La
traslazione dell’urna di un santo, da un luogo di originaria
custodia ad un altro luogo che assume la funzione di nuovo santuario,
per i credenti richiama il simbolo sacro del cammino biblico verso la
terra promessa fatto al seguito dell’arca dell’alleanza
trasportata dalla tribù sacerdotale: “Poi Giosuè disse ai
sacerdoti: «Prendete in spalla l'arca del patto e passate davanti al
popolo». Ed essi presero in spalla l'arca del patto e
camminarono davanti al popolo” (Gs 3, 6).
Essa
richiama pure le disposizioni spirituali che devono accompagnare il
cammino del popolo, e la necessità di costruire un tempio al
Signore: “Disponete dunque il vostro cuore e l'anima vostra a
cercare il Signore vostro Dio; poi alzatevi e costruite il santuario
di Dio, il Signore, per trasferire l'arca del patto del Signore”
(1Cr 22,19). In questo cammino ed in queste disposizioni si ritrova
il senso della contemplazione comunitaria e dell’epifania della
potenza celeste: “Allora si aprì il tempio di Dio che è in
cielo e apparve nel tempio l'arca dell'alleanza. Vi furono lampi e
voci e tuoni e un terremoto e una forte grandinata” (Ap 11,
19).
E’
il luogo sacro che testimonia la presenza del Santo che guida,
interviene ed assiste il suo popolo nel cammino della sua storia e
della sua salvezza. E’ questo anche un segno del dono della Nuova
Alleanza stipulata nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio, e della
sua presenza sacramentale nella sua Chiesa.
La
comunità ecclesiale di Frattamaggiore, propaggine di un popolo ricco
di fede e di storia, vede ed evidenzia innanzitutto questi
significati religiosi e salvifici nella celebrazione della
traslazione dei Santi Sossio e Severino che essa realizza nei giorni
intorno al 31 Maggio di ogni anno.
Il
31 Maggio del 1807 il concittadino vescovo Michele Arcangelo Lupoli
riuscì a realizzare la traslazione del santo patrono; ed oggi la
comunità frattese è custode delle reliquie di San Sossio congiunte
con quelle di San Severino abate. Si tratta di una eredità che lega
spiritualmente la comunità locale all’antico monastero benedettino
napoletano abolito nel periodo napoleonico e dal quale furono
traslate le sacre spoglie.
Oggi
la custodia del santuario, che accoglie le spoglie del diacono
martire del paleocristianesimo campano e le spoglie dell’abate
evangelizzatore nel V secolo delle genti germaniche dell’antica
frontiera danubiana dell’impero romano, esprime una religiosità
molto sentita che si commisura anche nei tratti spirituali proposti
nel titolo di Città benedettina che l’Ordine di San
Benedetto ha voluto concedere nel 1997 a Frattamaggiore come
riconoscimento della comune ed antica devozione, e come progetto di
vita cristiana e di diffusione del messaggio di preghiera e di
missione del grande patriarca del monachesimo.
La
commemorazione vede impegnata la Chiesa patronale di San Sossio
insignita del titolo di Basilica Pontificia, nella
connotazione delle celebrazioni con particolari significati pastorali
e con particolari iniziative di riflessione religiosa, di ricerca
storica, di studio agiografico, e di coinvolgimento etico del mondo
laico e della istanze civili delle comunità che condividono la
devozione dei due Santi.
La
concessione del dono dell’Indulgenza Plenaria rimarca i
significati religiosi di una millenaria devozione che portava i
pellegrini a pregare sulla tomba dei Santi Sossio e Severino venerati
un tempo nel monastero omonimo di Napoli. Oggi che i sacri resti dei
due Santi riposano nella Basilica frattese la devozione legata alle
indulgenze e al loro efficace intervento continua ad avere una
pratica notevole.
La
presenza delle urne dei due Santi si arricchisce di significati
spirituali, religiosi e storici. Il popolo cerca nella presenza del
Signore nel suo luogo santo anche il senso della sua identità e
della sua storia. Nel luogo ove sono presenti i corpi di San Sossio e
San Severino, amici del Signore e modelli esemplari della sua
santità, le comunità devote, quella frattese con le altre italiane
di area campana e laziale, e quella austriaca con le altre di area
europea e germanica, ritrovano storie e sensi che appartengono alla
loro identità culturale e ai loro valori religiosi: la narrazione e
l’attualizzazione delle meraviglie operate dal Signore, attraverso
i suoi santi, lungo il cammino dei popoli e delle civiltà che hanno
seguito la loro ‘arca’, la traslazione delle loro urne.
Lo
studio e la pubblicistica intorno alla traslazione, ovvero alle
traslazioni, dei due santi venerati nella Basilica frattese, hanno
fatto scoprire molte di queste meraviglie, molti antichi avvenimenti
portentosi narrati dagli agiografi che hanno descritto le varie
traslazioni di San Sossio e di San Severino, e ne hanno steso
ufficialmente gli Acta latini per la futura memoria. L’Anomino
altomedievale, Giovanni diacono dell’antico monastero
benedettino napoletano, ed il frattese Michele Arcangelo Lupoli
arcivescovo, per San Sossio; e poi Eugippo, e ancora Giovanni
diacono e Michele Arcangelo Lupoli, per San Severino;
hanno tutti arricchito la loro narrazione con il riporto di portenti
e miracoli, quasi di “lampi voci e tuoni” alla maniera
apocalittica.
San
Sossio martire
La
connotazione devozionale che ha caratterizzato fin dai primi secoli
del cristianesimo la figura di san Sossio è la sua estrazione dal
contesto locale e la luminosa proiezione negli ambiti della cultura e
della ecclesialità più vasta e diffusa del cattolicesimo romano ed
europeo.
Come
ci viene descritto dai testi agiografici del IV-V secolo (Em. Mon.,
Leg. Graec.), la figura di Sossio, ancora vivente, era già
attrattiva dell’ammirazione dei vescovi locali (Euphemius e
Januarius) e dei cristiani e dei vescovi del Mediterraneo (es:
Theodosius Thessalonicentium Episcopus) che a Miseno sostavano
durante il loro percorso verso Roma.
La
potenza spirituale del santo ci è testimoniata dalla cultura
patristica alla metà del V secolo nell’opera del santo vescovo
cartaginese Quodvultdeus,
esiliato a Napoli, il quale, in piena lotta al manicheismo e al
pelagianesimo in area campana, ebbe modo di rilevare la vicenda
dell’eretico Floro
che si attribuiva “virtutem et meritum
sancti Sossii” (De
Promiss. et Praedict. Dei).
Come
appare dalle annotazioni al Martirologio
Romano del Baronio, ricavate ex
libro de Rom. Pontific. in Symmacho, San
Sossio fu santo onoratissimo nella basilica del Vaticano ove
all’inizio del VI secolo gli fu dedicato un altare dal papa Simmaco
(498-514). La Storia ecclesiastica, la
Storia locale e l’Archeologia
(Panvinio, Duchesne, De Rossi, Silvagni, Ferro), indicarono
il luogo dell’altare-oratorio sansossiano nella Rotonda
di Sant’Andrea e riportarono
il testo dell’iscrizione che Simmaco dedicò al diacono martire di
Miseno.
Una
particolare diffusione della figura e della devozione al santo
martire di Miseno si deve alla cultura monastica benedettina
alto-medievale. A partire dal monastero di Nisida,
isoletta collocata a delimitazione dei golfi di Napoli e di Pozzuoli,
la celebrazione della memoria di San Sossio, scritta nei codici
dell’abate Adriano,
pervenne nel VII secolo ai primi scriptoria
monastici delle isole britanniche ove fu trascritta nei libri e nei
codici che accompagnarono l’evangelizzazione degli Angli e la
formazione degli episcopati e delle abbazie. Nel 668 l’abate
Adriano
era stato inviato da papa Vitaliano
in Inghilterra, insieme con il vescovo Teodoro,
proprio per curare la diffusione della cultura cristiana latina, ed
una volta divenuto abate del monastero
di San Pietro e Paolo di Canterbury
aveva donato ai monaci dell’isola scozzese di Lindisfarne
(oggi: Holy Island) un evangeliario con l’indicazione di
celebrazioni liturgiche campane.
Qualche
decennio dopo il venerabile Beda, monaco del monastero di
Jarrow, e discepolo della seconda generazione di Adriano,
testimoniò la presenza di questo tratto del cristianesimo campano
sia nella sua Historia Ecclesiastica gentis Anglorum (Libro
IV: il mandato missionario di Adriano che è abbate in monasterio
Nisidano quod est non longe a Neapoli Campaniae) e sia in quello
che viene considerato il primo Martirologio storico della
cristianità, ricco delle annotazioni riguardanti San Sossio ed altri
santi celebrati in area napoletana.
La
traslazione nell’anno 906 del corpo di San Sossio dalla chiesa di
Miseno, distrutta dai saraceni, al monastero benedettino napoletano
dedicato a San Severino, costituì un avvenimento epocale per la
cultura del ducato napoletano che fu registrato dal diacono
Giovanni il quale, con la redazione
degli Acta Translationis
e con la narrazione della Vita Sancti
Sossii recuperata dalla tradizione e
dai codici ancora più antichi, offrì un modello brillante che
ancora oggi pone l’Agiografia
napoletana medievale a riferimento per
gli studi contemporanei.
Le
venerate spoglie di san Sossio furono poste nella cripta del
monastero accanto a quelle di San Severino, evangelizzatore
dell’Austria e dei popoli della frontiera danubiana del V secolo;
ed i mille anni di permanenza, fino all’eversione napoleonica del
1807 che abolì il monastero napoletano, furono caratterizzati dalla
diffusione della figura del Santo nei luoghi e nelle opere della
cultura cassinese in Campania, nel Lazio e in altre parti d’Italia.
Oggi
le spoglie del Santo, ancora congiunte con quelle di san Severino,
sono custodite nella Chiesa di San Sossio di Frattamaggiore, la
principale ed originaria chiesa del paese del quale il Santo è
patrono e ove il culto sansossiano, originariamente diffuso nell’area
dell’antica Atella dai monaci Volturnensi, è presente e
documentato dal periodo longobardo e carolingio (VIII secolo).
Anche
in Frattamaggiore il culto sansossiano assume particolari ed
importanti connotazioni religiose e storico-antropologiche. Con la
traslazione delle spoglie del Santo da Napoli, che fu operata nel
1807 dal prelato frattese arcivescovo Michele Arcangelo Lupoli, si
compì in pratica il sogno della città, sorta proprio nel IX secolo
con l’esodo nella fratta atellana della popolazione di Miseno
scampata alle incursioni saracene: vedere ricongiunto un popolo con
la memoria fisica del suo santo patrono dopo averne per secoli
celebrato il ricordo ed esperita la presenza spirituale, per
continuare la sua antica esperienza di fede e di devozione con
spirito di vicinanza e con identità nuova. Un tratto importante di
questa nuova identità è costituito dal titolo di Città
Benedettina di cui Frattamaggiore si fregia, grazie al
riconoscimento che l’Ordine di San Benedetto ha voluto
concederle per la custodia delle spoglie dei due Santi, Sossio e
Severino, titolari dell’antico monastero napoletano, e per il luogo
che essa costituisce con il suo santuario come meta di un antico e
devoto pellegrinaggio e come retaggio cristiano di un secolare
incontro di popoli e culture.
San
Severino abate
La
motivazione storica e spirituale dell'evangelizzazione del Norico è
alla base della considerazione di San Severino come uno dei
Santi Patroni dell'Austria e della Baviera. La stessa motivazione,
estesa alla sua opera sociale (defensor civitatis) e di
soccorso alle popolazioni in difficoltà della frontiera danubiana
dell'impero romano, in epoca recente lo ha fatto proclamare patrono
particolare della Caritas austriaca.
La Via Severini,
concettualmente legata al pellegrinaggio che oggi si fa verso la meta
religiosa del santuario che custodisce le spoglie del monaco
evangelizzatore, attraversa la storia e i luoghi che da Vienna a
Frattamaggiore sono stati testimoni e custodi della sua opera e del
suo culto.
Evangelizzazione
del Norico – La Vita Sancti Severini fu scritta all'inizio
del V secolo dall’abate Eugippo in 46 Capitula che
ripercorrono le tappe della evangelizzazione dei popoli del Norico
(Noricum: regione dell'impero romano alla frontiera danubiana
corrispondente alle odierne Austria e Baviera), narrano la vicenda
spirituale del santo monaco evangelizzatore fino alla sua morte, e
descrivono la traslazione in Italia al seguito di Odoacre.
Da
questa Vita si apprende che Severino nacque intorno al 410 e
in giovinezza fu monaco contemplativo in oriente; si pensò che fosse
di origine africana, ma la bontà del suo linguaggio latino lo fece
ritenere figlio di nobile romano.
Nonostante
la scarsità dei documenti circa l'origine e la giovinezza di
Severino, la critica storica gli riconosce una formazione dottrinale
ed ascetica realizzata al contatto con il pensiero dei Padri
orientali e con il monachesimo basiliano.
Mentre
era eremita Severino maturò la vocazione che lo portò a trasferirsi
nel Norico e a svolgere opera di apostolato tra le genti di quella
regione. Nel 454, ormai uomo maturo e “come nuovo Mosè”,
egli raggiunse quelle terre che avevano subito le devastazioni di
Attila, morto l'anno prima, e che vedevano il cristianesimo
affermarsi con difficoltà tra le genti della frontiera del Danubio.
Nella
Romania danubiana esisteva una vita religiosa cristiana basata
su una rete di monasteri e chiese sparse che aspettavano una guida
unificante. Severino si presentò dotato di grande fascino e con un
potere profetico e carismatico che aveva del miracoloso. Fu
riconosciuto come uomo di Dio dalle genti barbare ed avviò la sua
predicazione ispirata alla dottrina di San Paolo e al desiderio del
Regno di Dio; basò la sua opera soprattutto sulla carità verso i
fedeli e verso gli stessi barbari.
La
sua prima tappa fu Asturis (Klosterneuburg), la più orientale
città del Norico. Di lì il suo impegno fu sempre più ampio e si
diffuse per tutto il Norico occidentale, giungendo fino alla Rezia. A
Favianes (Mautern) Severino fondò un monastero che elesse
come sua sede principale, e a 5 miglia di distanza si costruì una
celletta solitaria con la speranza di vivere in ritiro e
contemplazione. Ma gli eventi lo costringevano ad agire nell'opera
sociale e di soccorso alle popolazioni. Da Favianes la sua
opera, sviluppata tra Vindobona (Vienna) e Passavia (Passau
in Baviera), si estese con sistematicità per tutto il Norico e
raggiunse la Drava.
Per
realizzare la sua opera religiosa Severino pensò di fondare molti
nuclei monastici, e cercò di dirigere la vita dei monaci con regole
ben stabilite, basate sul consiglio sulla disciplina e sulla
provvisorietà della dimora terrena; predilesse l'intervento
colloquiale rispetto a quello formale e scritto proprio di altre
Regole monastiche. Senza sosta egli ricordava ai suoi monaci
che il distacco dalle cose del mondo era un bene irrinunciabile per
la vita monastica.
La
Regula Magistri precorritrice della Regula Benedicti fu
sicuramente ispirata all'insegnamento di Severino e,
nell'attribuzione all'abate Eugippo suo discepolo ed agiografo, fu
scritta nell'ambito del monachesimo campano formatosi intorno al suo
santuario napoletano.
Traslazione
in Italia - Sei anni dopo la morte di Severino, nel 488, Odoacre
ordinò l'evacuazione dei romani dalla Pannonia, regione contigua al
Norico, e li fece trasferire in Italia per sfuggire le invasioni
barbariche. I discepoli del santo, guidati dall'abate Lucillo suo
successore e memori della sua volontà di far trasportare la sua
reliquia in Italia, prepararono un'arca ed aprirono il suo sepolcro
nel convento “juxta Fabiana”. Essi prelevarono il corpo
ancora intatto e, tra il canto di salmi, lo posero nell'arca e si
avviarono in Italia.
Si
ebbe così la prima traslazione del corpo del santo, da Faviana al
Montefeltro (altri dicono: Feltro, Monte Faletro o
Feretro). Si narra che lungo la strada lo spirito di san
Severino era di guida e di difesa per il seguito di monaci e di
genti; e numerosi furono i miracoli che operò ad ogni tappa e lungo
la via.
Il
corpo sostò a Montefeltro fino al 492; quando il papa Gelasio
propose che fosse traslato a Napoli e deposto nel Castro
Lucullano. Si ebbe così la seconda traslazione della reliquia di
San Severino, che fu curata dall'abate Marciano, successore di
Lucillo, e con il beneplacito di San Vittore, vescovo di Napoli. Fino
ad un ventennio prima il Lucullano era stata la prigione
dell'ultimo imperatore, Romolo Augustolo, deposto da Odoacre. Poi si
preferì dare una destinazione più significativa a quell’edificio.
Il Castro Lucullano si trasformò così nella sede di una
comunità monastica, in un complesso di edifici sacri intorno alla
tomba di san Severino che fu predisposta da una nobildonna
aristocratica, Barbaria, forse la madre del deposto ultimo
imperatore.
Monastero
di Napoli - Nel 599 il papa Gregorio Magno indirizzava una lettera al
vescovo san Fortunato di Napoli, al quale chiedeva di donare alcune
reliquie di santa Giuliana e di san Severino – “sanctuaria
beatorum Severini Confessoris et Julianae martyris” - alla
nobildonna Januaria, la quale intendeva erigere un oratorio ai due
santi. In altra lettera a Pietro suddiacono, lo stesso papa Gregorio
espresse la volontà di consacrare a san Severino una chiesa in Roma
e di ricevervi alcune reliquie di lui.
Nel
X secolo si ebbe la terza traslazione del corpo del santo, dal Castro
Lucullano al monastero napoletano urbano che venne a lui
dedicato. Il monastero urbano era stato voluto da Atanasio II,
vescovo di Napoli, che raccolse un gruppo di 15 monaci benedettini in
una chiesetta situata al Vicus Missi, poi divenuto Vicus
monachorum, che era stata fondata tra l'845 e l'847 dal nobile
napoletano Adriano. La cronaca della traslazione fu scritta da
Giovanni diacono negli Acta translationis Sancti Severini Abbatis.
I saraceni avevano imperversato per le coste meridionali ed i
napoletani furono costretti a distruggere in 5 giorni ilCastro
Lucullano, dove era venerato il corpo di san Severino. L'abate
del monastero urbano chiese il corpo del santo al vescovo di Napoli
Stefano III e al duca di Napoli Gregorio IV. La concessione di questi
due personaggi consentì la traslazione che si realizzò il 10
settembre del 902 in pompa solenne con la presenza del Vescovo, dei
Chierici, del Duca della nobiltà, e con grande concorso di popolo.
Giovanni diacono nella sua cronaca narra anche del prodigio di
una pioggia di stelle.
La
cripta del convento benedettino napoletano accolse le spoglie di San
Severino, ed i monaci le tennero in grandissima venerazione. Grazie
ai benedettini la memoria del santo monaco fu celebrata prima nei
martirologi antichi come quello del Venerabile Beda, ed estesa poi in
ogni contrada italiana ed europea.
Per
circa nove secoli fino al 1807, epoca della soppressione degli ordini
religiosi nel periodo napoleonico, le spoglie di san Severino
riposarono nella cripta accanto alle spoglie del martire san Sossio
traslate dai monaci dalla basilica di Miseno nella seconda metà del
X secolo. In questo lunghissimo tempo il culto e la devozione del
santo Abate, considerato grande precursore dell'ordine di San
Benedetto, non fu separato da quello di san Sossio, e seguì le
vicende storiche del monastero napoletano.
La
presenza e l'importanza del Monastero dei Santi Severino e Sossio
nelle vicende del Regno di Napoli, dal periodo bizantino del X
secolo al periodo borbonico del XIX secolo, sono testimoniate a vari
livelli da privilegi ed influenze culturali notevoli. Il monastero fu
ritenuto da regnanti e popolari come un centro di religiosità, di
arte e di dignità civile. L'abate e i suoi monaci erano tenuti in
gran conto dalle dinastie e presenziavano nei consigli della nobiltà
e nella gestione di vasti territori, diffondendo in ogni luogo la
fama la devozione e la toponomastica legate al culto dei due santi.
A
lungo la devozione popolare napoletana ha attribuito alla preghiera
fatta sulla tomba di San Sossio e di San Severino la possibilità di
liberare le anime del Purgatorio; e per secoli lo stemma del
monastero ha contenuto la palma del Martire e il bacolo pastorale
dell'Abate. Oggi il monastero è sede dell'Archivio di Stato di
Napoli.
Basilica
di Frattamaggiore - L'ultima traslazione del corpo del Santo, quella
da Napoli alla Parrocchiale di Frattamaggiore, fu voluta dal frattese
arcivescovo Michele Arcangelo Lupoli, il quale intese sottrarre le
reliquie alla spoliazione in atto nelle chiese napoletane durante il
periodo napoleonico quando furono soppressi gli ordini religiosi.
Le
vicende della ricognizione del corpo e della sua traslazione sono le
stesse che si raccontano per la traslazione di San Sossio, patrono di
Frattamaggiore. Esse sono raccontate negli Acta inventionis
Sanctorum corporum Sosii Diaconi ac Martyris Misenati et Severini
Noricorum Apostoli, scritti nel 1807 dall'illustre prelato.
Attualmente
le sacre spoglie del Santo patrono dell'Austria e della Baviera
riposano nella Basilica Pontificia di Frattamaggiore in una magnifica
cappella, ancora accanto alle spoglie di San Sossio. Ogni anno in
questa città della Campania gruppi di austriaci e di studiosi del
medioevo rinnovano, con la loro visita alla reliquia di San Severino,
la devozione a questo grande santo mai dimenticato.