mercoledì 30 maggio 2018

Significati religiosi e storici della traslazione dei Santi Sossio e Severino


La traslazione dell’urna di un santo, da un luogo di originaria custodia ad un altro luogo che assume la funzione di nuovo santuario, per i credenti richiama il simbolo sacro del cammino biblico verso la terra promessa fatto al seguito dell’arca dell’alleanza trasportata dalla tribù sacerdotale: “Poi Giosuè disse ai sacerdoti: «Prendete in spalla l'arca del patto e passate davanti al popolo». Ed essi presero in spalla l'arca del patto e camminarono davanti al popolo” (Gs 3, 6).
Essa richiama pure le disposizioni spirituali che devono accompagnare il cammino del popolo, e la necessità di costruire un tempio al Signore: “Disponete dunque il vostro cuore e l'anima vostra a cercare il Signore vostro Dio; poi alzatevi e costruite il santuario di Dio, il Signore, per trasferire l'arca del patto del Signore” (1Cr 22,19). In questo cammino ed in queste disposizioni si ritrova il senso della contemplazione comunitaria e dell’epifania della potenza celeste: “Allora si aprì il tempio di Dio che è in cielo e apparve nel tempio l'arca dell'alleanza. Vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto e una forte grandinata” (Ap 11, 19).
E’ il luogo sacro che testimonia la presenza del Santo che guida, interviene ed assiste il suo popolo nel cammino della sua storia e della sua salvezza. E’ questo anche un segno del dono della Nuova Alleanza stipulata nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio, e della sua presenza sacramentale nella sua Chiesa.
La comunità ecclesiale di Frattamaggiore, propaggine di un popolo ricco di fede e di storia, vede ed evidenzia innanzitutto questi significati religiosi e salvifici nella celebrazione della traslazione dei Santi Sossio e Severino che essa realizza nei giorni intorno al 31 Maggio di ogni anno.
Il 31 Maggio del 1807 il concittadino vescovo Michele Arcangelo Lupoli riuscì a realizzare la traslazione del santo patrono; ed oggi la comunità frattese è custode delle reliquie di San Sossio congiunte con quelle di San Severino abate. Si tratta di una eredità che lega spiritualmente la comunità locale all’antico monastero benedettino napoletano abolito nel periodo napoleonico e dal quale furono traslate le sacre spoglie.
Oggi la custodia del santuario, che accoglie le spoglie del diacono martire del paleocristianesimo campano e le spoglie dell’abate evangelizzatore nel V secolo delle genti germaniche dell’antica frontiera danubiana dell’impero romano, esprime una religiosità molto sentita che si commisura anche nei tratti spirituali proposti nel titolo di Città benedettina che l’Ordine di San Benedetto ha voluto concedere nel 1997 a Frattamaggiore come riconoscimento della comune ed antica devozione, e come progetto di vita cristiana e di diffusione del messaggio di preghiera e di missione del grande patriarca del monachesimo.
La commemorazione vede impegnata la Chiesa patronale di San Sossio insignita del titolo di Basilica Pontificia, nella connotazione delle celebrazioni con particolari significati pastorali e con particolari iniziative di riflessione religiosa, di ricerca storica, di studio agiografico, e di coinvolgimento etico del mondo laico e della istanze civili delle comunità che condividono la devozione dei due Santi.
La concessione del dono dell’Indulgenza Plenaria rimarca i significati religiosi di una millenaria devozione che portava i pellegrini a pregare sulla tomba dei Santi Sossio e Severino venerati un tempo nel monastero omonimo di Napoli. Oggi che i sacri resti dei due Santi riposano nella Basilica frattese la devozione legata alle indulgenze e al loro efficace intervento continua ad avere una pratica notevole.
La presenza delle urne dei due Santi si arricchisce di significati spirituali, religiosi e storici. Il popolo cerca nella presenza del Signore nel suo luogo santo anche il senso della sua identità e della sua storia. Nel luogo ove sono presenti i corpi di San Sossio e San Severino, amici del Signore e modelli esemplari della sua santità, le comunità devote, quella frattese con le altre italiane di area campana e laziale, e quella austriaca con le altre di area europea e germanica, ritrovano storie e sensi che appartengono alla loro identità culturale e ai loro valori religiosi: la narrazione e l’attualizzazione delle meraviglie operate dal Signore, attraverso i suoi santi, lungo il cammino dei popoli e delle civiltà che hanno seguito la loro ‘arca’, la traslazione delle loro urne.
Lo studio e la pubblicistica intorno alla traslazione, ovvero alle traslazioni, dei due santi venerati nella Basilica frattese, hanno fatto scoprire molte di queste meraviglie, molti antichi avvenimenti portentosi narrati dagli agiografi che hanno descritto le varie traslazioni di San Sossio e di San Severino, e ne hanno steso ufficialmente gli Acta latini per la futura memoria. L’Anomino altomedievale, Giovanni diacono dell’antico monastero benedettino napoletano, ed il frattese Michele Arcangelo Lupoli arcivescovo, per San Sossio; e poi Eugippo, e ancora Giovanni diacono e Michele Arcangelo Lupoli, per San Severino; hanno tutti arricchito la loro narrazione con il riporto di portenti e miracoli, quasi di “lampi voci e tuoni” alla maniera apocalittica.

San Sossio martire
La connotazione devozionale che ha caratterizzato fin dai primi secoli del cristianesimo la figura di san Sossio è la sua estrazione dal contesto locale e la luminosa proiezione negli ambiti della cultura e della ecclesialità più vasta e diffusa del cattolicesimo romano ed europeo.
Come ci viene descritto dai testi agiografici del IV-V secolo (Em. Mon., Leg. Graec.), la figura di Sossio, ancora vivente, era già attrattiva dell’ammirazione dei vescovi locali (Euphemius e Januarius) e dei cristiani e dei vescovi del Mediterraneo (es: Theodosius Thessalonicentium Episcopus) che a Miseno sostavano durante il loro percorso verso Roma.
La potenza spirituale del santo ci è testimoniata dalla cultura patristica alla metà del V secolo nell’opera del santo vescovo cartaginese Quodvultdeus, esiliato a Napoli, il quale, in piena lotta al manicheismo e al pelagianesimo in area campana, ebbe modo di rilevare la vicenda dell’eretico Floro che si attribuiva “virtutem et meritum sancti Sossii” (De Promiss. et Praedict. Dei).
Come appare dalle annotazioni al Martirologio Romano del Baronio, ricavate ex libro de Rom. Pontific. in Symmacho, San Sossio fu santo onoratissimo nella basilica del Vaticano ove all’inizio del VI secolo gli fu dedicato un altare dal papa Simmaco (498-514). La Storia ecclesiastica, la Storia locale e l’Archeologia (Panvinio, Duchesne, De Rossi, Silvagni, Ferro), indicarono il luogo dell’altare-oratorio sansossiano nella Rotonda di Sant’Andrea e riportarono il testo dell’iscrizione che Simmaco dedicò al diacono martire di Miseno.
Una particolare diffusione della figura e della devozione al santo martire di Miseno si deve alla cultura monastica benedettina alto-medievale. A partire dal monastero di Nisida, isoletta collocata a delimitazione dei golfi di Napoli e di Pozzuoli, la celebrazione della memoria di San Sossio, scritta nei codici dell’abate Adriano, pervenne nel VII secolo ai primi scriptoria monastici delle isole britanniche ove fu trascritta nei libri e nei codici che accompagnarono l’evangelizzazione degli Angli e la formazione degli episcopati e delle abbazie. Nel 668 l’abate Adriano era stato inviato da papa Vitaliano in Inghilterra, insieme con il vescovo Teodoro, proprio per curare la diffusione della cultura cristiana latina, ed una volta divenuto abate del monastero di San Pietro e Paolo di Canterbury aveva donato ai monaci dell’isola scozzese di Lindisfarne (oggi: Holy Island) un evangeliario con l’indicazione di celebrazioni liturgiche campane.


Qualche decennio dopo il venerabile Beda, monaco del monastero di Jarrow, e discepolo della seconda generazione di Adriano, testimoniò la presenza di questo tratto del cristianesimo campano sia nella sua Historia Ecclesiastica gentis Anglorum (Libro IV: il mandato missionario di Adriano che è abbate in monasterio Nisidano quod est non longe a Neapoli Campaniae) e sia in quello che viene considerato il primo Martirologio storico della cristianità, ricco delle annotazioni riguardanti San Sossio ed altri santi celebrati in area napoletana.
La traslazione nell’anno 906 del corpo di San Sossio dalla chiesa di Miseno, distrutta dai saraceni, al monastero benedettino napoletano dedicato a San Severino, costituì un avvenimento epocale per la cultura del ducato napoletano che fu registrato dal diacono Giovanni il quale, con la redazione degli Acta Translationis e con la narrazione della Vita Sancti Sossii recuperata dalla tradizione e dai codici ancora più antichi, offrì un modello brillante che ancora oggi pone l’Agiografia napoletana medievale a riferimento per gli studi contemporanei.
Le venerate spoglie di san Sossio furono poste nella cripta del monastero accanto a quelle di San Severino, evangelizzatore dell’Austria e dei popoli della frontiera danubiana del V secolo; ed i mille anni di permanenza, fino all’eversione napoleonica del 1807 che abolì il monastero napoletano, furono caratterizzati dalla diffusione della figura del Santo nei luoghi e nelle opere della cultura cassinese in Campania, nel Lazio e in altre parti d’Italia.
Oggi le spoglie del Santo, ancora congiunte con quelle di san Severino, sono custodite nella Chiesa di San Sossio di Frattamaggiore, la principale ed originaria chiesa del paese del quale il Santo è patrono e ove il culto sansossiano, originariamente diffuso nell’area dell’antica Atella dai monaci Volturnensi, è presente e documentato dal periodo longobardo e carolingio (VIII secolo).
Anche in Frattamaggiore il culto sansossiano assume particolari ed importanti connotazioni religiose e storico-antropologiche. Con la traslazione delle spoglie del Santo da Napoli, che fu operata nel 1807 dal prelato frattese arcivescovo Michele Arcangelo Lupoli, si compì in pratica il sogno della città, sorta proprio nel IX secolo con l’esodo nella fratta atellana della popolazione di Miseno scampata alle incursioni saracene: vedere ricongiunto un popolo con la memoria fisica del suo santo patrono dopo averne per secoli celebrato il ricordo ed esperita la presenza spirituale, per continuare la sua antica esperienza di fede e di devozione con spirito di vicinanza e con identità nuova. Un tratto importante di questa nuova identità è costituito dal titolo di Città Benedettina di cui Frattamaggiore si fregia, grazie al riconoscimento che l’Ordine di San Benedetto ha voluto concederle per la custodia delle spoglie dei due Santi, Sossio e Severino, titolari dell’antico monastero napoletano, e per il luogo che essa costituisce con il suo santuario come meta di un antico e devoto pellegrinaggio e come retaggio cristiano di un secolare incontro di popoli e culture.

San Severino abate
La motivazione storica e spirituale dell'evangelizzazione del Norico è alla base della considerazione di San Severino come uno dei Santi Patroni dell'Austria e della Baviera. La stessa motivazione, estesa alla sua opera sociale (defensor civitatis) e di soccorso alle popolazioni in difficoltà della frontiera danubiana dell'impero romano, in epoca recente lo ha fatto proclamare patrono particolare della Caritas austriaca.

La Via Severini, concettualmente legata al pellegrinaggio che oggi si fa verso la meta religiosa del santuario che custodisce le spoglie del monaco evangelizzatore, attraversa la storia e i luoghi che da Vienna a Frattamaggiore sono stati testimoni e custodi della sua opera e del suo culto.

Evangelizzazione del Norico – La Vita Sancti Severini fu scritta all'inizio del V secolo dall’abate Eugippo in 46 Capitula che ripercorrono le tappe della evangelizzazione dei popoli del Norico (Noricum: regione dell'impero romano alla frontiera danubiana corrispondente alle odierne Austria e Baviera), narrano la vicenda spirituale del santo monaco evangelizzatore fino alla sua morte, e descrivono la traslazione in Italia al seguito di Odoacre.
Da questa Vita si apprende che Severino nacque intorno al 410 e in giovinezza fu monaco contemplativo in oriente; si pensò che fosse di origine africana, ma la bontà del suo linguaggio latino lo fece ritenere figlio di nobile romano.
Nonostante la scarsità dei documenti circa l'origine e la giovinezza di Severino, la critica storica gli riconosce una formazione dottrinale ed ascetica realizzata al contatto con il pensiero dei Padri orientali e con il monachesimo basiliano.
Mentre era eremita Severino maturò la vocazione che lo portò a trasferirsi nel Norico e a svolgere opera di apostolato tra le genti di quella regione. Nel 454, ormai uomo maturo e “come nuovo Mosè”, egli raggiunse quelle terre che avevano subito le devastazioni di Attila, morto l'anno prima, e che vedevano il cristianesimo affermarsi con difficoltà tra le genti della frontiera del Danubio.
Nella Romania danubiana esisteva una vita religiosa cristiana basata su una rete di monasteri e chiese sparse che aspettavano una guida unificante. Severino si presentò dotato di grande fascino e con un potere profetico e carismatico che aveva del miracoloso. Fu riconosciuto come uomo di Dio dalle genti barbare ed avviò la sua predicazione ispirata alla dottrina di San Paolo e al desiderio del Regno di Dio; basò la sua opera soprattutto sulla carità verso i fedeli e verso gli stessi barbari.
La sua prima tappa fu Asturis (Klosterneuburg), la più orientale città del Norico. Di lì il suo impegno fu sempre più ampio e si diffuse per tutto il Norico occidentale, giungendo fino alla Rezia. A Favianes (Mautern) Severino fondò un monastero che elesse come sua sede principale, e a 5 miglia di distanza si costruì una celletta solitaria con la speranza di vivere in ritiro e contemplazione. Ma gli eventi lo costringevano ad agire nell'opera sociale e di soccorso alle popolazioni. Da Favianes la sua opera, sviluppata tra Vindobona (Vienna) e Passavia (Passau in Baviera), si estese con sistematicità per tutto il Norico e raggiunse la Drava.
Per realizzare la sua opera religiosa Severino pensò di fondare molti nuclei monastici, e cercò di dirigere la vita dei monaci con regole ben stabilite, basate sul consiglio sulla disciplina e sulla provvisorietà della dimora terrena; predilesse l'intervento colloquiale rispetto a quello formale e scritto proprio di altre Regole monastiche. Senza sosta egli ricordava ai suoi monaci che il distacco dalle cose del mondo era un bene irrinunciabile per la vita monastica.
La Regula Magistri precorritrice della Regula Benedicti fu sicuramente ispirata all'insegnamento di Severino e, nell'attribuzione all'abate Eugippo suo discepolo ed agiografo, fu scritta nell'ambito del monachesimo campano formatosi intorno al suo santuario napoletano.
Traslazione in Italia - Sei anni dopo la morte di Severino, nel 488, Odoacre ordinò l'evacuazione dei romani dalla Pannonia, regione contigua al Norico, e li fece trasferire in Italia per sfuggire le invasioni barbariche. I discepoli del santo, guidati dall'abate Lucillo suo successore e memori della sua volontà di far trasportare la sua reliquia in Italia, prepararono un'arca ed aprirono il suo sepolcro nel convento “juxta Fabiana”. Essi prelevarono il corpo ancora intatto e, tra il canto di salmi, lo posero nell'arca e si avviarono in Italia.
Si ebbe così la prima traslazione del corpo del santo, da Faviana al Montefeltro (altri dicono: Feltro, Monte Faletro o Feretro). Si narra che lungo la strada lo spirito di san Severino era di guida e di difesa per il seguito di monaci e di genti; e numerosi furono i miracoli che operò ad ogni tappa e lungo la via.
Il corpo sostò a Montefeltro fino al 492; quando il papa Gelasio propose che fosse traslato a Napoli e deposto nel Castro Lucullano. Si ebbe così la seconda traslazione della reliquia di San Severino, che fu curata dall'abate Marciano, successore di Lucillo, e con il beneplacito di San Vittore, vescovo di Napoli. Fino ad un ventennio prima il Lucullano era stata la prigione dell'ultimo imperatore, Romolo Augustolo, deposto da Odoacre. Poi si preferì dare una destinazione più significativa a quell’edificio. Il Castro Lucullano si trasformò così nella sede di una comunità monastica, in un complesso di edifici sacri intorno alla tomba di san Severino che fu predisposta da una nobildonna aristocratica, Barbaria, forse la madre del deposto ultimo imperatore.

Monastero di Napoli - Nel 599 il papa Gregorio Magno indirizzava una lettera al vescovo san Fortunato di Napoli, al quale chiedeva di donare alcune reliquie di santa Giuliana e di san Severino – “sanctuaria beatorum Severini Confessoris et Julianae martyris” - alla nobildonna Januaria, la quale intendeva erigere un oratorio ai due santi. In altra lettera a Pietro suddiacono, lo stesso papa Gregorio espresse la volontà di consacrare a san Severino una chiesa in Roma e di ricevervi alcune reliquie di lui.
Nel X secolo si ebbe la terza traslazione del corpo del santo, dal Castro Lucullano al monastero napoletano urbano che venne a lui dedicato. Il monastero urbano era stato voluto da Atanasio II, vescovo di Napoli, che raccolse un gruppo di 15 monaci benedettini in una chiesetta situata al Vicus Missi, poi divenuto Vicus monachorum, che era stata fondata tra l'845 e l'847 dal nobile napoletano Adriano. La cronaca della traslazione fu scritta da Giovanni diacono negli Acta translationis Sancti Severini Abbatis. I saraceni avevano imperversato per le coste meridionali ed i napoletani furono costretti a distruggere in 5 giorni ilCastro Lucullano, dove era venerato il corpo di san Severino. L'abate del monastero urbano chiese il corpo del santo al vescovo di Napoli Stefano III e al duca di Napoli Gregorio IV. La concessione di questi due personaggi consentì la traslazione che si realizzò il 10 settembre del 902 in pompa solenne con la presenza del Vescovo, dei Chierici, del Duca della nobiltà, e con grande concorso di popolo. Giovanni diacono nella sua cronaca narra anche del prodigio di una pioggia di stelle.
La cripta del convento benedettino napoletano accolse le spoglie di San Severino, ed i monaci le tennero in grandissima venerazione. Grazie ai benedettini la memoria del santo monaco fu celebrata prima nei martirologi antichi come quello del Venerabile Beda, ed estesa poi in ogni contrada italiana ed europea.
Per circa nove secoli fino al 1807, epoca della soppressione degli ordini religiosi nel periodo napoleonico, le spoglie di san Severino riposarono nella cripta accanto alle spoglie del martire san Sossio traslate dai monaci dalla basilica di Miseno nella seconda metà del X secolo. In questo lunghissimo tempo il culto e la devozione del santo Abate, considerato grande precursore dell'ordine di San Benedetto, non fu separato da quello di san Sossio, e seguì le vicende storiche del monastero napoletano.
La presenza e l'importanza del Monastero dei Santi Severino e Sossio nelle vicende del Regno di Napoli, dal periodo bizantino del X secolo al periodo borbonico del XIX secolo, sono testimoniate a vari livelli da privilegi ed influenze culturali notevoli. Il monastero fu ritenuto da regnanti e popolari come un centro di religiosità, di arte e di dignità civile. L'abate e i suoi monaci erano tenuti in gran conto dalle dinastie e presenziavano nei consigli della nobiltà e nella gestione di vasti territori, diffondendo in ogni luogo la fama la devozione e la toponomastica legate al culto dei due santi.
A lungo la devozione popolare napoletana ha attribuito alla preghiera fatta sulla tomba di San Sossio e di San Severino la possibilità di liberare le anime del Purgatorio; e per secoli lo stemma del monastero ha contenuto la palma del Martire e il bacolo pastorale dell'Abate. Oggi il monastero è sede dell'Archivio di Stato di Napoli.

Basilica di Frattamaggiore - L'ultima traslazione del corpo del Santo, quella da Napoli alla Parrocchiale di Frattamaggiore, fu voluta dal frattese arcivescovo Michele Arcangelo Lupoli, il quale intese sottrarre le reliquie alla spoliazione in atto nelle chiese napoletane durante il periodo napoleonico quando furono soppressi gli ordini religiosi.
Le vicende della ricognizione del corpo e della sua traslazione sono le stesse che si raccontano per la traslazione di San Sossio, patrono di Frattamaggiore. Esse sono raccontate negli Acta inventionis Sanctorum corporum Sosii Diaconi ac Martyris Misenati et Severini Noricorum Apostoli, scritti nel 1807 dall'illustre prelato.
Attualmente le sacre spoglie del Santo patrono dell'Austria e della Baviera riposano nella Basilica Pontificia di Frattamaggiore in una magnifica cappella, ancora accanto alle spoglie di San Sossio. Ogni anno in questa città della Campania gruppi di austriaci e di studiosi del medioevo rinnovano, con la loro visita alla reliquia di San Severino, la devozione a questo grande santo mai dimenticato.




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