domenica 24 febbraio 2013

In preghiera siamo sempre vicini. Il saluto di Benedetto XVI


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme...

E' il Vangelo della Trasfigurazione (Lc 9, 28-36), quello della II domenica di Quaresima di questo 2013, che viene commentato dal Santo Padre affacciato su Piazza San Pietro per la recita del suo ultimo Angelus insieme con oltre 100.000 fedeli giunti da ogni parte del mondo. Egli lo applica al suo disporsi al compito della preghiera che il Signore gli assegna a compimento del suo pontificato: 
Questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze.” 
E si congeda rimanendo con la gente, vicino al cuore della speranza, accanto, nella preghiera che ci avvicina nella luce del Signore oltre il tempo ed il luogo.



venerdì 15 febbraio 2013

Bisognava far festa e rallegrarsi... Omaggio al Santo Padre


La Domenica mattina del 16 settembre 2001 ebbi l'occasione di 'sentire' la Santa Messa celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger nella cattedrale di Aversa. Con la sua omelia spiegò la parabola del figliol prodigo letta al Vangelo (Luca 15,1-32). Dalla giovinezza sono abituato a partecipare alla Messa domenicale della mia parrocchia frattese di San Rocco, e quella mattina mi ritrovai in cattedrale spinto dalla speranza di recuperare il mio ombrello color amaranto a cui mi ero affezionato e che avevo dimenticato il pomeriggio di sabato 15 settembre trascorso nell'ascolto della relazione del cardinale al Convegno Pastorale. Il tema era stato “L'ecclesiologia del Vaticano II” sviluppato in tre momenti: 1. La Chiesa come Corpo di Cristo; 2. Chiesa come popolo di Dio; 3. L'ecclesiologia di comunione. Fu una esperienza di apprendimento di conoscenza di spiritualità e di verifica della fede, importatissima per tutto il popolo diocesano convenuto. La costatazione di un magistero illuminante e benedetto.
Quella domenica mattina andai alla inutile ricerca dell'ombrello, prima tra gli scranni e poi verso la sacrestia posta dopo il cancello di accesso al deambulatorio normanno che gira intorno all'abside.
Fu una bella sorpresa incontrare il cardinale che era sceso dalle scale dell'episcopio e si era inoltrato solitario nel deambulatorio per accingersi alla celebrazione domenicale del mattino. Un devoto saluto ed un brevissimo e sorridente dialogo informale che ricordo ancora con gratitudine.
Nei 12 anni trascorsi da quel giorno sono successe tante cose, personali, ecclesiali, storiche.
La Chiesa ha vissuto il compimento del papato del beato Giovanni Paolo II; poi la guida settennale del cardinale Ratzinger eletto papa Benedetto XVI; del quale oggi vive in una modalità inaspettata anche il compimento del suo pontificato.
Il 11 febbraio 2013 Benedetto XVI ha comunicato al Concistoro dei Cardinali ufficialmente in latino la sua decisione di grande importanza per la vita della Chiesa ("Decisionem magni momenti pro Ecclesiae vitae"): “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”.
Dalla sera del 28 febbraio 2013 la sede di Pietro sarà sede vacante e si dovrà convocare il Conclave per l'elezione di un nuovo Pontefice.
L'impatto di questa comunicazione, per un un unicum ecclesiale storico, è stato enorme ed è ancora persistente su tutti i media mondiali. Le problematiche sollevate e le interpretazioni avanzate sono innumerevoli, religiose e laiche. Resta il fatto di una decisione 'canonica' sofferta e pregata, presa secondo le parole di Benedetto XVI "Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata."
No comment. Bisogna fermarsi sulla soglia del mistero del lavorio interiore e spirituale del Santo Padre svolto alla presenza di Dio.
Si può forse comprendere un poco con il sentimento dei discepoli di Emmaus, precalato in questo tempo quaresimale. Cerco di farlo ricordando la festa della fede ritrovata e del perdono, del figlio che ritorna e del padre che lo anticipa sul cammino dell'incontro. Ricordando le parole conclusive del convegno aversano del cardinale: “La Chiesa si desti nelle nostre anime. Maria ci mostra la via.”
In un libro del 1997 (JOSEPH RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del terzo millennio. Un colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo, Ed. S. Paolo 1997) molti comunicatori e giornalisti sono andati in questi giorni a leggere le parole premonitrici della decisione di Benedetto XVI sulla possibilità delle cosiddette “dimissioni del Papa”.
Nello stesso libro ho letto anche queste altre parole che esprimono il cuore sacerdotale del grande teologo e dell'eminente pastore:
Nei riti c'è una forma comune di vita, che non dipende solo da ciò che si comprende a livello superficiale, ma che ha a che fare con la grande continuità della storia della fede, che in essa si manifesta, e che rappresenta un'autorità, che non viene dal singolo. Il prete non è un presentatore che si inventa qualcosa e lo comunica abilmente. Può essere al contrario completamente sprovveduto come presentatore, perché comunque rappresenta qualcosa d'altro che non dipende affatto da lui. Naturalmente anche la comprensibilità fa parte della liturgia e per questo la parola di Dio deve essere presentata bene e, poi, altrettanto bene spiegata e interpretata. Ma alla comprensibilità della parola contribuiscono altre modalità di comprensione. Prima di tutto essa non è qualcosa che viene continuamente inventato da nuove commissioni. Altrimenti diverrebbe qualcosa di fatto in casa, a propria misura, tanto se le commissioni si riuniscono a Roma, a Treviri o a Parigi. Invece essa deve avere la sua continuità, una sua non arbitrarietà ultima, in cui io possa incontrare i millenni e, attraverso essi, l'eternità, e in cui possa entrare in rapporto con una comunità in festa, che è qualcosa di ben diverso da ciò che un comitato o l'organizzazione di una festa potrebbero mai inventarsi. Viene attribuita importanza al sacerdote in persona, nella sua persona; egli deve essere abile e saper rappresentare tutto molto bene. È lui il vero centro della celebrazione. Di conseguenza, ci si chiede perché solo certe persone possono farlo. Se egli, al contrario, si fa indietro in quanto persona ed è davvero solo un rappresentante, e si limita a compiere con fede quel che gli è richiesto, allora quel che avviene non gira più intorno a lui, non ha la sua persona come centro, ma egli si fa da parte ed emerge finalmente qualcosa di più grande. In questo si deve vedere ancora di più la forza dirompente della tradizione non manipolabile. La sua bellezza e la sua grandezza toccano anche chi non sa elaborare e capire razionalmente tutti i dettagli. Al centro sta allora la parola, che viene annunciata e spiegata.”

La relazione del cardinale Ratzinger al Convegno Pastorale di Aversa del 2001 
La comunicazione di Benedetto XVI al Concistoro del 11 febbraio 2013



lunedì 4 febbraio 2013

Luoghi e miracoli di San Biagio vescovo e martire


1. Riferimenti agiografici. Una particolarità del martirio di Biagio, vescovo armeno di Sebaste, consiste nel fatto di essere stato subito dopo il 313, quando grazie all’editto di Costantino erano terminate ufficialmente le persecuzioni anticristiane. La data accreditata dagli agiografi è infatti l’anno 316, e si pensa che nei luoghi lontani da Roma vigessero ancora comportamenti arbitrari e contrastanti l’autorità imperiale.
La ricostruzione agiografica parla di Biagio come di un santo medico cristiano che viene chiamato ad essere vescovo del suo popolo. La sua fama si lega così a guarigioni miracolose; emblematica è quella operata, mentre viene condotto a morte, per la liberazione della gola di un bambino che rischia di morire soffocato da una lisca andata di traverso. E si lega alla guida spirituale per i tanti cristiani del suo popolo che vivono le difficoltà della testimonianza e del martirio. La narrazione agiografica riferisce anche di un intenso periodo di preghiera e di solitudine da lui vissuto in una spelonca, per sfuggire alle fasi intense della persecuzione, e per aiutare con la sua disponibilità con il suo conforto e con i suoi numerosi miracoli i cristiani in difficoltà che a lui si rivolgevano. Quando toccò a lui dare testimonianza della sua fede nel Cristo, egli lo fece con fermezza e coraggio, e affrontò l’atroce tortura dei pettini di ferro che si usavano per cardare la lana. Egli venne poi decapitato ed il suo corpo fu sepolto nella chiesa della sua città.
La pratica devozionale più caratteristica per la festa di San Biagio è la benedizione della gola dei fedeli operata accostando ad essa due candele; così come appare simboleggiata nella più nota delle icone popolari del Santo che si accosta benedicente con le candele incrociate al bimbo sostenuto dalla madre orante.

Verona - Cappella di San Biagio

2. Luoghi e reliquie. Intorno alle reliquie del popolarissimo santo taumaturgo della gola sono sorte varie tradizioni agiografiche che individuano in Maratea e in Verona i luoghi principali del suo culto. Molte altre città vantano la custodia di reliquie di san Biagio, tra queste la città dalmata di Ragusa (attuale Dubrovnik), Carosino in territorio tarantino, Ruvo di Puglia, Ostuni nel brindisino, Castel San Giorgio nel salernitano, Cardito nel napoletano. Moltissimi sono i paesi e le città che hanno il santo come patrono e con lui un particolare e sentito legame devozionale; ad esempio Fiuggi che lo venera dal medioevo come potente e portentoso liberatore e protettore, Montepulciano che gli ha dedicato un monumentale tempio extraurbano, e Cardito, in Diocesi di Aversa, che è luogo della presenza di una antica Ecclesia sancti Blasii (Ratio Decimarum del XIV secolo).
L’agiografia veronese riferisce di un cavaliere germanico che nel XII secolo affida alla città la custodia delle spoglie di San Biagio e di santa Giuliana, che egli aveva recuperato e portava
con se sul cammino di ritorno dalla Terra Santa. In Verona ai due santi fu dedicata una monumentale Cappella nella chiesa dei Santi Nazario e Celso.

Maratea - Basilica di San Biagio

La tradizione di Maratea narra di un miracoloso approdo della nave che verso la fine del IV secolo trasportava l’urna con le reliquie di San Biagio. L’urna fu accolta dagli abitanti cristiani e venne custodita nella chiesa situata sull’altura, detta poi Monte san Biagio, che sovrasta la città. La chiesa di Maratea dedicata alla Madonna delle Grazie e a San Biagio risale al VI secolo ed ha il titolo di Basilica Pontificia, ed è un santuario attrattivo di pellegrini e ricco di manifestazioni devozionali.
La città di Fiuggi commemora nella piazza del borgo superiore, con pile di legno infuocate (le stuzze), il miracolo di una barriera di fuoco che San Biagio erse nel periodo feudale per allontanare le truppe nemiche.


Cardito - Santuario di San Biagio
Per la città di Cardito appare importantissimo il riferimento alla passio e al tipo di martirio subito dal santo vescovo di Sebaste. Il patronato di San Biagio per questa città appare infatti il frutto di una pura scelta devozionale operata dalla fede popolare ed ispirata dalla predicazione agiografica medievale dei monaci benedettini di Aversa che detenevano la signoria del luogo. Il santo è ritenuto patrono delle attività agricole e dei cardatori di lana, a causa del suo corpo lacerato (quasi cardato) dagli uncini dei carnefici. Nel nome di Cardito risuona in effetti sia il nome dei cardi, cespugli campagnoli, e sia il nome della cardatura.
Un luogo, ricco per la manifestazione della spiritualità popolare e molto frequentato per la devozione ed il culto di San Biagio, è anche il Santuario dell’Immacolata Concezione di Frattamaggiore, ove in onore del santo si celebra una festa a cui partecipano con gioia e sentimento grandi e piccoli. 

Dell’educazione dei giovani: Festa degli educatori in onore di don Bosco

1. Il Santo. San Giovanni Bosco (Castelnuovo d’Asti 16 agosto 1815 – Torino 31 gennaio 1888) nel centenario della sua morte fu dichiarato “Padre e Maestro della gioventù” da Giovanni Paolo II, il quale invitò tutti i figli spirituali del santo ad invocarlo con questo titolo.
La grande notorietà di Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore, è un fatto indubitabile nella vita cattolica contemporanea, grazie alla Congregazione dei Salesiani da lui fondata che è tra le più diffuse del mondo contemporaneo, e grazie alla sua santa opera pastorale svolta nel campo della comunicazione sociale e dell’educazione dei giovani.
La sua è una scuola di santità vissuta e di carità impegnata che congiunge l’opera educativa del suo maestro spirituale, san Giuseppe Cafasso, e quella dei suoi discepoli Salesiani, a partire dal modello del giovane san Domenico Savio, suo primo figlio spirituale. “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”: sono le parole del giovane Domenico che vive e comunica la proposta spirituale ed educativa del suo maestro.
Sono moltissimi i giovani che si ritrovano alla scuola di Don Bosco nella Torino dell’ottocento interessata dai fenomeni migratori delle popolazioni rurali. Si tratta di una scuola che faticosamente e miracolosamente risponde alle problematiche sociali e diviene luogo di superamento della emarginazione urbana e della devianza giovanile; essa si propone come esperienza di formazione civile e professionale, applicando una pedagogia esemplare (il metodo preventivo), e prendendosi cura con la catechesi e con la preghiera della spiritualità giovanile (l’oratorio).
I tanti Collegi istituiti dai Salesiani, in Italia ed in ogni parte del mondo, mantengono intatti i principi di don Bosco che risultano sempre moderni ed attuali. Oltre ai Salesiani e alla Pia Unione dei Cooperatori Salesiani da lui fondati, all’opera e all’insegnamento di Don Bosco fanno capo anche le Figlie di Maria Ausiliatrice istituite da santa Maria Mazzarello.
L’opera educativa di Don Bosco, originata da motivazioni vocazionali e religiose, ha vissuto proficui contatti profetici ed ispiratavi con l’educazione laica ed istituzionale, ed ha avuto una vasta eco nel campo degli studi e delle scienze dell’educazione che considerano esemplare il suo modello pedagogico.

2. Ispirazioni. Il giovanile modello pastorale dell’opera educativa di don Bosco, rivolto ai giovani e inventato nella ottocentesca Torino dell’industrialismo e della inurbazione delle masse rurali, ha anche ispirato molte altre esperienze più recenti di sacerdoti e di operatori pastorali operanti nelle
comunità che hanno vissuto l’esperienza della emarginazione sociale e della trasformazione urbana. Ciò è avvenuto in genere in ogni luogo ove si è andata affermando l’esigenza di interventi educativi innovativi, sviluppati secondo i dettami della moderna pedagogia, rispondenti alle problematiche etiche e religiose connesse alla transizione sociale.
Un caso noto ed emblematico in Italia è quello della pedagogia di don Lorenzo Milani, alle prese con l’educazione dei giovani dell’isolata comunità di Barbiana. L’importanza e l’influenza dell’opera di don Milani e dei suoi giovani (Lettera ad una professoressa) nel dibattito sulle istituzioni educative contemporanee sono anch’esse note.
Una esemplare esperienza educativa "alla don Bosco" è rinvenibile anche sul piano della storia locale frattese. Si tratta dell’esperienza giovanile di don Angelo Crispino (ordinato il 28 Giugno del 1964) che alla sua opera educativa, rivolta a migliaia di giovani e svolta nel nuovo quartiere popolare di Casaluce, diede proprio il nome di “Oratorio don Bosco", recuperando del santo torinese l’intierezza della proposta, sia pedagogica e sia spirituale. Dal 1964 al 1984, periodo della sua cappellania presso la chiesa del quartiere curata dalle Serve di Maria, don Angelo (oggi mons. Angelo e dirigente scolastico) ha svolto una guida sicura ed illuminante in un tempo di transizione dall’antico al moderno e in un tempo di crisi dell’identità storica e generazionale. La sua azione, ispirata dall’esempio di don Bosco, ha inaugurato a livello locale lo stile della pastorale giovanile post-conciliare. Leggiamo in una opera di storia locale:
Per le attività casalucensi animate da don Angelo valgono due testimonianze; quella dello storico insigne di Frattamaggiore, Sosio Capasso, che dalla prospettiva sociale le considera capaci di trasformare l’intero rione in un centro di fede, di cultura e di impegno sociale; e quella di Nicola Capasso, vescovo di Acerra e gloria frattese, il quale dalla prospettiva pastorale saluta l’Oratorio come cosa “memorabile nella storia della nostra città” e descrive gli effetti positivi della catechesi giovanile.” (P. Saviano F. Pezzella, La Madonna di Casaluce…, Tip. Cirillo, Frattamaggiore 1998).
La Parrocchia di Maria SS. Assunta di Frattamaggiore, ove è parroco don Angelo, continua sul piano locale a dare vita all’ispirazione e al modello di Don Bosco, santo che celebra con solennità religiosa e con iniziative significative (Festa degli educatori).
Leggiamo un recente invito alla Festa:

Quella di don Bosco è una storia esemplare di fede e di civiltà educativa, ha valori religiosi e laici che possono sempre essere colti e vissuti nel sentimento sicuro che la storia è maestra di vita. 


Don Bosco e il senso della storia


Agganciare il percorso della personale attività pastorale ed educativa al cammino epocale della Chiesa nel periodo delle grandi trasformazioni culturali ed economiche del XIX secolo. Fu questo il significato che assunse l'opera di Giovanni Bosco (1815–1888), il santo sacerdote educatore infaticabile dei giovani nella Torino sabauda preunitaria e fondatore carismatico dell'ordine dei Salesiani e della loro vasta missione cattolica nel mondo contemporaneo. La sua opera educativa si svolse in maniera prodigiosa, ed assunse esiti risolutivi nei confronti della devianza e dello sfruttamento del lavoro giovanile, in un contesto torinese dove si registravano forme di pauperismo e problematiche connesse all'immigrazione contadina e all'industrializzazione.
Giovanni Bosco nacque quando in Europa si era concluso il periodo rivoluzionario e napoleonico. Orfano di padre e piccolo contadino dell'astigiano egli apprese i primi rudimenti del sapere da un vecchio sacerdote. La sua formazione umana e culturale, da garzone di campagna a seminarista e a giovane sacerdote del Convitto Ecclesiastico di Torino (dal 1826 al 1844), avvenne in un arco di tempo caratterizzato da molteplici mutamenti storici, nel clima della restaurazione e della nascente cultura risorgimentale.
La sua opera giovanile, fortemente intrisa dell'entusiasmo vocazionale e dello spirito sacerdotale, si concretizzò nell'Oratorio; una iniziativa che ebbe i suoi primi sviluppi al contatto con i carcerati e i giovani provenienti dalla campagna. Attraverso quella istituzione don Bosco assicurò a decine di ragazzi l'assistenza religiosa e morale, la crescita nella fede, l'alfabetizzazione e l'apprendimento di un mestiere artigianale.
Nella Torino di metà ottocento egli riuscì con l'obolo popolare a costruire la chiesa di San Francesco di Sales, diede vita a tre esperienze oratoriane, organizzò numerosi laboratori di artigianato, istituì una scuola ginnasiale, coinvolse circa un migliaio di giovani.
All'indomani dell'Unità d'Italia (1860) la sua opera fu vista con favore in tutti gli ambienti civili ed ecclesiastici; ottenne il sostegno del Governo, il plauso del Papa, e l'aiuto di numerosi benefattori e collaboratori. In poco più di un decennio egli riuscì a costituire l'ordine dei Salesiani (Padri, Suore e Cooperatori); e riuscì a costruire altre tre chiese, due a Torino (S. Maria Ausiliatrice e S. Giovanni Evangelista) e una a Roma (Sacro Cuore di Gesù).
Alla fine dell'ottocento l'opera di Don Bosco ed il suo messaggio educativo a favore dei giovani, concretizzatisi con istituti scuole e missioni salesiani, erano diffusi in Europa in America Latina ed in altre parti del mondo.
Educazione dei giovani ed organizzazione della vita consacrata apparvero come gli ambiti fondamentali rispetto ai quali don Bosco indirizzò la sua attività sacerdotale. Tali appaiono i tratti caratteristici della sua opera così come essa viene tuttora esperita nella relazione sociale e nella dinamica ecclesiale contemporanea. Questi tratti fin dalle origini non furono disgiunti dalla persistente iniziativa pubblica che Giovanni Bosco sviluppò nel campo della comunicazione e della catechesi. Egli attinse alle conoscenze che gli derivavano dalla personale familiarità con lo studio della storia della Chiesa e con la intensa pratica devota, e pubblicò libri destinati agli studi scolastici dei ragazzi e alla crescita della loro fede. Pubblicò biografie esemplari con intenti educativi e devozionali; si ispirò all'insegnamento dei santi e alle loro soluzioni per caratterizzare la sua predicazione e la sua metodologia educativa. San Filippo Neri, Sant'Alfonso Maria de' Liguori, San Francesco di Sales, furono modelli impliciti del suo operare. La sua originalità fu quella di proporre riferimenti 'preventivi' per l'educazione dei suoi giovani, con l'intento di aiutarli nella formazione del senso della fede, dell'appartenenza alla Chiesa e della partecipazione produttiva alla vita sociale, nel contesto di una storia da comprendere nei significati religiosi, da vivere e da caratterizzare con l'impegno personale e comunitario.
In questo senso il percorso educativo e pastorale di don Bosco, sostenuto da una intensa attività editoriale, si agganciava al cammino epocale della Chiesa nel XIX secolo e alle dinamiche ispirative della Dottrina Sociale sviluppata e comunicata in risposta ai mutamenti e alle problematiche della modernità. “Camminando con i giovani” è ancora oggi l'orientamento operativo della famiglia dei Salesiani, la Congregazione fondata da don Bosco e diffusa in 128 nazioni con circa mezzo milione di membri. Nel giorno di Pasqua del 1934 il papa Pio XI iscrisse Giovanni Bosco tra i Santi della Chiesa Cattolica.

Alcuni documenti storici riguardanti don Bosco




Bibliografia storica e agiografica di don Bosco

Storia ecclesiastica ad uso della scuole (1845)
Storia sacra per uso delle scuole (1847)
Maniera facile per imparare la storia sacra (1855)
Storia d'Italia raccontata alla gioventù (1855)
San Martino (1855)
San Pancrazio (1856)
San Pietro (1856)
San Paolo (1857)
Domenico Savio (1859)
Giuseppe Caffasso (1860)
Michele Magone (1861)
Francesco Besucco (1864)
La vita dei Papi fino al secolo IV (1857-1865)
San Giuseppe (1867)
La Chiesa Cattolica e la sua gerarchia (1869)
I concili generali e la Chiesa cattolica (1869)
Fatti ameni della vita di Pio IX (1871)


San Ciro eremita medico e martire: agiografia culto e devozione popolare


1. Agiografia. Gli autori antichi ci raccontano gli avvenimenti del martirio del medico Ciro e del milite Giovanni, e li inquadrano nella città di Alessandria d'Egitto all'epoca della persecuzione di Diocleziano (303-305). La Passio di Ciro e di Giovanni fu raccontata una prima volta da Sofronio, santo Patriarca di Gerusalemme vissuto nel VI secolo, il quale con la speranza di guarire da una malattia agli occhi si era fermato per qualche tempo presso il santuario dedicato ai due santi a Canopo, cittadina distante poche miglia da Alessandria. Per gratitudine egli volle narrare la loro storia e i loro miracoli. Raccolse così tutte le notizie che riguardavano il martirio di Ciro e di Giovanni ed il loro sepolcro in Alessandria un tempo situato vicino alla tomba dell'evangelista Marco. Sofronio narrò del santuario extra-urbano a loro dedicato dal santo vescovo Cirillo per contrastare le pratiche pagane e la medicina magica che si operavano a Canopo in onore della dea Menuthis. Per la sua narrazione Sofronio recuperò i contenuti di alcune omelie che Cirillo aveva tenuto in onore dei due martiri, ed indagò a fondo per la meticolosa descrizione di 70 miracoli che si erano verificati presso quel santuario ove egli stesso aveva recuperato il dono della vista. La località di Abukir nell'area alessandrina porta nell'accezione araba ancora il segno e la notorietà del nome del Santo (Abukir = Abba-Ciro).

Nel X secolo la devozione verso i santi Ciro e Giovanni era già presente nel quartiere alessandrino della Napoli bizantina, e a quella epoca si ebbe il racconto della Passio scritto da Pietro suddiacono, il quale seguì con qualche variazione la narrazione di Sofronio. Egli era stato sollecitato dal vescovo Gregorio, ed in onore di una nobildonna devota aveva scritto in 14 punti gli Atti di Ciro e Giovanni. Pietro suddiacono inquadrò la vicenda di Ciro (Abba-Ciro) in Alessandria al tempo del santo vescovo Pietro che fu martire. Ciro praticava la medicina non nascondendo l’intenzione di sanare cristianamente anche le anime. Fu perciò perseguitato e costretto a rifugiarsi come eremita nel deserto ove riprese a curare e ad evangelizzare. In quel luogo nacque l’amicizia spirituale con il milite Giovanni, con il quale condivise la testimonianza del martirio quando si riportò ad Alessandria per cercare di aiutare alcune donne cristiane che erano state arrestate. Ciro e Giovanni furono presi e portati dinanzi all’autorità imperiale che di fronte alla ferma professione di fede in Cristo decretò la loro decapitazione. I loro corpi furono poi sepolti nella chiesa di San Marco.
La successiva letteratura agiografica riguardante i santi Ciro e Giovanni è quella prodotta dai vari autori medievali e moderni che si sono interessati della critica storica, della traduzione in lingua volgare, della descrizione delle reliquie e delle traslazioni a Roma (X secolo) nella chiesa di Santa Passera (probabile derivazione di Aba Ciro come si evince da un documento del XIV secolo: posita extra portam Portuensem in loco qui dicitur S. Pacera” ), e a Napoli (XV secolo) nella chiesa del Gesù nuovo. Si è poi sviluppata anche una letteratura antropologica e devozionale riguardante le tradizioni popolari e la divulgazione del culto.


2. Culto e devozione popolare. Tra la fine del '600 e l'inizio del '700 la diffusione del culto di San Ciro trovò nell'area napoletana un terreno particolarmente fertile ed un divulgatore d'eccezione: il santo gesuita Francesco De Geronimo, nato a Grottaglie in provincia di Taranto nel 1642 e morto nella Casa gesuitica di Napoli nel 1716. La vita prodigiosa di questo santo si sviluppò nella Napoli dell'epoca attraverso una continua missione catechetica svolta direttamente tra il popolo e con l'ausilio manifesto della devozione alle reliquie di San Ciro custodite nella Chiesa del Gesù nuovo. La sua opera svolta nei bassifondi napoletani tra Piazza Castello ed i Quartieri Spagnoli, e portata personalmente nei Casali circostanti, fu accompagnata da migliaia di conversioni spirituali e da clamorosi miracoli che il santo gesuita attribuiva al divino intervento di san Ciro. 

Il culto di san Ciro nel Regno di Napoli, dopo quegli avvenimenti che videro l'opera di san Francesco De Geronimo, fu assicurato dai Padri Gesuiti che lo sostennero continuamente con le missioni popolari e con la costituzione di un ricco Monte di San Ciro, destinato al culto del santo e all'aiuto per le donne in difficoltà. La Compagnia di Gesù, sciolta una prima volta nel periodo napoleonico, riprese nel 1814 il culto di San Ciro che si era trasferito nella vicina chiesa di Santa Chiara; e nel 1860, dopo un secondo scioglimento in epoca garibaldina, essa curò l'ultima traslazione delle ossa del santo dalla Cappella del Grande Reliquario a quella eretta in onore di san Francesco de Geronimo, ove tuttora sono.
Al 1860 risale una ulteriore diffusione del culto di San Ciro nel napoletano, arricchita della dedicazione di chiese proprie e di cappelle significative, come a Portici e a Frattamaggiore, in genere onorate con la custodia di reliquie del santo. A metà ‘800 il culto di San Ciro a Frattamaggiore trovò il suo consolidamento nella Chiesa del Carmine e di San Nicola, situata al
centro dell'antico casale nell'area ecclesiale sorta in epoca medievale. Quella Chiesa era già documentata nel XIV secolo dalla Ratio Decimarum e consisteva in una Cappella con 3 altari dedicati alla Madonna del Carmine, a Sant'Anna e a San Nicola. Dopo l'Unità d'Italia essa si arricchì dell'altare con la statua di San Ciro, ad opera della famiglia Micaletti, ed una reliquia del santo venne affidata alla Congrega annessa alla Chiesa. Dal 1960 la Chiesa del Carmine in Frattamaggiore, che è anche identificata come Chiesa di San Ciro, si ritrova ricostruita nell'area a nord della città ove si è sviluppata una nuova urbanizzazione. Intorno ad essa il 31 Gennaio di ogni anno, nel giorno della festività del Santo Martire Eremita, si svolge una delle più sentite feste devozionali della Campania.

Fonti in: 
Pasquale Saviano, San Ciro – Agiografia e storia della devozione, Pro Loco ‘F. Durante’, Frattamaggiore 2000

sabato 2 febbraio 2013

Credo in Gesù Cristo: l'incontro con il cardinale Camillo Ruini nella cattedrale di Aversa


La Chiesa di Aversa è impegnata nell'itinerario dell'Anno della Fede indetto da papa Benedetto XVI. Le riflessioni e i contributi del Convegno Pastorale che tradizionalmente si teneva in una tre giorni di settembre trovano ora luoghi e tempi che si configurano come tappe di un itinerario che dura l'intero anno, e si esprimono in vari momenti ed iniziative di comunicazione e di verifica ecclesiale delle tematiche pastorali. E' una metodologia coinvolgente che produce buoni frutti di partecipazione e di testimonianza nella vita diocesana.
Il cammino di quest'anno pastorale ispirato alla Lettera Pastorale Porta fidei viene tracciato dal vescovo Mons. Spinillo “per approfondire la conoscenza del dono della fede e per rinnovare una più viva adesione alla presenza di Dio nella storia dell'umanità di questo tempo”.
Il cammino programmato si sviluppa in momenti di comunicazione e di riflessione ecclesiale sui 4 articoli del Credo: Dio Padre, il Figlio Gesù Cristo, lo Spirito Santo e la Chiesa.
Il primo momento è stato caratterizzato dall'incontro del 28 settembre 2012 con Mons. Giovanni D'Ercole sul tema “Credo in Dio Padre” (vedi post in questo blog). Il secondo momento, che qui sintetizzo brevemente, si concretizza nella riflessione proposta dal cardinale Camillo Ruini con la relazione tenuta il 29 gennaio 2013 sul tema “Credo in Gesù Cristo”.
Non è la prima volta che la Chiesa di Aversa si avvale dell'apporto pastorale del cardinale Ruini, che è stato Vescovo Vicario di Roma, Presidente della CEI fino al 2007, e oggi ottantenne Presidente della Commissione per le apparizioni a Medjugorie. Da Presidente del Comitato per il Progetto Culturale della CEI, invitato dal vescovo Milano, egli sviluppò al Convegno Pastorale del settembre 2010 il tema della “Sfida Educativa” (vedi post in questo blog). L'incontro che lo ha visto relatore sul tema odierno “Credo in Gesù Cristo” è iniziato con l'accoglienza in Cattedrale e con la preghiera dei Vespri.
Mons. Spinillo lo ha presentato come un pastore già conosciuto alla Chiesa di Aversa e capace di “accompagnarci nella riflessione e sul cammino della fede in un tempo come il nostro”. In un Anno che alla conclusione di Gennaio ha già visto realizzarsi in Diocesi momenti importanti come “l'Apertura dell'Anno della fede, il Giubileo Lauretano, la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, le Ordinazioni diaconali; e questo incontro che porta al centro dell'attenzione Gesù segno grande della presenza di Dio”.
Il Vescovo Spinillo parla della consapevolezza della fede, di dover essere “consapevolmente partecipi nella fede nella presenza del Signore”, e cita la motivazione che il cardinale Ruini ha scritto nel presentare il suo ultimo libro (Intervista su Dio) e che lo stesso cardinale riproporrà a viva voce nel corso della relazione:
Questo libro è stato certamente utile a me stesso: mi ha obbligato a compiere una riflessione complessiva sul mio rapporto con Dio, sulla solidità di questo rapporto e sui motivi oggettivi che lo sorreggono, oltre che sul suo valore per me. Scriverlo mi è costato fatica, ma lo considero un regalo che il Signore mi ha fatto. La mia speranza è che il libro possa essere utile a molti: ho cercato quindi di fare una proposta che fosse, per quanto possibile, al tempo stesso semplice e seria. In concreto, il libro è scritto per aiutare chi crede ad avere una consapevolezza più esplicita delle ragioni della propria fede, e a fare così unità nella propria coscienza di credente non del passato ma del nostro tempo. È scritto inoltre per chi vorrebbe credere, ma è incerto o perplesso, e spero possa trovare in queste pagine un aiuto a liberarsi dalle difficoltà che lo bloccano e a rafforzarsi invece nelle motivazioni per credere”.
Il Cardinale esprime con forza concetti immediati e semplici per proporre all'Assemblea la fede in Gesù che rivela all'uomo il volto di Dio, in Gesù dei Vangeli che è il Gesù della Storia, uomo realmente esistito e risorto e realmente Figlio di Dio: “Gesù uomo all'altezza di Dio”. Egli evidenzia gli interrogativi sul senso della vita e sull'identità del Signore, e ripercorre i secoli della formazione del Credo cristiano, la tradizione bimillenaria della Chiesa e gli apporti dell'esegesi nel formulare con “ordine” la fede trinitaria nel Padre fonte della vita che viene attraverso il Figlio e nello Spirito Santo: “un mistero non per mancanza di luce ma perché troppo luminoso, che illumina tutte le nostre realtà e la natura di tutte le cose”. E' la “legge dell'Amore; l'annuncio di Gesù dell'Amore senza limiti di Dio per noi: amore misericordioso fino alla follia della croce, fino a farsi peccato per noi; Dio ha amato per primo e noi possiamo essere 'presuntuosi' e chiamarci amici di Dio, amare Dio ... Con l'accoglienza della Parola che Dio ci rivolge - “chi ha visto me ha visto il Padre” - scopriamo l'atteggiamento di Dio verso di noi … In Gesù questo mistero è svelato: Dio è Amore”. E l'accoglienza di questo mistero “ci riguarda in ogni nostra istanza … ma da soli non ne siamo capaci … e allora il dono di Dio si rivolge a noi in due maniere: 1) dal di fuori, dalla Bibbia, dai Profeti, da Gesù; 2) dal di dentro, attraverso lo Spirito Santo che abita in noi e che ci da la forza di credere … La scelta della fede è opera di Dio in noi: è libera obbedienza dell'intelligenza e della vita; è il cammino della nostra libertà”.
Il cardinale Ruini procede con la sua comunicazione presentando anche le questioni del travagliato percorso della ricerca storica che si pone nell'ottica sbagliata di scoprire “il vero Gesù di Nazareth liberandolo dal rivestimento della fede cristiana”. Egli fa riferimento ai tre volumi su Gesù di Benedetto XVI e alla necessità di considerare la storia di Gesù nelle indubitabili caratterizzazioni personali religiose e culturali che si pongono nel comprendere le guarigioni e i fatti prodigiosi operati dal Figlio di Dio e testimoniati allo stesso modo dei dati storici reali all'origine del “più grande movimento religioso e culturale del genere umano”.
Il discorso di Ruini si orienta all'affermazione di una fede che può essere vissuta da ogni uomo che si ponga con sincerità sul cammino della verità ove si intravede la luce di Dio riconoscibile nell'Amore spinto fino alla fine in Gesù morto e risorto. Al di la delle tante “crisi” etiche e materiali egli sottolinea il pericolo più grande che possa vivere l'uomo contemporaneo: “perdere il senso di ciò che noi siamo, della nostra unicità in questo mondo, della diversità sostanziale di ogni uomo da ogni altro essere vivente. Per millenni abbiamo faticato per affermare la nostra unicità, oggi l’uomo rischia di mescolarsi con la natura. Dio ci ha creati intelligenti e liberi, proprio per questo non riducibili al resto della natura: se questo è vero, possiamo dare un fondamento alla nostra rivendicazione di essere trattati sempre come persone e mai come cose”.
Il cardinale conclude esortando tutti alle testimonianza e alla speranza cristiana:
Per rendere credibile ed efficace la nostra unicità in questo mondo “dobbiamo testimoniarla con le opere e con l’amore del prossimo, un amore non velleitario ma concreto. Tutto questo senza permettere mai che l’orizzonte della nostra vita si chiuda dentro al tempo presente ma, al contrario, cercando già adesso di vivere come coloro che portano dentro di sé il germoglio, la speranza, la certezza che Dio ci farà sempre partecipi della sua pienezza di vita attraverso la resurrezione”.
Un breve dibattito è seguito alla relazione del Cardinale Camillo Ruini, che ha anche accolto la testimonianza di una madre che ha raccontato una guarigione prodigiosa attribuita all'intervento della Madonna. Il Sindaco di Aversa gli ha offerto il dono dei due volumi di storia comunale scritti da Gaetano Parente alla metà dell'800. L'assemblea ha espresso sincera gratitudine per la relazione e la catechesi del cardinale che si è congedato impartendo la sua benedizione.