sabato 19 settembre 2009

San Gennaro, San Sossio e gli altri martiri della Solfatara

Nei giorni che vanno dal 19 al 25 settembre di ogni anno si rinnova la memoria di un fondamentale avvenimento del cristianesimo campano ricco di significati religiosi e storici.
La Chiesa della Campania celebra la figura dei Martiri della Solfatara di Pozzuoli, i quali il 19 settembre del 305, durante la persecuzione anticristiana iniziata due anni prima, diedero la loro estrema testimonianza di fede nel Vangelo.
I sette santi martiri del vulcano flegreo rappresentano i modelli di santità e di patronato religioso per diverse comunità, città, luoghi e contrade della Campania e di altre regioni.
San Gennaro, vescovo di Benevento e patrono di Napoli, è il più noto ed è conosciuto anche dalle comunità orientali e bizantine; Festo e Desiderio, diacono e lettore al seguito di Gennaro, condividono la fama del loro vescovo nell’area beneventana e capuana; Procolo Eutichete ed Acuzio, diacono lettore e laico della chiesa puteolana, sono noti nell’area flegrea e delle isole campane; Sossio, diacono di Miseno e amico personale di Gennaro, si distingue per una particolare parabola del suo culto che ha avuto manifestazioni originali e riconosciute in molti luoghi geografici e spirituali del cristianesimo antico e medievale. Nelle catacombe napoletane di San Gennaro, risalenti al V-VI secolo, si possono ancora scorgere le effigie di questi santi.
La vicenda dei Santi della Solfatara è ben nota per gli aspetti religiosi, agiografici, ed anche folclorici, che ancora oggi la caratterizzano. Sono soprattutto note le manifestazioni della fede che a Napoli si legano al clamore del miracolo di San Gennaro, e che ogni anno riportano a vivere e a riconsiderare i significati di quell’antico martirio e dell’attualità della sua potenza salvifica per il territorio e per il popolo.
Nota alla cultura storica e monastica europea è anche la vicenda del martire Sossio, che con il santo abate Severino, patrono dell’Austria, ha condiviso per oltre un millennio la titolarità del monastero cassinese napoletano. A San Sossio è riconosciuto da secoli anche il patronato religioso della città di Frattamaggiore fondata dai misenati, la quale ne custodisce le spoglie nel tempio millenario eretto a basilica pontificia.
Il Cristianesimo campano antico annoverò San Sossio tra i santi più rappresentativi e celebrati perché la sua testimonianza di fede e di coraggio fu all’origine del martirio della Solfatara.
La collazione delle varie fonti agiografiche consente un racconto della Vita di Sossio utile anche per la conoscenza degli altri martiri. Lo conoscevano tutti; apparteneva ad una famosa famiglia, di librai nel ramo romano e prefettizia nel ramo flegreo. Aveva amici e contatti in Pozzuoli, in Napoli, in Roma e in Benevento, e la sua fama era estesa tra le comunità greche, come testimonia l’ammirazione di Teodosio vescovo di Tessalonica, e tra le comunità africane, come testimonia un’opera di san Quodvultdeus vescovo cartaginese. Ammirato dai superiori ed infuocato dell’ardore della proclamazione del vangelo, era additato ad esempio per le comunità lontane, e testimoniava la sua fede nel porto romano di Miseno, crocevia mediterraneo delle ideologie filosofiche e religiose anche per la vicinanza del santuario della Sibilla di Cuma.
Nel 304, l’Ecclesia di Miseno rappresentava un punto di riferimento per i cristiani che avevano occasione di contattare Sossio e di ricevere il suo aiuto sul loro percorso verso Roma, in fuga dai luoghi ove la persecuzione imperversava più violentemente. Quando anche in Campania furono affissi gli editti imperiali, la persecuzione partì da Nola, città sede del Consolare romano, e furono molti i cristiani che trovarono la morte. Testimonianze esistono ancora oggi nelle basiliche paleocristiane di Cimitile, che divennero, come la basilica di Miseno, mete importanti dell’antico pellegrinaggio cristiano. Quando nel 305 la persecuzione si estese all’area flegrea Sossio fu tra i primi ecclesiastici ad essere imprigionato. La sua coraggiosa testimonianza di fede fu esemplare anche per il comportamento degli altri santi con i quali, dopo aver superato indenne la condanna ad bestias nell’anfiteatro Flavio, subì il martirio alla Solfatara.
La diffusione della devozione sossiana fu subito notevole. Dopo il martirio i corpi di Sossio e di Gennaro furono sepolti nel podere del cristiano Marco, situato nelle vicinanze del vulcano, tra Pozzuoli e la via Antiniana che portava a Napoli. I corpi dei puteolani Procolo, Eutichete ed Acuzio, trovarono sepoltura nel campo Falcidio alla periferia fuori porta di Pozzuoli; mentre i corpi di Festo e di Desiderio furono prima trasportati a Benevento e poi a Montevergine.
Dopo l'Editto di Costantino, il vescovo di Napoli si portò nel campo marciano con i vescovi di Acerra, Atella, Nola, Cuma, Miseno e Pozzuoli. I vescovi disseppellirono il corpo di San Gennaro e in pompa magna lo traslarono a Napoli. Qualche tempo dopo gli stessi vescovi disseppellirono anche il corpo di San Sossio e lo portarono, tra ali di folla commossa, a Miseno; dove fu poi sepolto e tenuto santamente nella basilica dedicata alla sua memoria.
La cattedrale di Miseno, mirifica ecclesia (Joann.Diac.) eretta sulla tomba del martire fu una meta importante del pellegrinaggio cristiano dei primi secoli. Il luogo, fino al IX secolo, rappresentò una tappa importante per i tanti pellegrini provenienti dall’Italia meridionale, e dalle diverse aree europee e del Mediterraneo, e che avevano Roma e le tombe degli Apostoli come meta principale del loro cammino. Insieme con le basiliche paleocristiane di Cimitile, Cuma e Liternum, la basilica di San Sossio faceva parte del circuito devozionale formatosi sulla celebrazione della memoria degli altri santi e martiri (Felice, Giuliana, Fortunata ecc.) venerati in Campania.
Bibliografia: Pasquale Saviano, San Sossio levita e martire, Frattamaggiore 2007

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