievo interessante circa il culto di Santa Scolastica si può operare lungo le vie della diffusione dei monasteri benedettini (la Terra sancti Benedicti che si estendeva dalla Campania alla Tremiti), sui tratturi abruzzesi e molisani della transumanza, e nei luoghi ove sono sorti le chiese e i chiostri dei cassinesi. In questi luoghi e su queste vie, specialmente quelle abruzzesi, si incontrano tradizioni e devozioni popolari che mettono in risalto la funzione di Scolastica come patrona della pioggia, dell’acqua e delle fonti, e come protettrice delle donne che allattano e delle donne sterili.
Un altro rilievo si può riscontrare nelle opere d’arte (affreschi, dipinti, monumenti, libri sacri) che a partire dal medioevo, nei luoghi della cultura benedettina (dal Sacro Speco a Cluny, da Montecassino ad Aversa), hanno esaltato e celebrato la figura della santa, sia da sola e sia accanto alla figura di San Benedetto, del cui ordine ella è considerata con-fondatrice.
Nell’epoca carolingia (IX-X secolo) la cultura cassinese, ambito della più sentita devozione alla santa, ebbe una particolare diffusione nella Campania longobarda e bizantina (Teano, Capua, Benevento, Salerno, Napoli), integrandosi con le esperienze monastiche volturnensi e basiliane.
In epoca normanna (XI – XII secolo) essa si consolidò nella stessa area come la fondamentale forma monastica ispirata alla regola di san Benedetto ed ebbe i suoi luoghi principali nel monastero dei Santi Sossio e Severino di Napoli e nei monasteri capuani ed aversani di San Lorenzo e di San Biagio delle monache.
Oggi la spiritualità con la preghiera rappresentano il campo privilegiato del culto a Santa Scolastica, che trova modi di esprimersi con esperienze intense e sentite (es.: Suore oblate di santa Scolastica, Sublacensi di Santa Scolastica, Benedettini di Montercassino). Altri onori per la santa provengono dalle chiese, dalle sedi monastiche e dalle attività (ad es. parrocchie, case religiose, missioni, città benedettine) intitolate al suo nome in ogni parte del mondo. 
Tra le città benedettine ricordiamo anche Frattamaggiore che con la Basilica Pontificia di San Sossio, custode dei santi titolari del monastero napoletano (San Sossio martire e San Severino abate patrono dell’Austria), rappresenta un luogo d’incontro tra i valori storici del cristianesimo in Europa e la spiritualità ispirata alla preghiera e alla regola benedettina.

Sequenza di Santa Scolastica
O fiore del Paradiso, Santa Scolastica, 
tu che fin dai primi anni, con la grazia del Signore, 
ti donasti interamente all’esercizio dell’orazione,
per mezzo della quale meritasti poi 
che Dio con un prodigio trattenesse con te 
in quella notte il tuo fratello San Benedetto: 
ottieni anche a noi il vero spirito di orazione 
e di raccoglimento, onde possiamo sempre
camminare alla presenza di Dio.
Amen

domenica 5 febbraio 2012

Giulio Genoino e l'arte di educare

La drammatizzazione è considerata dalla moderna metodologia didattica uno strumento efficace per l'educazione dei ragazzi, utile per lo sviluppo delle loro capacità di apprendere e di comunicare i valori della comunità. Il potenziale educativo della messa in scena di un'opera teatrale, predisposta con precisi intenti pedagogici, è indubitabile ed ha pratiche e riconoscimenti antichi anche se poco noti. E' il caso dell' Etica Drammatica per l'Educazione della Gioventù di Giulio Genoino, un'opera in 12 tomi scritta dall'abate frattese tra il 1831 e il 1842 con edizioni livornesi e napoletane.
La figura di Giulio (1771- 1856), rampollo dei conti Genoino residenti ab antiquo nel casale di Frattamaggiore, si staglia in maniera particolare nel panorama della vita ecclesiastica e civile napoletana della prima metà dell'800. Egli vive la sua vocazione religiosa con la preparazione giovanile nel chiostro napoletano di san Girolamo alla scuola e alla spiritualità di san Filippo Neri, ed è cappellano militare al seguito di un reggimento regio che lo porta in vari luoghi della Campania e in Toscana. I cambiamenti istituzionali napoletani, nel periodo napoleonico e durante la restaurazione borbonica, lo vedono impegnato nella vita civile e culturale e nella produzione letteraria. Egli è insieme religioso, funzionario statale, poeta dialettale, educatore della gioventù, librettista, scrittore di vasta fama. Pio IX è tra i lettori assidui delle sue opere scritte per l'educazione dei giovani. Tra i riconoscimenti post mortem della sua opera vi sono quelli lusinghieri di Salvatore di Giacomo, di Benedetto Croce e di Gianni Race.
La storiografia locale, significativamente rappresentata da autori e studiosi suoi conterranei, gli ha dedicato studi ed approfondimenti che costituiscono una buona base per la sua conoscenza bio-bibliografica. Si annotano: Antonio Giordano con una scheda biografica in Memorie Istoriche di Fratta Maggiore del 1834, Sosio Capasso con narrazioni frattesi e generali in Frattamaggiore del 1944 e del 1992 e in Giulio Genoino del 2002, Francesco Capasso con trattato critico e letterario in Giulio Genoino del 1970, Pasquale Ferro con narrazioni frattesi in Frattamaggiore sacra del 1974.
Niente di meglio, comunque, delle parole stesse dell'abate per comprendere sia il suo pensiero nel merito dell'arte dell'educare con il dramma e sia il contesto motivazionale colto nella  realtà della  manifestazione storica contemporanea. Le ricaviamo dal tomo 3 della sua Etica Drammatica dedicato alla virtù della prudenza da esercitarsi dalle giovanette. Sono leggibili su storialocale.it:

http://www.storialocale.it/persone/genoino/genoino.pdf