giovedì 10 maggio 2018

Il Giorno della Memoria: verità e democrazia


In coincidenza con il 40° del ritrovamento del corpo dell’on. Aldo Moro in Via Caetani (9 maggio 1978), al Quirinale si è celebrato il Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato presente ai vari momenti della celebrazione ed ha tenuto il discorso conclusivo. La cerimonia è svolta nella mattinata ed è stata trasmessa in diretta televisiva, poco dopo l’omaggio del Presidente e delle Autorità in Via Caetani.
Il Giorno della Memoria fu istituito nel 2007 dal Parlamento e fu illustrato con il libro “Per le vittime del terrorismo nell’Italia repubblicana”, edito dalla Presidenza della Repubblica ed introdotto dal Presidente Giorgio Napolitano.
Mattarella ha sottolineato l’importanza della data connessa con l’omicidio di Moro, scelta per essere carica di significato come punto emblematico dell’attacco all’ordine costituzionale dello Stato, e come memoria che deve restituire alle giovani generazioni l’insegnamento, le speranze e l’opera, di coloro che sono stati sradicati con la violenza.
Il comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica descrive i momenti della cerimonia al Quirinale: l’Inno nazionale e quello europeo eseguiti dal Coro del Teatro dell’Opera di Roma, con il brano “Lacrimosa” dal Requiem di Mozart; l’intervento del giornalista Ezio Mauro; l’intervento degli studenti Michela Bivacqua e Filippo Ursillo; la premiazione delle Scuole vincitrici del Concorso “Tracce di Memoria” istituito dal MIUR in collaborazione con la “Rete degli Archivi per non dimenticare”.

Il discorso di Ezio Mauro, sintesi di una lunga ricerca giornalistica e storica, si è orientato sulla analisi dell’esperienza della democrazia in Italia, sul paradosso di “una frangia della generazione cresciuta nella democrazia riconquistata dopo un ventennio di dittatura, e nella libertà ristabilita dopo gli orrori della guerra”, la quale ha ceduto “a utopie di opposta sopraffazione, che hanno la loro radice nelle ideologie totalitarie”. Si è rivolto alla comprensione statistica degli “anni di piombo”, dei ferimenti e delle morti numerose per terrorismo negli anni ‘70. Ha evidenziato le storie personali, familiari, professionali, sottese a quei tragici avvenimenti. 

Ha evocato gli oggetti delle persone colpite: “una bicicletta, una penna, due borse, un quaderno, una toga: strumenti di una normalità quotidiana trasformata in bersaglio, nella sproporzione incolmabile che esiste tra chi si apposta con una pistola puntata per uccidere e chi conduce la sua vita libera tra uomini liberi, da cui non deve guardarsi”. Per tutte queste storie che si intrecciano con la la storia della democrazia si hanno “due obblighi che ci riguardano tutti: dobbiamo memoria, e dobbiamo verità, perché la verità è la vera, suprema forma di giustizia. Nella consapevolezza, tuttavia, che la democrazia ha vinto la sfida con il terrorismo, in quegli anni. Fragile, imperfetta, incoerente, a tratti infedele, la democrazia è riuscita a prevalere, ha sconfitto il mito della falsa rivoluzione. E lo ha fatto senza leggi speciali, senza sfigurarsi. Perché la democrazia ha il diritto di difendersi quando è sotto attacco, ma ha il dovere di farlo rimanendo se stessa, sapendo che si salva non ad ogni costo e con qualsiasi mezzo, ma soltanto se porta in salvo con sé le sue buone ragioni, preservandole intatte”.

Il discorso del Presidente Mattarella si pone nella prospettiva più alta ed esplicativa; quella della giusta ricomposizione esperienziale umana ed istituzionale della democrazia in Italia. Una operazione di giustizia e di verità che deve riconoscere e ripercorrere le tracce del cammino della libertà e del dialogo costruttivo. Esso trova un punto centrale nel ragionamento sul radicamento della democrazia nella coscienza del popolo italiano e nella descrizione delle ragioni che hanno portato alla isituzione del Giorno della Memoria per le vittime del terrorismo e alla pubblicazione del libro della Presidenza della Repubblica ad esso dedicato.
Leggiamo di seguito:
possiamo convenire su un giudizio storico: la nostra democrazia, aggredita e ferita, è riuscita a prevalere per la forza del suo radicamento nella coscienza del popolo italiano.
Cercare la verità è sempre un obiettivo primario della democrazia. La verità è inseparabile dalla libertà. Tante verità sono state ricostruite e conquistate, grazie anche all'impegno e al sacrificio di servitori dello Stato, mentre altre non sono ancora del tutto chiarite, o sono rimaste oscure. Non rinunceremo a cercarle con gli strumenti della legge, e con un impegno che deve essere corale. Questa ricerca deve accompagnarsi alla riflessione e al confronto sulle radici sociali, ideologiche del terrorismo. All'opposto dei regimi autoritari, la democrazia ha sempre bisogno di sapere, di coinvolgere, di scavare nella realtà, di portare alla luce e non di occultare. Di avere la verità. Tanta strada si è fatta. Nelle attività di indagini, nei processi giudiziari, nel lavoro giornalistico e pubblicistico, nell'approfondimento storico e culturale. In questa giornata, è giusto sottolineare che il percorso va proseguito insieme.
I familiari delle vittime hanno dato un grande contributo per avviare la nostra società a una ricostruzione che svelasse le responsabilità, le possibili connessioni con interessi esterni al nostro Paese, le complicità, i disegni e gli obiettivi criminali. La sofferenza dei familiari è stata tradotta, nelle Associazioni a cui hanno dato vita, nell'impegno civile che ha aiutato la crescita di una consapevolezza collettiva.
Quando la verità è riuscita a emergere, e si è accompagnata, da parte di alcuni terroristi, al riconoscimento delle proprie colpe e alla presa d'atto della mancanza di qualunque giustificazione della loro folle strategia, talvolta si sono anche aperti canali di dialogo personali, e spazi nei quali le coscienze si sono interrogate sul senso della riconciliazione. Sono spazi che la dimensione pubblica non può varcare: si può soltanto rispettare una così grande umanità, che ha fatto seguito a una così crudele disumanità.
Non pochi di coloro che hanno seminato morte e violenza hanno finito di scontare la loro pena, e dunque hanno avuto la possibilità di reinserirsi nella società. Le responsabilità morali e storiche tuttavia non si cancellano insieme a quelle penali, e ciò impone un senso di misura, di ritegno, che mai come a questo riguardo appare indispensabile.
Ci sono stati casi, purtroppo, in cui questa misura è stata superata, con dichiarazioni irrispettose e, talvolta, arroganti, che feriscono e che, insidiosamente, tentano di ribaltare il senso degli eventi, di fornire alibi di fronte alla storia. Questo non può essere consentito.
Bene ha fatto il presidente Giorgio Napolitano - a cui rivolgo un affettuoso saluto - a raccogliere e pubblicare, dieci anni fa, in un volume edito dall'Istituto Poligrafico, tutti i nomi e i volti delle vittime degli anni di piombo, affiancando quanti sono stati colpiti dalle varie sigle del terrorismo rosso a coloro sono rimasti vittime dei terroristi neri e delle stragi che hanno sconvolto il nostro Paese.
Quel documento non è il libro bianco di una democrazia fragile, ma un atto di coraggio dello Stato repubblicano che sa di aver sconfitto le trame eversive e i progetti di destabilizzazione, e che riconosce nei caduti una ragione di unità, un fondamento delle proprie basi morali.
Non dimenticheremo neppure un nome, neppure un volto, neppure una storia".


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