In
coincidenza con il 40° del ritrovamento del corpo dell’on. Aldo
Moro in Via Caetani (9 maggio 1978), al Quirinale si è celebrato il
Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo.
Il
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato presente ai vari momenti della
celebrazione ed ha tenuto il discorso conclusivo. La cerimonia è
svolta nella mattinata ed è stata trasmessa in diretta televisiva,
poco dopo l’omaggio del Presidente e delle Autorità in Via
Caetani.
Il
Giorno della Memoria fu istituito nel 2007 dal Parlamento e fu
illustrato con il libro “Per le vittime del terrorismo
nell’Italia repubblicana”, edito dalla Presidenza della
Repubblica ed introdotto dal Presidente Giorgio Napolitano.
Mattarella
ha sottolineato l’importanza della data connessa con l’omicidio
di Moro, scelta per essere carica di significato come punto
emblematico dell’attacco all’ordine costituzionale dello Stato, e
come memoria che deve restituire alle giovani generazioni
l’insegnamento, le speranze e l’opera, di coloro che sono stati
sradicati con la violenza.
Il
comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica descrive i
momenti della cerimonia al Quirinale: l’Inno nazionale e quello
europeo eseguiti dal Coro del Teatro dell’Opera di Roma, con il
brano “Lacrimosa” dal Requiem di Mozart;
l’intervento del giornalista Ezio Mauro; l’intervento degli
studenti Michela Bivacqua e Filippo Ursillo; la premiazione delle
Scuole vincitrici del Concorso “Tracce di Memoria”
istituito dal MIUR in collaborazione con la “Rete degli Archivi
per non dimenticare”.
Il
discorso di Ezio Mauro, sintesi di una lunga ricerca giornalistica e
storica, si è orientato sulla analisi dell’esperienza della
democrazia in Italia, sul paradosso di “una frangia della
generazione cresciuta nella democrazia riconquistata dopo un
ventennio di dittatura, e nella libertà ristabilita dopo gli orrori
della guerra”, la quale ha ceduto “a utopie di opposta
sopraffazione, che hanno la loro radice nelle ideologie
totalitarie”. Si è rivolto alla comprensione statistica degli
“anni di piombo”, dei ferimenti e delle morti numerose per
terrorismo negli anni ‘70. Ha evidenziato le storie personali,
familiari, professionali, sottese a quei tragici avvenimenti.
Ha
evocato gli oggetti delle persone colpite: “una bicicletta, una
penna, due borse, un quaderno, una toga: strumenti di una normalità
quotidiana trasformata in bersaglio, nella sproporzione incolmabile
che esiste tra chi si apposta con una pistola puntata per uccidere e
chi conduce la sua vita libera tra uomini liberi, da cui non deve
guardarsi”. Per tutte queste storie che si intrecciano con la
la storia della democrazia si hanno “due obblighi che ci
riguardano tutti: dobbiamo memoria, e dobbiamo verità, perché
la verità è la vera, suprema forma di giustizia. Nella
consapevolezza, tuttavia, che la democrazia ha vinto la sfida con il
terrorismo, in quegli anni. Fragile, imperfetta, incoerente, a tratti
infedele, la democrazia è riuscita a prevalere, ha sconfitto il mito
della falsa rivoluzione. E lo ha fatto senza leggi
speciali, senza sfigurarsi. Perché la democrazia ha il diritto
di difendersi quando è sotto attacco, ma ha il dovere di farlo
rimanendo se stessa, sapendo che si salva non ad ogni costo e con
qualsiasi mezzo, ma soltanto se porta in salvo con sé le sue buone
ragioni, preservandole intatte”.
Il
discorso del Presidente Mattarella si pone nella prospettiva più
alta ed esplicativa; quella della giusta ricomposizione esperienziale
umana ed istituzionale della democrazia in Italia. Una operazione di
giustizia e di verità che deve riconoscere e ripercorrere le tracce
del cammino della libertà e del dialogo costruttivo. Esso trova un
punto centrale nel ragionamento sul radicamento della democrazia
nella coscienza del popolo italiano e nella descrizione delle ragioni
che hanno portato alla isituzione del Giorno della Memoria per
le vittime del terrorismo e alla pubblicazione del libro della
Presidenza della Repubblica ad esso dedicato.
Leggiamo
di seguito:
“possiamo
convenire su un giudizio storico: la nostra democrazia, aggredita e
ferita, è riuscita a prevalere per la forza del suo radicamento
nella coscienza del popolo italiano.
Cercare
la verità è sempre un obiettivo primario della democrazia. La
verità è inseparabile dalla libertà. Tante verità sono state
ricostruite e conquistate, grazie anche all'impegno e al sacrificio
di servitori dello Stato, mentre altre non sono ancora del tutto
chiarite, o sono rimaste oscure. Non rinunceremo a cercarle con gli
strumenti della legge, e con un impegno che deve essere corale.
Questa ricerca deve accompagnarsi alla riflessione e al confronto
sulle radici sociali, ideologiche del terrorismo. All'opposto dei
regimi autoritari, la democrazia ha sempre bisogno di sapere, di
coinvolgere, di scavare nella realtà, di portare alla luce e non di
occultare. Di avere la verità. Tanta strada si è fatta. Nelle
attività di indagini, nei processi giudiziari, nel lavoro
giornalistico e pubblicistico, nell'approfondimento storico e
culturale. In questa giornata, è giusto sottolineare che il percorso
va proseguito insieme.
I
familiari delle vittime hanno dato un grande contributo per avviare
la nostra società a una ricostruzione che svelasse le
responsabilità, le possibili connessioni con interessi esterni al
nostro Paese, le complicità, i disegni e gli obiettivi criminali. La
sofferenza dei familiari è stata tradotta, nelle Associazioni a cui
hanno dato vita, nell'impegno civile che ha aiutato la crescita di
una consapevolezza collettiva.
Quando
la verità è riuscita a emergere, e si è accompagnata, da parte di
alcuni terroristi, al riconoscimento delle proprie colpe e alla presa
d'atto della mancanza di qualunque giustificazione della loro folle
strategia, talvolta si sono anche aperti canali di dialogo personali,
e spazi nei quali le coscienze si sono interrogate sul senso della
riconciliazione. Sono spazi che la dimensione pubblica non può
varcare: si può soltanto rispettare una così grande umanità, che
ha fatto seguito a una così crudele disumanità.
Non
pochi di coloro che hanno seminato morte e violenza hanno finito di
scontare la loro pena, e dunque hanno avuto la possibilità di
reinserirsi nella società. Le responsabilità morali e storiche
tuttavia non si cancellano insieme a quelle penali, e ciò impone un
senso di misura, di ritegno, che mai come a questo riguardo appare
indispensabile.
Ci
sono stati casi, purtroppo, in cui questa misura è stata superata,
con dichiarazioni irrispettose e, talvolta, arroganti, che feriscono
e che, insidiosamente, tentano di ribaltare il senso degli eventi, di
fornire alibi di fronte alla storia. Questo non può essere
consentito.
Bene
ha fatto il presidente Giorgio Napolitano - a cui rivolgo un
affettuoso saluto - a raccogliere e pubblicare, dieci anni fa, in un
volume edito dall'Istituto Poligrafico, tutti i nomi e i volti delle
vittime degli anni di piombo, affiancando quanti sono stati colpiti
dalle varie sigle del terrorismo rosso a coloro sono rimasti vittime
dei terroristi neri e delle stragi che hanno sconvolto il nostro
Paese.
Quel
documento non è il libro bianco di una democrazia fragile, ma un
atto di coraggio dello Stato repubblicano che sa di aver sconfitto le
trame eversive e i progetti di destabilizzazione, e che riconosce nei
caduti una ragione di unità, un fondamento delle proprie basi
morali.
Non
dimenticheremo neppure un nome, neppure un volto, neppure una storia".
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