domenica 6 ottobre 2013

La “marcia per la vita”: mobilitazione civile e movimento nuovo nel giorno di San Francesco

La sera del 4 Ottobre 2013, giorno dedicato a San Francesco d'Assisi, molte decine di migliaia di persone, di ogni età e professione, clero diocesano, religiosi e laici, hanno preso parte alla “Marcia per la vita” da Orta di Atella al Santuario di Campiglione di Caivano. Circa 5 chilometri di cammino percorso per manifestare contro la devastazione del territorio rurale a causa dei sotterramenti e dei roghi dei rifiuti tossici e per ergersi a difesa della salute sempre più mortalmente minacciata dall'inquinamento ambientale. Il concetto mediatico diffusosi da qualche anno è quello della “terra dei fuochi”, frontiera di una campagna di denuncia e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, e di stimolo alle istituzioni, che ha preso consistenza crescente grazie all'opera e alla testimonianza del parroco d. Maurizio Patriciello e della sua comunità al 'Parco verde' di Caivano. La stessa Diocesi ha fatto dell'argomento ambientale locale uno dei temi fondamentali della sua azione pastorale che si ispira al magistero teologico della 'Salvaguardia del Creato'.
La “mobilitazione civile” è la categoria concettuale con cui il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto salutare con una lettera a don Maurizio l'iniziativa della “Marcia per la vita”.
Il “movimento nuovo” che caratterizza la partecipazione dei fedeli alla vita diocesana è stata la categoria utilizzata dal Vescovo di Aversa Angelo Spinillo per raccogliere la speranza e dare senso religioso alla grande partecipazione popolare che ha animato la “Marcia per la vita”.
Seguono le parole di Giorgio Napolitano, scritte a don Maurizio, le parole della riflessione poetica letta da don Maurizio la sera della “marcia” sulla piazza del Santuario di Campiglione, e le parole di benedizione dette nella stessa occasione a conclusione della serata dal Vescovo Angelo Spinillo.

Le parole del Presidente Giorgio Napolitano
Caro don Patriciello, ho ricevuto la cortese lettera con la quale mi conferma l'imminente avvio della "Marcia per la vita" organizzata per il 4 ottobre prossimo. Confido vivamente che essa contribuisca nello spirito costruttivo che avverto nella Sua lettera, a consolidare quella mobilitazione civile necessaria a ben orientare le condotte di ciascuno - cittadini, imprese, istituzioni, operatori - verso il comune obiettivo di dare soluzioni concrete a situazioni critiche di grande complessità.
Giorgio Napolitano

La riflessione poetica di d. Maurizio Patriciello
TERRA MIA

Terra. Terra mia. Terra nostra. Terra martoriata e bella. Terra di fumi e di veleni. Dolcissima amica dei miei antenati. Oggi tanto umiliata e calpestata. Gemi. Fino al cielo sale il tuo lamento. Boccheggi. Ma ancora non ti arrendi. Lotti. Fino allo stremo ti difendi. Non vuoi morire. Madre. Sorella. Figlia. Compagna dei miei infantili giochi. Ci hai fatto da nutrice. Quando il cuore scoppiava di allegria. E quando il dolore ci faceva piangere a singhiozzi. Ci hai donato l’ aria per vivere e la gioia di cantare. Ti facevi soffice per non farci fare male. Fertile per darci pane da mangiare. Terra. Terra mia. Terra nostra. Terra elegante e vanitosa. Il tuo manto verde in primavera, a giugno si faceva giallo come l’oro. In autunno riempivi la cantine. Di profumi, di mosto e di buon vino. Che festa! Che gioia! Che incanto! Che sapori! Terra mia. Terra dei padri miei. Terra dei figli miei. Figli impoveriti. Maltrattati. Rapinati. Siamo stati con loro cattivi più del lupo. Oggi ti sfuggono. Di te hanno paura. Ti abbandonano. Partono per altri lidi. Terra mia. Terra avvelenata. Insultata. Sfregiata. Ti hanno insozzato il vestito della festa. Hanno annerito il tuo cielo bello come il mare. Ritorna, terra, ad essere nostra amica. Con vergogna ci battiamo il petto. La tua agonia ci addolora. La tua morte ci condanna a morte. Se tu risorgi, noi speriamo ancora. Ritorna, terra, alla vocazione antica. Fallo per loro. Per i figli che non abbiamo amato. Fallo per loro. Già troppo sono stati derubati. Allarga ancora, signora, le tue braccia. E quel cuore sconfinato, immenso come Iddio. Terra. Terra nostra. Terra mia.
Padre Maurizio PATRICIELLO


La conclusione benedicente del Vescovo Angelo Spinillo
Concludiamo questo nostro momento nella foma più semplice. Vi confesso una tentazione. Cinquant'anni fa un papa affacciandosi da una finestra una sera di ottobre parlò della luna che guardava un movimento nuovo nella storia. Noi non la vediamo questa sera la luna. Ma il movimento nuovo nella nostra storia ci sta. E siamo noi. E se allora il papa Giovanni XXIII annunziava questo cammino che sperava fatto da una umanità credente, una umanità capace di annunziare una pace nuova sulla terra, ecco noi questa sera in questo luogo siamo un poco come coloro che possono dire che mai nella nostra terra si è visto un movimento così. E allora fratelli carissimi non possiamo sprecare questa occasione. Dobbiamo davvero da oggi in poi essere nuovi. Nuovi nel nostro amare la terra. Nuovi nel custodirla come un dono prezioso. Chi custodisce e ama la terra ama Dio che l'ha creata e che ce l'ha donata. Chi continua ad inquinarla è in peccato mortale: è contro Dio e contro gli uomini. 50 anni fa, 51 per la precisione, papa Giovanni concluse invitando tutti a ritornare a casa con una speranza nuova nel cuore, e usò quell'espressione che tutti ricordate: “portate una carezza ai bambini”. Non oso ripetere le stesse parole di Giovanni XXIII, ma auguro a tutti di portare nel cuore davvero questa speranza nuova che dipende solo da noi, in gran parte da noi, per la vita dei nostri ragazzi e dei nostri figli. E su questo grande, immenso, desiderio di vivere che tante volte abbiamo invocato questa sera, vi prego di accogliere ciò che solo posso darvi, con tutto il cuore: la benedizione di Dio.

Angelo Spinillo

sabato 5 ottobre 2013

San Francesco d'Assisi visto da Papa Francesco

L'Omelia di Papa Francesco del 4 ottobre 2013, detta durante la celebrazione della Santa Messa sulla Piazza del Portico dei Pellegrini della Basilica del Santo, contiene un grande ritratto di agiografia pastorale con preghiera di San Francesco d'Assisi.
Il “Pace e Bene” salutare del cammino francescano, che proviene dalla unione nell'animo del Santo dell' “amore per i poveri e dell'imitazione di Cristo povero”, si origina “dallo sguardo di Gesù sulla croce”. La Pace francescana “non è un sentimento sdolcinato” ed il Francesco ingenuamente associato a questo sentimento “non esiste”, come non esiste l'idea della pace legata ad una sorta di “armonia panteistica con le energie del cosmo”.
La pace di Francesco è quella di Cristo, e la trova colui che “prende su di sé” il “giogo” del comandamento della Carità - Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (Gv13,34; 15,12) - e lo porta senza arroganza e presunzione, ma “con mitezza e umiltà di cuore”.
Propongo direttamente alla lettura l'omelia del Santo Padre raggiungibile sul portale del Vaticano.

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Francesco, Assisi
Venerdì, 4 ottobre 2013

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).
Pace e bene a tutti! Con questo saluto francescano vi ringrazio per essere venuti qui, in questa Piazza, carica di storia e di fede, a pregare insieme.
Oggi anch’io, come tanti pellegrini, sono venuto per rendere lode al Padre di tutto ciò che ha voluto rivelare a uno di questi “piccoli” di cui ci parla il Vangelo: Francesco, figlio di un ricco commerciante di Assisi. L’incontro con Gesù lo portò a spogliarsi di una vita agiata e spensierata, per sposare “Madonna Povertà” e vivere da vero figlio del Padre che è nei cieli. Questa scelta, da parte di san Francesco, rappresentava un modo radicale di imitare Cristo, di rivestirsi di Colui che, da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). In tutta la vita di Francesco l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile, le due facce di una stessa medaglia.
Che cosa testimonia san Francesco a noi, oggi? Che cosa ci dice, non con le parole – questo è facile – ma con la vita?
1. La prima cosa che ci dice, la realtà fondamentale che ci testimonia è questa: essere cristiani è un rapporto vitale con la Persona di Gesù, è rivestirsi di Lui, è assimilazione a Lui.
Da dove parte il cammino di Francesco verso Cristo? Parte dallo sguardo di Gesù sulla croce. Lasciarsi guardare da Lui nel momento in cui dona la vita per noi e ci attira a Lui. Francesco ha fatto questa esperienza in modo particolare nella chiesetta di san Damiano, pregando davanti al crocifisso, che anch’io oggi potrò venerare. In quel crocifisso Gesù non appare morto, ma vivo! Il sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato, ma quel sangue esprime vita. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati: uno sguardo che parla al cuore. E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che è vita, che genera vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore, anzi, sconfigge il male e la morte. Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso viene ri-creato, diventa una «nuova creatura». Da qui parte tutto: è l’esperienza della Grazia che trasforma, l’essere amati senza merito, pur essendo peccatori. Per questo Francesco può dire, come san Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14).
Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci a rimanere davanti al Crocifisso, a lasciarci guardare da Lui, a lasciarci perdonare, ricreare dal suo amore.
2. Nel Vangelo abbiamo ascoltato queste parole: «Venite a me, voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29).
Questa è la seconda cosa che Francesco ci testimonia: chi segue Cristo, riceve la vera pace, quella che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce. E’ la pace che Gesù Risorto donò ai discepoli quando apparve in mezzo a loro (cfr Gv20,19.20).
La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cfr Gv 13,34; 15,12). E questo giogo non si può portare con arroganza, con presunzione, con superbia, ma solo si può portare con mitezza e umiltà di cuore.
Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: insegnaci ad essere “strumenti della pace”, della pace che ha la sua sorgente in Dio, la pace che ci ha portato il Signore Gesù.
3. Francesco inizia il Cantico così: “Altissimo, onnipotente, bon Signore… Laudato sie… cun tutte le tue creature” (FF,1820). L’amore per tutta la creazione, per la sua armonia! Il Santo d’Assisi testimonia il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo; aiutarlo a crescere, a essere più bello e più simile a quello che Dio ha creato. E soprattutto san Francesco testimonia il rispetto per tutto, testimonia che l’uomo è chiamato a custodire l’uomo, che l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio - il Creatore - lo ha voluto. Non strumento degli idoli che noi creiamo! L’armonia e la pace! Francesco è stato uomo di armonia, uomo di pace. Da questa Città della Pace, ripeto con la forza e la mitezza dell’amore: rispettiamo la creazione, non siamo strumenti di distruzione! Rispettiamo ogni essere umano: cessino i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda il posto all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione. Sentiamo il grido di coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della violenza, del terrorismo o della guerra, in Terra Santa, tanto amata da san Francesco, in Siria, nell’intero Medio Oriente, in tutto il mondo.
Ci rivolgiamo a te, Francesco, e ti chiediamo: ottienici da Dio il dono che in questo nostro mondo ci sia armonia, pace e rispetto per il Creato!
Non posso dimenticare, infine, che oggi l’Italia celebra san Francesco quale suo Patrono. E do gli auguri a tutti gli italiani, nella persona del Capo del governo, qui presente. Lo esprime anche il tradizionale gesto dell’offerta dell’olio per la lampada votiva, che quest’anno spetta proprio alla Regione Umbria. Preghiamo per la Nazione italiana, perché ciascuno lavori sempre per il bene comune, guardando a ciò che unisce più che a ciò che divide.

Faccio mia la preghiera di san Francesco per Assisi, per l’Italia, per il mondo: «Ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non voler guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordarti sempre della sovrabbondante pietà che in [questa città] hai mostrato, affinché sia sempre il luogo e la dimora di quelli che veramente ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e gloriosissimo nei secoli dei secoli. Amen» (Specchio di perfezione, 124: FF, 1824).


giovedì 3 ottobre 2013

San Francesco d'Assisi diacono

Assisi - Basilica inferiore
dipinto del XIV secolo
Le Fonti Francescane (FF), in particolare la Vita Prima di Tommaso da Celano, portano la testimonianza scritta che San Francesco era diacono. Vi sono anche fonti iconografiche in cui Francesco appare con il segno proprio e la veste liturgica del diacono: Il libro del Vangelo e la dalmatica.
La testimonianza scritta del Celano si riferisce alla notte di Natale del 1223 quando Francesco si trovava all'eremo di Greccio e volle realizzare con la gente del luogo una rappresentazione viva della Natività di Betlemme, il primo presepe vivente della tradizione popolare natalizia italiana.
Leggiamo di seguito la narrazione.

E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. 
Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. 
In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.

Assisi - Basilica superiore
Giotto - Presepe di Greccio
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. 
Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. 
Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. 
E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. 
Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. (FF 469-470)

Assisi - Basilica superiore
Giotto - Innocenzo III approva la Regola
Francesco era diacono”: il Celano rimanda ad un tempo più remoto di quella notte del 1223 il contesto dell'ordinazione diaconale del santo della quale non si legge in altra fonte.
Grazie ad altri luoghi delle fonti francescane si possono avere indicazioni per giustamente collocare l'ordinazione diaconale nel decennio precedente ed ancorarla all'approvazione verbale della Vita (Regola) che Francesco ebbe nel 1209 per la sua fraternità da Papa Innocenzo III insieme con l'Autorizzazione Apostolica alla predicazione del Vangelo. Il Papa impose a Francesco e ai suoi Frati di prendere la tonsura; così rendendoli chierici li pose al servizio religioso della Chiesa ed evitò la dispersione ereticale della loro originale esperienza di radicale povertà evangelica. Il cardinale Ugolino che appoggiò moltissimo le istanze francescane presso il Papa, anche del successore Onorio III eletto nel 1216, assunse poi il ruolo di protettore del nascente ordine francescano.
Nel profondo legame con il Vescovo di Assisi, che venerava come un padre, e con la Gerarchia di Roma, si ritrova il contesto originario dell'ordinazione di frate Francesco diacono, prima chierico e predicatore itinerante, il quale non volle accedere al presbiterato per umiltà e persistente spirito di servizio ai fratelli e al Signore.
La scelta di Francesco di rimanere permanentemente diacono assume oggi un particolare significato storico-teologico che attiene l'ordine e la funzione del diaconato in quanto tale nella Chiesa.
Dalla sua istituzione nella Chiesa apostolica del I secolo fino all'epoca altomedievale (VI-VII secolo) il diaconato ha avuto sempre una sua dimensione caratterizzante all'interno dell'ordine ecclesiale (diacono, presbitero, vescovo); poi per i secoli successivi, fino al Concilio Vaticano II nel XX secolo, esso è stato vissuto nella pratica soprattutto come una fase del cammino verso l'ordinazione sacerdotale. Il Concilio di Trento (XVI secolo) riconobbe e ripropose il carattere permanente del diaconato, ma esso fu ancora essenzialmente vissuto come transito per il sacerdozio.
Il diaconato permanente, che oggi è tornato ad essere vissuto in maniera significativa nell'ambito dell'ordine ecclesiale, ha poi ricevuto la sua definizione dal magistero del Vaticano II nella Lumen Gentium (LG), la costituzione dogmatica sulla Chiesa del 1964.
La scelta 'minore' di Francesco di rimanere diacono, profetica per l'esperienza ecclesiale e per la spiritualità del suo tempo, era in linea con le dimensioni ecclesiali del diaconato delle origini e ridonava ad esso l'antica forma spirituale della vocazione al servizio e della carità operante:
In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella diaconia della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e col suo presbiterio” (LG III, 29).