martedì 21 aprile 2020

La lectio sociologica del professor Pellicani

Fonte: Wikipedia
La recente dipartita del prof. Luciano Pellicani (1939 - 2020), morto a Roma nel giorno di Sabato Santo a 81 anni durante la epidemia del coronavirus, mi ha fatto ritornare il ricordo degli anni di studio fatti dal 1973 al 1977 alla Facoltà di Sociologia della Università di Napoli. E il ricordo del dialogo serio e impegnativo che con lui si instaurò per lo studio e la conoscenza sociologica sviluppata nell’ottica storico-filosofica e politica. Il suo era appunto il Corso di Sociologia Politica.
All’indomani  della sua morte molteplici e autorevoli commenti (di accademici, giornalisti e politici) si sono avuti per commemorare il professore emerito della LUISS, che aveva percorso un lungo cammino come autore, docente, giornalista e ideologo del partito socialista quando questo era al governo del centrosinistra in Italia. 
Il mio ricordo del professore è giovanile, e riguarda la comunicazione elegante e rigorosa con cui riusciva ad appassionare gli studenti agli argomenti della sua disciplina d’insegnamento alla quale dava una particolare caratterizzazione di ricerca sapienziale.
Luciano Pellicani non ancora quarantenne faceva parte del corpo docente della facoltà napoletana che allora annoverava tra i professori dei corsi fondamentali Gino Germani, Aldo Fabris, Domenico De Masi, Luigi Lombardi Satriani, Aldo Masullo, Raffaello Franchini, Giuseppe Galasso. I quali insieme producevano un orientamento eclettico degli studi sociologici a Napoli. Un orientamento che si esprimeva nell’intreccio istituzionale storico-filosofico e scientifico-metodologico, e si confrontava con le dimensioni reali della cultura, dell’economia e del potere. 
La Sociologia Politica insegnata da Pellicani rispecchiava quell'orientamento da una prospettiva critica fortemente motivata ed offriva interessanti chiavi di lettura e di approfondimento della materia studiata, soprattutto in relazione alla comprensione delle ideologie politiche in Italia e nel mondo contemporaneo. 
Ricordo che al colloquio d’esame, che mi sembrava interminabile, egli verificava sia la preparazione generale fatta sui testi istituzionali consigliati e sia la capacità di ragionamento su argomenti e idee che presupponevano punti vista e giudizi personali. Si parlò di Autori, di Teorie e di Storia della Sociologia, di istituzioni e rivoluzioni; della realtà storica italiana, di liberalismo, di socialismo, di comunismo, di fascismo, di democrazia; di cattolici e laici. Non era facile avere un buon voto con il prof. Pellicani, ma egli intese valutare l’esame con un 30, senza lode. I miei interessi di studio si orientarono poi verso la tesi finale in Sociologia del Lavoro, che si avvalse anche dei notevoli contributi conoscitivi recuperati dalle piste di ricerca della disciplina di Pellicani.

Università di Napoli

Nella settimana dopo Pasqua di quest’anno, trascorsa in casa e nel distanziamento sociale imposto dall’epidemia del coronavirus, ho avuto occasione di rivedere il significato del rapporto formativo vissuto con la buonanima del prof. Pellicani. Fin da giovane sono stato esistenzialmente motivato testimone dalla fede cristiana, e per questo nel 2006 sono stato ordinato diacono di Santa Madre Chiesa dal Vescovo della mia diocesi. Nella sede dell’esame con Pellicani ebbi l’impressione che questa testimonianza era stata percepita dal professore che colse, da laico convinto, l’opportunità di un dialogo epistemologico liberato da riferimenti ideologici, ovvero religiosi, e basato sulla stima dell’interlocutore.
Corrispettivamente mi perviene da alcuni testi di Pellicani una impressione ineffabile che riguarda una certa lettura del sociale, che appare talvolta una vera lectio (sulla Storia della Salvezza) con spunti meditativi di carattere biblico e religioso. Questi testi hanno evidentemente valore descrittivo e di spiegazione di dinamiche umane e relazionali complesse, che attengono la motivazione ideologica del comportamento di popoli movimenti e leaders.
Il pensiero di fondo della sociologia di Pellicani, espresso in maniera vasta ed articolata nelle molteplici opere scritte sia per motivi trattatistici e sia a fini divulgativi, è di una semplicità sorprendente. Esso parte dall’essere dell’uomo, inteso come persona e comunità, che diviene nel tempo cultura e storia, percorrendo le vie della tradizione e del progresso, realizzando istituzioni e cambiamenti, conflitto e modernizzazione, mantenendo una certa tensione escatologica. 
Ad onorare il dialogo — che Pellicani alla maniera di Weber ritiene capace di mantenere viva la nostra cultura quando si esprime “sul conflitto dei valori piuttosto che sulla loro armonia” — recupero alcuni brani pubblicati in rete ed utilizzabili nel contesto di un dibattito tra il pensiero laico e la fede cristiana. 

La vocazione del Sociologo
Tenuta nell’inverno 1917-18, la conferenza Wissenschaft als Beruf può essere considerata il testamento spirituale di Max Weber. In essa, egli ha tracciato in maniera magistrale la sua concezione del ruolo dello scienziato sociale: un ruolo che, come indica il duplice valore semantico della parola Beruf, è sia una “professione” che una “vocazione”. Una professione poiché, nel modo moderno, lo scienziato sociale non può non essere uno specialista: lo impone la legge della divisione del lavoro, che domina sovrana lo sviluppo della società industriale, i cui imperativi funzionali hanno reso del tutto obsoleta la figura del dilettante. Nello stesso tempo, però, lo scienziato sociale deve essere vissuto da una sorta di “ebbrezza mistica” poiché nulla ha veramente valore per l’uomo se non suscita una dedizione appassionata. Solo se serve disinteressatamente il proprio oggetto, facendosi completamente assorbire da esso, lo studioso di professione può rimanere fedele alla sua vocazione, che è quella di servire il “Dio della scienza”. Il quale è un Dio esclusivo, geloso, persino tirannico. Egli non può tollerare che i suoi fedeli compiano sacrifici davanti all’altare di altre divinità. 
(da: L. Pellicani, Il dramma della morte di Dio – Sull’idea di sociologia di Max Weber, 2016).

Cultura e Storia 
La società prima di essere una realtà politica o economica, è una realtà culturale, il sociale […] è quel complesso di credenze, di miti, di valori, di norme, di aspettative che operano nell’individuo, ma che non sono, propriamente parlando, dell’individuo, bensì della collettività anonima: sono di tutti e di nessuno e costituiscono il quadro istituzionale entro cui si svolgono le relazioni sociali.
Dalla scoperta della dimensione culturale della società […] deriva un arricchimento della definizione aristotelica di uomo: l’uomo, per la tradizione sociologica, è un essere sociale non solo e non tanto perché vive a nativitate in una società, ma anche e soprattutto perché la società vive in lui sotto forma di cultura interiorizzata.
La cultura — vale dire tutto ciò che, pur essendo stato creato dagli uomini, attraverso il processo di istituzionalizzazione si è reso indipendente dalla loro volontà e ha acquistato il carattere di impersonale norma agendi — imbeve l’individuo come l’acqua la spugna. Essa, avvolgendo l’uomo in una rete di simboli, di rappresentazioni, di ideali, di valori e di disvalori, socializza persino la parte più intima della sua personalità.
[…] Si può quindi affermare che l’uomo è un animale culturale, plasmato, educato, orientato, disciplinato dalla società in cui è stato socializzato. E poiché la cultura ha una storia — anzi: è storia —, si può affermare parimenti che l’uomo è un animale storico che vive in e di una particolare tradizione. Donde il principio metodologico secondo cui per spiegare e comprendere l’agire di un uomo non è sufficiente utilizzare variabili biologiche e psicologiche; occorre anche fare uso di variabili sociologiche, quali le credenze, i valori collettivi, le norme istituzionalizzate, le aspettative di ruolo, tutti elementi che la società ha iniettato nell’individuo operando nei suoi confronti come una gigantesca macchina pedagogica. 
(da: L. Pellicani, La sociologia, coscienza critica della Modernità, 1988 – Testo utilizzato per motivi pedagogici da: I. Cantoni, La civiltà cristiana come atto d’amore verso i «poveri» e i «piccoli», Cristianità n. 386 - 2017).

Secolarizzazione
Certo, grazie alla secolarizzazione, gli europei sono usciti dallo stato minorile, si sono emancipati dalla tutela del sacerdotium (il potere spirituale del clero) e del regnum (il potere temporale dei principi) e sono riusciti a istituzionalizzare lo Stato costituzionale, la democrazia rappresentativa e quel sistema di libertà e di diritti che ha permesso la nascita della figura del cittadino. Ma può la secolarizzazione espandersi illimitatamente senza intaccare la base ideologica che sostiene e alimenta la solidarietà sociale? La teoria sociologica ci insegna che la piena vigenza di un sistema di credenze e di valori vissuti acriticamente è il cemento spirituale di ogni società, ciò che trasforma un aggregato di individui in una comunità morale animata da un idem sentire
(da: L. Pellicani. Modernizzazione e secolarizzazione, 1997)

La credenza messianica
Strettamente legata alla visione millenaristica della storia e al tema escatologico della “fine dei tempi” è la credenza messianica. Questa non si limita a profetare l’avvento di una nuova era; essa indica anche l’”unto del Signore” – il Messia, per l’appunto – inviato ad annunciare e a realizzare la liberazione di coloro che soffrono sotto il giogo dei malvagi. Nella figura del messia si trovano concentrati, e con la massima purezza, i tratti tipici del portatore di carisma, così come sono stati magistralmente descritti da Max Weber. Straordinarie sono la sua personalità e la sua autorità morale poiché straordinaria è la sua missione. Egli sente di essere chiamato a rovesciare il “mondo rovesciato” affinché la promessa di salvezza si materializzi e la realtà si conformi alla volontà divina. Il suo ruolo escatologico, pertanto, non è solo religioso, ma anche politico-sociale. Egli è l’impersonale strumento di cui Dio si serve per porre fine allo stato di cose esistente, nel quale i giusti vivono con la dolorosa coscienza — e con il risentimento che tale coscienza genera spontaneamente — di essere vittime di intollerabili soprusi. La redenzione che egli promette, sulla base di una precisa diagnosi-terapia dei mali che infestano il mondo, è una liberazione terrena oltre che una rigenerazione spirituale. 
(da: L. Pellicani, Dall’Apocalisse alla Rivoluzione, in: Le rivoluzioni: miti e realtà, 2019).

Radici pagane e speranza cristiana
Per Ratzinger, l’essenza del pensiero cristiano si cristallizza nell’idea che «non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che in definitiva governano il mondo e l’uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l’universo; non le leggi della materia e dell’evoluzione sono l’ultima istanza, ma ragione, volontà, amore – una Persona. E se conosciamo questa Persona e Lei conosce noi, allora veramente l’inesorabile potere degli elementi materiali non è più l’ultima istanza; allora non siamo schiavi dell'universo e delle sue leggi, allora siamo liberi».
Poiché il presupposto della scienza è che tutti i fenomeni osservabili debbono essere spiegati proprio in termini di leggi naturali ed elementi materiali, senza alcun riferimento ad esseri soprannaturali, questa interpretazione del cristianesimo si palesa come intrinsecamente antiscientifica. 
[…] Non è una posizione nuova, ma perché ribadirla proprio ora con la forza di un’enciclica? La lettera papale deve essere interpretata con un occhio ai temi scottanti del momento. In particolare, al dibattito sulla laicità degli Stati, sulle radici culturali dell’Europa e sulle biotecnologie. Leggendo la Spe Salvi ho avuto la forte impressione che il Pontefice stesse rispondendo innanzitutto al libro di Luciano Pellicani, Le radici pagane dell’Europa. Impressione avvalorata dalla dichiarazione rilasciata alla stampa da Ratzinger il giorno successivo alla pubblicazione dell’enciclica: «Contro il paganesimo dei nostri giorni riscopriamo la bellezza e la profondità della speranza cristiana». Con questa frase, intendeva illustrarne il messaggio centrale. 
(da: R. Campa, Ratzinger contro Bacone, MondOperaio 3/4 2008). 

Tra i molti e autorevoli commenti scritti in memoria di Luciano Pellicani ho potuto leggere testimonianze riferite a tratti etici della sua personalità, alla speranza laica ed umanitaria, alla disposizione alla convivialità, al dialogo, alla solidarietà e all’aiuto alle persone in difficoltà; tratti che hanno portato qualche suo amico, anche negli ambienti ecclesiali, a considerarlo praticamente cristiano. A questo proposito si può leggere su L’Opinione la testimonianza di L. Leante posta a conclusione di una lunga scheda commemorativa della figura e dell’opera del professore:

Voglio concludere testimoniando un aspetto umano – ma anche culturale – di Luciano Pellicani. Nonostante il suo anticlericalismo e anticristianesimo ideologico, erano fortemente cristiani sia il suo socialismo, sia il suo liberalismo, sia le sue stesse critiche – di carattere soprattutto etico – al cristianesimo teologico e all’azione pratica della Chiesa (si veda per esempio il suo pamphlet Le radici pagane dell’Europa). Essi grondavano tutti di etica cristiana e di carità cristiana che tra l’altro praticava con i fatti. Quando, per esempio, Luciano veniva a sapere che un suo amico era ammalato o necessitava di un qualche sostegno, ne diveniva un assiduo e quasi quotidiano visitatore e si prodigava in tutti i modi. Era molto più cristiano di tanti “cristiani”. Ma quando glielo facevo notare si arrabbiava.

Sui portali della LUISS e di RAINEWS 24 si possono leggere altre testimonianze ufficiali. 
Una buona disamina dei libri scritti da Luciano Pellicani si può fare sui portali di IBS e di Rubbettino Editore, oltre che nel Catalogo delle Biblioteche Universitarie.

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