venerdì 15 febbraio 2013

Bisognava far festa e rallegrarsi... Omaggio al Santo Padre


La Domenica mattina del 16 settembre 2001 ebbi l'occasione di 'sentire' la Santa Messa celebrata dal cardinale Joseph Ratzinger nella cattedrale di Aversa. Con la sua omelia spiegò la parabola del figliol prodigo letta al Vangelo (Luca 15,1-32). Dalla giovinezza sono abituato a partecipare alla Messa domenicale della mia parrocchia frattese di San Rocco, e quella mattina mi ritrovai in cattedrale spinto dalla speranza di recuperare il mio ombrello color amaranto a cui mi ero affezionato e che avevo dimenticato il pomeriggio di sabato 15 settembre trascorso nell'ascolto della relazione del cardinale al Convegno Pastorale. Il tema era stato “L'ecclesiologia del Vaticano II” sviluppato in tre momenti: 1. La Chiesa come Corpo di Cristo; 2. Chiesa come popolo di Dio; 3. L'ecclesiologia di comunione. Fu una esperienza di apprendimento di conoscenza di spiritualità e di verifica della fede, importatissima per tutto il popolo diocesano convenuto. La costatazione di un magistero illuminante e benedetto.
Quella domenica mattina andai alla inutile ricerca dell'ombrello, prima tra gli scranni e poi verso la sacrestia posta dopo il cancello di accesso al deambulatorio normanno che gira intorno all'abside.
Fu una bella sorpresa incontrare il cardinale che era sceso dalle scale dell'episcopio e si era inoltrato solitario nel deambulatorio per accingersi alla celebrazione domenicale del mattino. Un devoto saluto ed un brevissimo e sorridente dialogo informale che ricordo ancora con gratitudine.
Nei 12 anni trascorsi da quel giorno sono successe tante cose, personali, ecclesiali, storiche.
La Chiesa ha vissuto il compimento del papato del beato Giovanni Paolo II; poi la guida settennale del cardinale Ratzinger eletto papa Benedetto XVI; del quale oggi vive in una modalità inaspettata anche il compimento del suo pontificato.
Il 11 febbraio 2013 Benedetto XVI ha comunicato al Concistoro dei Cardinali ufficialmente in latino la sua decisione di grande importanza per la vita della Chiesa ("Decisionem magni momenti pro Ecclesiae vitae"): “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”.
Dalla sera del 28 febbraio 2013 la sede di Pietro sarà sede vacante e si dovrà convocare il Conclave per l'elezione di un nuovo Pontefice.
L'impatto di questa comunicazione, per un un unicum ecclesiale storico, è stato enorme ed è ancora persistente su tutti i media mondiali. Le problematiche sollevate e le interpretazioni avanzate sono innumerevoli, religiose e laiche. Resta il fatto di una decisione 'canonica' sofferta e pregata, presa secondo le parole di Benedetto XVI "Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata."
No comment. Bisogna fermarsi sulla soglia del mistero del lavorio interiore e spirituale del Santo Padre svolto alla presenza di Dio.
Si può forse comprendere un poco con il sentimento dei discepoli di Emmaus, precalato in questo tempo quaresimale. Cerco di farlo ricordando la festa della fede ritrovata e del perdono, del figlio che ritorna e del padre che lo anticipa sul cammino dell'incontro. Ricordando le parole conclusive del convegno aversano del cardinale: “La Chiesa si desti nelle nostre anime. Maria ci mostra la via.”
In un libro del 1997 (JOSEPH RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del terzo millennio. Un colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo, Ed. S. Paolo 1997) molti comunicatori e giornalisti sono andati in questi giorni a leggere le parole premonitrici della decisione di Benedetto XVI sulla possibilità delle cosiddette “dimissioni del Papa”.
Nello stesso libro ho letto anche queste altre parole che esprimono il cuore sacerdotale del grande teologo e dell'eminente pastore:
Nei riti c'è una forma comune di vita, che non dipende solo da ciò che si comprende a livello superficiale, ma che ha a che fare con la grande continuità della storia della fede, che in essa si manifesta, e che rappresenta un'autorità, che non viene dal singolo. Il prete non è un presentatore che si inventa qualcosa e lo comunica abilmente. Può essere al contrario completamente sprovveduto come presentatore, perché comunque rappresenta qualcosa d'altro che non dipende affatto da lui. Naturalmente anche la comprensibilità fa parte della liturgia e per questo la parola di Dio deve essere presentata bene e, poi, altrettanto bene spiegata e interpretata. Ma alla comprensibilità della parola contribuiscono altre modalità di comprensione. Prima di tutto essa non è qualcosa che viene continuamente inventato da nuove commissioni. Altrimenti diverrebbe qualcosa di fatto in casa, a propria misura, tanto se le commissioni si riuniscono a Roma, a Treviri o a Parigi. Invece essa deve avere la sua continuità, una sua non arbitrarietà ultima, in cui io possa incontrare i millenni e, attraverso essi, l'eternità, e in cui possa entrare in rapporto con una comunità in festa, che è qualcosa di ben diverso da ciò che un comitato o l'organizzazione di una festa potrebbero mai inventarsi. Viene attribuita importanza al sacerdote in persona, nella sua persona; egli deve essere abile e saper rappresentare tutto molto bene. È lui il vero centro della celebrazione. Di conseguenza, ci si chiede perché solo certe persone possono farlo. Se egli, al contrario, si fa indietro in quanto persona ed è davvero solo un rappresentante, e si limita a compiere con fede quel che gli è richiesto, allora quel che avviene non gira più intorno a lui, non ha la sua persona come centro, ma egli si fa da parte ed emerge finalmente qualcosa di più grande. In questo si deve vedere ancora di più la forza dirompente della tradizione non manipolabile. La sua bellezza e la sua grandezza toccano anche chi non sa elaborare e capire razionalmente tutti i dettagli. Al centro sta allora la parola, che viene annunciata e spiegata.”

La relazione del cardinale Ratzinger al Convegno Pastorale di Aversa del 2001 
La comunicazione di Benedetto XVI al Concistoro del 11 febbraio 2013



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