venerdì 30 marzo 2012

Origini medievali dell'abbazia di San Lorenzo di Aversa

Tra VIII e X secolo nei territori dei principati longobardi di Benevento e di Capua si sviluppò il monachesimo nato con l'esperienza dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno che era stata fondata da tre monaci, Paldone Tatone e Tasone, provenienti dalla nobiltà beneventana. Quell'abbazia favorita dai pricipi longobardi, in concorrenza con la più famosa abbazia di Montecassino che si avvaleva dell'amicizia carolingia, divenne un centro irradiante della cultura monastica benedettina nell'area molisana e campana. In particolare i monaci Volturnensi, grazie alle donazioni del 703 concesse da Gisulfo duca di Benevento e documentate nel Chronicon Volturnenese, ebbero monasteri grancie e priorati diffusi in tutta la Liburia (attuale Terra di Lavoro), in un territorio che si estendeva dalle colline capuane attraverso l'agro atellano-aversano fino al litorale di Literno e Cuma. In quel territorio prima dell'anno mille fu fondata l'abbazia di San Lorenzo nel luogo detto ad septimum, sul punto ove la strada da Capua si diramava verso Atella e Napoli e verso il litorale flegreo in direzione di Pozzuoli. 
Una tradizione storica vuole che i monaci Volturnensi si fossero insediati nel IX secolo per qualche decennio nel monastero di San Lorenzo già esistente nell'area capuana, all'epoca comprensiva anche del territorio aversano, per sfuggire alle incursioni dei saraceni contro la loro abbazia maggiore situata alle sorgenti del Volturno. Un'altra tradizione vuole che il monastero di San Lorenzo sia sorto verso la fine del X secolo con le donazioni della principessa capuana Aloara e di suo figlio Landenulfo. Comunque sia sorto sicuramente il complesso monastico intitolato a San Lorenzo raggiunse la sua fama maggiore nel periodo normanno ed è stato sempre identificato come luogo “fuori le mura” di Aversa. 
In epoca normanna (XI-XII secolo) l'abbazia di San Lorenzo assunse un rilievo importante nel rappresentare il polo monastico nella proto-contea di Aversa che nel 1054 era stata elevata a sede episcopale da papa Leone IX. Sia l'abbazia e sia la cattedrale, dedicata a San Paolo, condivisero i tratti del monachesimo benedettino. Alla fine dell' XI secolo i normanni Guitmondo e Guarino, fratelli e monaci benedettini, si ritrovarono rispettivamente vescovo di Aversa e abate di San Lorenzo. Guitmondo era stato monaco al monastero di Bec in Normandia con sant’Anselmo e con Lanfranco di Pavia; egli alle lusinghe di un episcopato anglo-normanno aveva preferito il cammino del pellegrino che lo aveva portato prima a Roma e poi ad Aversa (1088-1094) a rappresentare nella diocesi normanna la riforma ecclesiastica voluta da Gregorio VII. Dalla sua Cattedrale eretta in stile borgognone Guitmondo ispirò la vita dei locali monasteri benedettini, San Biagio delle monache e soprattutto San Lorenzo, che si organizzarono secondo i dettami dello spirito di Cluny. Il monaco vescovo normanno non aveva vissuto una esperienza isolata del pellegrinaggio; egli, in effetti, si ritrovò in una scia più antica percorsa fin dall'anno mille dai militi normanni che a gruppi numerosi si recavano pellegrini lungo la via micaelica, da Mont Saint Michael ad duas tumbas in Normandia a Monte San Michele al Gargano, per venerare il luogo dell'apparizione dell'Arcangelo. Di uno di quei gruppi di guerrieri penitenti faceva parte Rainulfo Drengot che era rimasto con le sue schiere sul territorio e aveva fondato in Aversa (1030) la prima contea normanna dell’Italia Meridionale riconosciuta dall'imperatore Corrado II. Con la politica del suo intervento militare negli equilibri del potere contrapposto tra longobardi e bizantini, Rainulfo era riuscito ad estendere il dominio della contea aversana dal Gargano a Gaeta, costituendo per i Normanni, che sempre più numerosi si portavano in Campania, la base per una inarrestabile espansione e per la conquista dell’Italia meridionale fino a Palermo. 
Nell'epoca della espansione normanna il monastero di San Lorenzo di Aversa, grazie alle donazioni signorili (vedi Codice Diplomatico Normanno di Alfonso Gallo), ebbe la disponibilità di possedimenti estesi e dislocati lungo la via sacra tra Campania e Puglia, dal Lago di Patria fino al santuario di Monte San Michele al Gargano. L'abbazia ebbe altresì privilegi importanti, anche papali, che la rendevano indipendente dall'episcopio aversano e detentrice di vasti possedimenti di terre e di chiese dislocate nella diocesi aversana e in aree extra-diocesane. 
Tra le sue mura fu tenuto relegato a vita l'antipapa Alberto Atellano eletto nel 1101 in opposizione al papa Pasquale II. Nel XII secolo la chiesa abbaziale, configurata nel vasto impianto basilicale, raggiunse i livelli più alti del sua grandezza e del suo decoro architettonico. Negli anni del governo dell'abate Matteo fu realizzato lo splendido portale marmoreo dal maestro Berardo, i nomi si leggono incisi sull'architrave, ed il pavimento fu fatto con un mosaico in marmo ricco di artistici motivi. 
Nella vicenda storica del monastero di San Lorenzo di Aversa dal medioevo ai tempi recenti si evidenziano aspetti significativi ed originali della cultura benedettina europea. Recentemente nell'antica chiesa abbaziale si è discussa e trattata proprio questa cultura con la presentazione di un libro di dom. Mariano dell'Omo in un importante e gremito convegno sul monachesimo occidentale.

Bibliografia: Chronicon Volturnense; Codice Diplomatico Normanno

domenica 25 marzo 2012

Larino: memoria molisana di un vescovo frattese dell'800


Cattedrale di Larino           Vescovo Raffaele Lupoli
Larino (Cb) è un luogo interessantissimo che sembrerebbe oggi isolato dalle grandi direttrici di viaggio e raggiungibile solo con una precisa motivazione. Si trova invece sull'antica strada per l'Adriatico che congiungeva Benevento Campobasso e Termoli, all'incrocio delle vie dei commerci della fede e della transumanza che portavano le genti, i pellegrini e i pastori dall’Abruzzo, dal Lazio e dalle Marche ai porti della Puglia al Santuario Micaelico del Gargano e ai pascoli della Capitanata.
La città, che all'inizio dell’800 fu sede vescovile del frattese Raffaele Lupoli, redentorista discepolo di Sant’Alfonso e vescovo per obbedienza al Papa, non si trova più sulla direttrice principale che invece oggi si dipana agevolmente sul fondo valle del Biferno ed è per questo detta bifernina, sulla quale a pochi chilometri da Termoli s’innesta il risalente percorso antico tra gli uliveti nello splendido panorama.
Per gli storici, per i Frattesi, per gli appassionati di storia dell'arte, per gli escursionisti attenti, Larino rappresenta una meta eccezionale e sorprendente, ricca di coinvolgenti stimoli di riflessione e di lapidarie testimonianze. Per i Frattesi, in particolare, sarà piacevole la scoperta dell’ospitalità e della disponibilità delle persone del luogo, come quella del personale di custodia della Cattedrale. Questo atteggiamento è espressione di un vivo e sentito onore per il Vescovo concittadino, per il quale Larino nutre una devozione come per un santo e per la celebrazione del quale la cultura locale, con l'impegno dello storico G. Mammarella e del Lyon’s Club, ha prodotto una bella monografia ricca di riferimenti riguardanti Frattamaggiore. 
Sicuramente non secondari per la storia della Chiesa meridionale tra ‘700 ed ‘800 possono essere considerati i temi espressi nell’esperienza episcopale di Raffaele Lupoli, uno dei tre vescovi che la casa Lupoli di Frattamaggiore aveva a quell'epoca dato alla Chiesa. L'esperienza del vescovo di Larino fu espressione precipua della spiritualità del nascente Ordine Redentorista fondato da Sant’Alfonso, influenzata dalla scuola di Vincenzo Lupoli vescovo di Cerreto e Telese e dello zio padre Sossio Lupoli amico della prima ora dello stesso Sant’Alfonso, intimamente legata al consiglio del fratello Michele Arcangelo arcivescovo di Conza e di Salerno. In tanta religiosità non secondarie risultano essere le iniziative e le numerose opere di Teologia Morale, di Pastorale e di Storia della Chiesa che i Vescovi di casa Lupoli hanno offerto alla cultura, alla riforma dei Seminari Diocesani meridionali e all'attività ecclesiastica del tempo.
Per l'interesse storico ed archeologico Larino si presenta con una vicenda ragguardevole. La zona archeologica della città romana si estende nella contrada di San Leonardo, ed in essa sono visibili oltre i resti dell'anfiteatro (II-I secolo a.C.) anche residuati ellenistici del III sec. a.C., resti di terme, di pozzi, di un tempio e della cosiddetta ara frentana. Nel periodo barbarico Larino divenne punto di riferimento importante sulla via della diffusione del cristianesimo e dello sviluppo delle abbazie monastiche benedettine.
La Larino odierna conserva l'aspetto medievale che è esaltato dalla presenza della Cattedrale, dedicata a san Pardo e risalente al 1319, e dai palazzi signorili che costeggiano l'antico sistema viario. La cattedrale è patrimonio notevole dell'arte molisana; la sua facciata si offre alla vista con un portale gotico-ogivale di notevole bellezza, e con un rosone a tredici raggi. L'interno contiene affreschi trecenteschi ed altre opere notevoli. Nella sala capitolare si notano un altare marmoreo ed una cattedra scolpita. Altra chiesa del centro storico larinense è quella dedicata a San Francesco, di stile barocco e con varie opere ed affreschi del settecento.

Bibliografia: 
Pasquale Saviano, Larino; in: Rassegna Storica dei Comuni N.106-107 2001

http://www.comunelarino.it/

mercoledì 21 marzo 2012

Regola e vita di San Benedetto alle origini del monachesimo europeo


San Benedetto
Sacro Speco di Subiaco
Generalmente alla Regula Sancti Benedicti si da il merito di essere il riferimento fondativo del monachesimo occidentale. In effetti il periodo storico della sua formulazione fu caratterizzato da riforme e codificazioni giuridiche che avevano investito la cultura romana e bizantina, ed avevano prodotto con l'imperatore Giustiniano (527-565) il riordinamento della legislazione romana mediante il Corpus Iuris Civilis. In quel tempo San Benedetto ebbe il merito di unificare in una sorta di Corpus le varie Regole sulla vita monastica circolanti in Oriente e in Occidente. La Regula benedettina, coeva alle Institutiones di Cassiodoro e ad una Regula Magistri sorta negli ambienti monastici campani, andò recuperando nella bella sintesi spirituale del suo autore anche norme e stimoli provenienti da S. Agostino, da S. Basilio, da Cassiano e dalle Vitae Patrum.
Nella sua opera del 1912 L'ordre monastique des origines au XII siecle lo storico benedettino belga D. Ursmer Berlière mise a confronto l'opera di Benedetto da Norcia (480-547), fondatore dei monasteri di Subiaco e di Montecassino, e quella del contemporaneo Cassiodoro (490-580), ministro del re Teodorico, che scelse la vita religiosa ed avviò una esperienza monastica comunitaria a Vivario in Calabria. Le differenze annotate dallo storico indicavano i due come fondatori di due monachesimi diversi, e ponevano l’opera di San Benedetto su un piano più spirituale e l'opera di Cassiodoro su un piano più intellettuale. 
I riferimenti comuni tra Benedetto e Cassiodoro sono storicamente posti negli ambienti culturali ed ecclesiastici romani della prima metà del VI secolo, e in particolare sono legati all'opera del papa S. Ormisda (514-523), il quale procurò il riavvicinamento a Roma delle comunità orientali ed avviò una riformulazione delle esperienze spirituali e comunitarie della vita cristiana. In questo modo il medioevo europeo al suo sorgere trovò nei due Padri fondatori dei cenobi e degli scriptoria i rappresentanti primari della spiritualità e della cultura.
Per queste ragioni all’opera scritta di Benedetto si attribuisce grande peso nella fondazione del monachesimo occidentale. Più correttamente il monachesimo appare come il frutto della santità personale di Benedetto e del suo essere uomo di Dio, come dice di lui il papa S. Gregorio Magno, suo primo biografo e monaco della prima generazione benedettina. Il santo papa, infatti, rivolgendosi al diacono Pietro nel Libro II dei suoi Dialoghi così parla di Benedetto e della sua opera:
"Mi piacerebbe, Pietro, di narrare ancora molto di questo Venerabile Padre, ma è necessario che io tralasci volutamente alcune cose per affrettarmi a ricordare la vita di altri. Però non ti sia nascosto che l'uomo di Dio, tra tanti miracoli che lo resero popolare, rifulse anche per non mediocre opera dottrinale. Egli scrisse la regola dei monaci, insigne per discrezione, chiara per esposizione. Veramente se alcuno vuol conoscere i costumi e la vita del santo con più accuratezza, può scoprire nell'insegnamento della regola tutti i documenti del suo magistero, perché l'uomo di Dio non ha affatto insegnato diversamente da quello che è vissuto".
Il Venerabile Padre San Benedetto che aveva insegnato la Regola ai Monaci, così come l'aveva vissuta, andò concependola e realizzandola a partire dalle sue prime esperienze nella Roma dell'inizio del VI secolo, nei cui ambienti culturali e religiosi egli si mosse criticamente come giovane intellettuale alla ricerca di Dio, preceduto sulla via religiosa dalla sorella Scolastica. Egli si inoltrò per la vita monastica, prima eremitica e poi cenobitica, vissuta all’eremo dello Speco e ai primi monasteri di Subiaco, e poi continuata come abate nel cenobio di Montecassino. Da quel luogo veramente la Regula Sancti Benedicti si diffuse dappertutto e fu considerata la Regula Sancta.

Bibliografia dell'autore in: Il Sacro Speco, rivista dei Benedettini di Subiaco.

sabato 17 marzo 2012

Pellegrinaggio quaresimale in Campania


La geografia religiosa del cristianesimo in Campania è costellata di luoghi e di santuari che stimolano la conversione quaresimale ed incoraggiano il pellegrinaggio penitenziale. Soprattutto i santuari extra-urbani, numerosi nella regione, si propongono come mete verso cui recarsi in cammino, nel tempo e nello spazio, per la riscoperta della esperienza del sacro, della solitudine, del silenzio, della riflessione e della preghiera. Il contesto del tempo quaresimale valorizza, più che in altro tempo, questi luoghi e la loro attesa del pellegrino penitente che si pone in cammino verso la Pasqua. Essi sono situati intorno al 'deserto' che è oltre le mura del paese e alle propaggini della grande città; inseriti nelle verdi campagne, contornati da cittadelle religiose, o arroccati sui cigli montani, a testimoniare la presenza di Dio, e dei padri spirituali confessori dei vari ordini religiosi e monacali che accolgono i tanti figliuoli prodighi che intendono onorare il precetto sacramentale "almeno una volta all'anno", e che sciolgono il loro voto preferibilmente in ambiti esterni a quelli parrocchiali.
E' la voglia di grazia supplementare che spinge spesso il pellegrino a muoversi verso il santuario lontano e rinomato, nel tentativo di ricostruire il personale equilibrio spirituale, e di vivere in maniera mirabile lo scambio dei doni della fede con l'aiuto alle iniziative caritative e con il recupero delle forti benedizioni che ne derivano. E' il convincimento di dover compiere un atto eccezionale e meritorio, al di fuori del quotidiano e del ricorrente domenicale, per ristabilire e rinnovare il dialogo con Dio, con Cristo e con la Chiesa; alla maniera biblica ed antica, nel percorso solitario e faticoso verso i luoghi e verso i templi dove, più che altrove, la presenza del divino sembra far crescere i frutti della conversione. La pastorale locale ed urbana dovrebbe tener moltissimo conto di questa realtà e di questo comportamento che è comune a tanti fedeli, che è atavicamente consolidato nelle coscienze, e che è facilmente esperibile in questi tempi di facile locomozione.
Santuari come quelli di Montevergine, della Madonna dell'Arco, di Materdomini e di Pompei, sono mete di pellegrinaggi antichi e moderni e caratterizzano fortemente il panorama della religiosità in Campania, rappresentando una estensione, e talvolta un'alternativa più o meno utile, della pratica ufficiale. Essi rappresentano sicuramente luoghi significativi da raggiungere nello spirito quaresimale. Molto opportuno sarebbe anche il recupero cosciente di un loro significato come riferimenti spaziali e storici della testimonianza e della vita cristiana nella regione. Lo scenario di diffusa sacralizzazione di luoghi e di opere che essi compongono, insieme con tantissimi altri santuari diffusi per la nostra terra, è una sollecitazione importante per chi intende andare, anche se pellegrino di un giorno, alla ricerca di Dio e della santità, e del suo storico manifestarsi anche nei siti nostrani. Si scopriranno così strutture templari, vocazioni e mistiche diversificate; esempi e benedizioni variegate; modelli molteplici della santità, delle opere sante, della vita religiosa e secolare, delle tradizioni popolari. 
I riferimenti benedettini medievali si possono incontrare nell'antica Materdomini nocerina, nella Trinità di Cava, in Montevergine, in Sant'Angelo in Formis. Quelli francescani, dal medievale al rinascimentale, dall'antico al moderno, si evincono in Santa Maria Occorrevole a Piedimonte Matese, in Santa Maria della Vigna a Pietravairano, in Sant'Antonio a Teano, in Santa Maria dei Lattani a Roccamonfina, in Santa Croce a Pignataro, in Sant'Antonio ad Afragola, in Santa Caterina e San Pasquale a Grumo Nevano, nella Madre del Buon Consiglio a Frigento. 
La spiritualità domenicana è presente nella Madonna dell'Arco e, unita con quella pontificia e diocesana, nella Beata Vergine del Rosario a Pompei. Quella alfonsiana e redentorista è presente in Materdomini di Caposele, più conosciuta come San Gerardo, a Scala, a Pagani e sul Colle Sant'Alfonso al Vesuvio. Altre spiritualità, laiche, religiose, secolari, diocesane, sono presenti nel Tempio di Casapesenna, nel Santuario di Capaccio, in Santa Maria di Carpignano, in Maria SS. Del Taburno, in Santa Maria della Neve a Casaluce, in Santa Maria della Ruota dei Monti a Leporano, nella Madonna del Carpinello, in Santa Filomena del Cardinale, in San Guglielmo al Goleto; nel San Michele di Casertavecchia e in quelli di origine longobarda dei colli della regione.
I santuari extra-urbani, quindi, possono considerarsi come possibili punti di arrivo delle molteplici direzioni che si presentano sul cammino di chi intende dare al moto interiore, e spirituale, della ricerca di Dio anche una corrispondenza esteriore, efficacemente localizzabile e rintracciabile sul territorio.

Approfondimento:
http://www.storialocale.it/luoghi/santuaricampani/santuari_campani.pdf




venerdì 2 marzo 2012

Versanti di profonda umanità al centro di Napoli


E' il senso del messaggio scritto nella lettera della collega  A.M. Anastasia inviata a la Repubblica a fine febbraio. Riguarda il vivere di emarginati che si incontrano accampati sulle soglie e negli atri cancellati di antiche chiese, o ai piedi di monumenti e tra le siepi dei giardini circostanti. Su questo vivere, generato da una molteplicità di cause (scacco relazionale, sbandamento, abbandono, migrazione, disoccupazione, povertà...), si confrontano e confliggono culture del pregiudizio e culture dell'accoglienza. La problematica permane nella sua drammaticità ed interpella la ricerca, la comunicazione, l'etica, la politica, la religione; invoca liberazione, solidarietà, servizio, volontariato e cooperazione. La lettera è maturata nell'atteggiamento di una persona che partecipa e sostiene le iniziative della Comunità di Sant'Egidio; è stata scritta in risposta ad un'analisi pregiudiziale che si era andata affermando circa i segni del degrado civile presente a Napoli. La discussione sui contenuti della lettera ha rappresentato un'occasione offerta al dialogo educativo e didattico in una classe liceale e ne sono sortiti interessanti riflessioni e commenti. Riporto la lettera e qualche commento studentesco.
“Anche i cani randagi ricevono cibo e sopravvivono così, con i cartocci lasciati dove sostano: non dovrebbero sopravvivere anche esseri umani, nostri simili che per disgrazia e sfortuna incrociamo in angoli di strada come cuccioli abbandonati? Certo che si... Questa domanda dovremmo porcela ognuno di noi e cercare di arrivare in fondo ai nostri cuori. I senzatetto sono 'Persone' che più di altri hanno bisogno di affetto, cura, attenzioni, e non devono essere lasciati abbandonati a se stessi;  non sono sacchi di immondizia da portare via nelle discariche. Cacciando via loro dalle strade non si pulirebbe la città, ma si sporcherebbe la nostra coscienza per un atto di non solidarietà. Un complimento andrebbe, invece, fatto a loro che nonostante tutto non hanno mollato, hanno deciso di combattere contro il freddo, il gelo, il caldo torrido, ma più di tutto contro la loro stessa vita non sicuramente felice e tranquilla. A Napoli il degrado da anni è a causa dell'inciviltà e dell'icapacità, e non certo a causa di persone che dovrebbero essere aiutate con amore a superare il loro dolore e la loro afflizione.” (Samantha Riemma)
“Napoli come tantissime altre città ospita da anni povere persone che sostano in alcuni posti per sopravvivere. Ci sono molti che ritengono ciò un degrado della città, un qualcosa che la svalorizza. Secondo me il vero degrado della città si trova nella mancanza di solidarietà verso queste persone, perchè è facile parlare quando non si vive veramente in una situazione così drammatica. Molti pensano che non ci sono soluzioni, non esistono vie d'uscita per salvare chi si trova in queste condizioni. Ma io sono fiduciosa e penso che sia il Comune di Napoli e sia i Comuni di altre città possono trovare soluzioni innovative, come la fondazione di case di accoglienza, mense, ecc...” (Maria Grazia Russo).