martedì 29 settembre 2020

LA DEVOZIONE A SAN MICHELE ARCANGELO - Conferenza in occasione della festa patronale 2001 nella Chiesa di San Michele Arcangelo di Casapozzano

 

San Michele Arcangelo - Affresco in S. Angelo in Formis

1. I SANTI PATRONI: Motivi Luoghi Esempi

Quando un paese celebra il suo Santo Patrono vuol dire che esso intende affidare la propria storia e la propria religiosità alla protezione, all’aiuto e alla benevolenza di questo Santo. Un Santo Patrono non è mai scelto per caso, o per motivi inspiegabili, oppure per imposizioni esterne.

Nella storia di un paese c’è sempre una motivazione, c’è sempre un avvenimento particolare, o vi sono eventi più complessi, i quali legano la devozione religiosa della Comunità al Santo che la protegge e la custodisce.

A volte il motivo è un miracolo che si verifica, oppure è un’apparizione divina che rende sacri luoghi ed abitudini; talvolta il motivo si ritrova in tradizioni antiche e leggendarie, e si lega anche al passaggio di un Santo per il paese che lo onora come Patrono o all’appartenenza originaria dello stesso Santo Patrono alla Comunità che lo celebra.

Vi sono infine molti altri motivi storici che possono giustificare la devozione di un popolo per un Santo Patrono. Moltissimi sono gli esempi che si potrebbero proporre per tutti questi casi, nelle grandi città, nei territori nazionali, nei piccoli paesi.

Ad esempio, San Benedetto da Norcia, Patriarca del monachesimo occidentale, è Patrono dell’Europa perché ai suoi monaci si deve l’evangelizzazione di questo Continente e la diffusione della civiltà cristiana in esso. San Francesco d’Assisi è Patrono dell’Italia perché dall’Italia partì e si diffuse il movimento francescano, e la sua predicazione si colloca anche all’origine della Letteratura Italiana.

Tra gli esempi più vicini al nostro territorio diocesano è quello dell’Apostolo Paolo per la Chiesa di Aversa, il quale si ritiene per antica tradizione che fosse transitato per quel luogo quando da Pozzuoli si portò in Atella e a Capua, per poi giungere a Roma. Un altro esempio è quello di San Sossio per Frattamaggiore che condivide con i Frattesi l’origine da Miseno; ed un altro esempio ancora è quello di Sant’Elpidio, il quale era un Vescovo nell’antica Atella ed ora è Patrono di Sant’Arpino che sorge sul territorio della città scomparsa.


2. I SANTI PATRONI NELLA FEDE: Cielo divino e Percorso terreno

In tutti questi casi, secondo la fede cristiana, i Santi Patroni costituiscono per la Comunità che rappresentano un tratto di unione importantissimo della loro vita storica e terrena con la vita soprannaturale e divina. Essi sono mediatori privilegiati della preghiera a Dio e portatori delle risposte della Grazia divina ai bisogni e alle richieste della Comunità.

I Santi Patroni sono garanzia e riflesso della mediazione tra Dio e l’uomo; mediazione che trova il senso più pieno, dal punto di vista teologico e dogmatico, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto Uomo, e in Maria Madre di Dio trova il riverbero più luminoso.

In questo senso è rilevante il dato della vicinanza del Santo alla storia e alla religiosità del luogo di cui è Patrono. Un altro dato importante e particolare della devozione ai Santi Patroni è quello che si lega alle differenze, o alle varietà, che si sperimentano nella esperienza del sacro e del soprannaturale.

Il Cielo del divino a cui le comunità si rivolgono per le loro necessità storiche e contingenti, con le preghiere e le suppliche e attraverso l’impetrazione dei Santi Patroni, è un Cielo complesso e misterioso che è difficile da comprendere con le categorie umane. Per poterlo comprendere un poco i mistici credono che esso, per analogia, si connota come un percorso simile a quello del pellegrinaggio religioso cristiano. Un percorso che incontra vari luoghi e varie tappe, prima di giungere alla meta più alta.

Homo, Angelus, Deus” dicevano i monaci antichi nel descrivere le fasi e le tappe di questo pellegrinaggio mistico dell’ascesa dell’uomo all’esperienza di Dio: la fase della penitenza e della purificazione, la fase dell’illuminazione interiore, e la fase dell’unione con Dio. “L’Uomo, l’Angelo, Dio” sono gli Esseri che teologicamente stanno all’orizzonte del cammino della crescente perfezione cristiana e della Santità: gli Uomini amici di Dio che vengono celebrati come Santi della Chiesa, gli Angeli che già vivono nel cielo il riflesso della Santità di Dio, la Santissima Trinità che rappresenta il culmine della Grazia e della Vita Divina.


3. LE METE DEL PELLEGRINAGGIO

Fin dai primi secoli del Cristianesimo, questo Cielo e questo Percorso hanno avuto una esplicita rappresentazione territoriale nei luoghi e nelle mete del pellegrinaggio antico. L’esperienza spirituale cristiana non è mai stata disgiunta dal cammino reale verso una meta religiosa collocata geograficamente; e nella costellazione degli innumerevoli percorsi possibili il cammino verso la meta dell’Uomo, verso la meta dell’Angelo e verso la meta di Dio, ha assunto alcune fondamentali direttrici.

Il cammino dell’Uomo ha avuto sempre la principale meta di Roma e di Santiago di Compostela: luoghi in cui si venerano la spoglie degli Apostoli Pietro, Paolo e Giacomo. Il cammino dell’Angelo ha sempre avuto la meta principale del Santuario del Gargano sorto sul luogo dell’apparizione dell’Arcangelo Michele. Il cammino di Dio ha sempre avuto la meta di Gerusalemme e dei luoghi della vicenda evangelica di Gesù Cristo Verbo di Dio fatto uomo.

Ulteriori direttrici del percorso cristiano sono ovviamente quelle del cammino verso i Santuari Mariani e quelle del cammino verso i Santuari dedicati ai Santi celebri e popolari. Si possono intuire, quindi, l’importanza e la vastità della rete devozionale che si è sviluppata ab antiquo intorno a queste direttrici, e si possono immaginare gli spunti di ricerca e di approfondimento circa questi argomenti.

Noi ci concentriamo sul tema locale della devozione a San Michele Arcangelo. La chiesa di Casapozzano è sorta sul Cammino dell’Angelo e perciò partecipa a pieno titolo alle importanti tematiche storiche e teologiche che vi sono connesse.


4. IL PERCORSO DELL’ANGELO: Bizantini e Longobardi

L’Arcangelo Michele apparve nella grotta del Gargano nel V-VI secolo, e subito quel luogo divenne il principale santuario micaelico della cristianità. Infatti ad esso si recavano i pellegrini, i monaci e i crociati del Medioevo che lo individuavano sia come la meta ultima del percorso mistico dell’Angelo, e sia come la tappa intermedia del percorso verso Gerusalemme per quelli che in Puglia si recavano anche per imbarcarsi per la Terra Santa.

All’epoca dell’apparizione sul Gargano il culto micaelico aveva già dei centri in Oriente, a Costantinopoli, e in Italia a Roma, in Sicilia e nell’Umbria a Spoleto.

La successiva diffusione di questo culto in tutta l’Italia meridionale fu favorita dai Longobardi del Ducato di Benevento. Questi l’8 Maggio del 663 sconfissero i Saraceni sulle coste del Gargano, vicino Siponto, ed attribuirono la loro vittoria all’intervento dell’Arcangelo che divenne così il loro Santo nazionale e, come ci riferisce Benedetto Croce nella Storia del Regno di Napoli, sostituì le divinità guerriere della loro mitologia barbarica.

Ai Longobardi che avevano conquistato gran parte dell’Italia si deve anche la diffusione del culto di San Michele in Lombardia, a Pavia ed in altri luoghi, ove gli furono dedicate chiese e fu effigiato sui monumenti e sulle insegne civili e militari. La data dell’8 maggio fu pure celebrata da tutta la cristianità. Ai contatti di questo popolo con gli altri stati barbarici si deve anche la diffusione del culto micaelico in Francia, fino alla costa della Normandia, ove nel VIII secolo fu fondato da monaci irlandesi il Santuario di Mont Saint Michael che divenne il centro dell’ulteriore diffusione del culto dell’Arcangelo in Irlanda, in Inghilterra, in Germania ed in altre parti d’Europa.

Abbiamo una notevole testimonianza della diffusione e del significato del culto di San Michele nell’altomedioevo europeo proprio nel racconto di un pellegrinaggio realizzato nel IX secolo dal monaco Bernardo: il Bernardi Itinerarium. Bernardo partì con altri suoi amici da un monastero del beneventano, si recò prima a Roma e successivamente giunse al Santuario del Gargano. Quindi raggiunse Gerusalemme navigando per il Mediterraneo; ed infine ritornò in Italia che poi percorse interamente lungo la tratta Francigena. La sua ultima meta fu il Santuario di Mont Saint Michael in Normandia, ove concluse il suo lunghissimo percorso.

Per avere una idea dell’impresa si può far riferimento al fatto che partendo dalla Campania, occorrevano alcune settimane per il pellegrinaggio al Gargano, circa tre mesi per il pellegrinaggio a Santiago e circa tre anni per il pellegrinaggio a Gerusalemme.


5. IL CULTO MICAELICO: Italia Meridionale, Normanni, Campania

Dalla Normandia intorno all’anno 1000 proveniva quel gruppo di nobili e di militi normanni che si stabilirono in Campania e che in Aversa fondarono la prima Contea normanna dell’Italia meridionale. Quei Normanni vennero in Italia proprio per realizzare un pellegrinaggio al Santuario di San Michele al Gargano, e rimasero nelle nostre terre perché combattendo dapprima contro i Saraceni si trovarono poi impegnati nelle lotte di potere tra i Bizantini di Napoli e i Longobardi di Capua, di Benevento e di Salerno.

Nel corso di un secolo i Normanni conquistarono l’intera Italia Meridionale, compresa la Sicilia, e con il loro governo del territorio diedero nuove impronte e nuovi sviluppi alle manifestazioni della religiosità e al culto di San Michele.

Il percorso dell’Angelo nell’epoca normanna in Campania si consolidò nei centri devozionali già esistenti dei Longobardi e si arricchì di nuovi luoghi. La Via che da Roma portava a Brindisi, appena lasciato il Lazio, ed inoltrandosi lungo la direzione di Capua, di Benevento e della Puglia, diveniva immediatamente una Via ove era presente e diffusa la protezione di San Michele, visibile nelle periferie e nei centri urbani, e soprattutto nei luoghi elevati delle rocche e di cigli montani. Così era a Mondragone, a Capua, a Sant’Angelo in Formis, a Caserta Antica, a Maddaloni, a Sant’Angelo alla Palombara; così era nel Beneventano, a Sant’Angelo dei Lombardi, e giù per la Capitanata fino alla Via Sacra che saliva al Santuario del Gargano. All’Arcangelo venivano dedicati luoghi e chiese anche sulle vie di collegamento tra le città cospicue.


Borgo di Casapozzano - Chiesa di San Michele Arcangelo


6. IL CULTO MICAELICO: Atella e Casapozzano

La Chiesa di San Michele Arcangelo di Casapozzano sorse sulla via che si dipartiva da Atella e che si diramava poi, nell’area del Clanio, nelle direzioni di Capua, di Caserta, di Maddaloni e di Acerra, lungo le quali pure si incontravano altri siti micaelici, come quello di Marcianise e del Gualdo di Sant’Arcangelo.

Si può dire che l’orizzonte della prospettiva che si può operare da questa chiesa verso i cigli e le rocche del pre-appennino campano che precede il valico per la Puglia e per il Santuario maggiore, sia un orizzonte tutto micaelico punteggiato dei santuari anche visibilmente osservabili dedicati a San Michele (Maddaloni, Caserta Antica, Sant’Angelo in Formis).

La Chiesa sorta al luogo d’origine di questa prospettiva, che era propria anche dell’antica diocesi atellana non poteva che essere dedicata a San Michele. Il più antico riferimento documentato della devozione a San Michele collegata con il territorio dell’antica Atella risale al X secolo, ed è contenuto nella Storia dei Longobardi di Benevento scritta dal monaco cassinese Erchemperto sulla scia della più famosa Storia dei Longobardi d’Italia scritta poco tempo prima dal più famoso Paolo Diacono.

Per Casapuzzano, inteso come borgo antico e medievale, i riferimenti più antichi sono contenuti nei documenti e nelle cartule del Codice Diplomatico di Montevergine e nelle scritture del Codice Normanno di Aversa e risalgono al 1100, al XII secolo. Questi documenti segnalano Casapozzano come un luogo ove si erano stanziati signori di origine normanna, tra i quali i Blancardus (che è la versione latina del cognome normanno Blanchard che fu italianizzato poi in Biancardo il quale è ancora un cognome esistente nella nostra area).

Tra le altre cose questi signori stabilirono anche un rapporto di donazione di terre con il Santuario di Montevergine, fondato dal pellegrino San Guglielmo; santuario che proprio all’epoca si stava sviluppando e stava divenendo il sito religioso più importante sul versante irpino del percorso che portava al principale santuario micaelico del Gargano.

Tra le terre donate al santuario ve ne era una che si denominava ‘Campo di Santa Maria’. Molto probabilmente su queste donazioni si basò nel medioevo la presenza dei Monaci Verginiani in Casapozzano, e la valorizzazione del complesso ecclesiastico locale anche come un sito della devozione mariana. Questa presenza monastica medievale in Casapozzano è data per certa da Mario Placido Tropeano che è appunto il monaco di Montevergine che ha redatto e pubblicato i dieci grandi volumi del Codice Diplomatico di Montevergine che ho già citato.

Si intravede così una delle radici storiche che stanno all’origine di quel contesto culturale e religioso-monastico del medioevo di Casapozzano, che per certi aspetti portò alla committenza delle opere d’arte e degli affreschi con l’iconografia mariana che furono realizzati tra la fine del 300 e l’inizio del ‘400 nella Chiesa di San Michele, e che ancora in parte si possono ammirare in essa.


7. SAN MICHELE DI CASAPOZZANO: I documenti più antichi

La Chiesa medievale di Casapozzano era sicuramente dedicata a San Michele, è ciò viene detto in contraddizione con le analisi storiche che circolano su Casapozzano le quali tendono a far risalire ad una epoca più recente la dedicazione di questa chiesa all’Arcangelo. La certezza storica dell’antica esistenza della Chiesa di San Michele in Casapozzano proviene da due documenti, che sono contenuti nelle Rationes Decimarum in Campania pubblicate dal Vaticano e che risalgono al 1324. Questi documenti parlano esplicitamente della “Ecclesia Sancti Michaelis de Casapuczana” e la descrivono come una chiesa abbaziale. Da essi si evince che la Chiesa di san Michele era una abbazia retta da un abate e che aveva un presbitero che la officiava: l’abate proveniva dall’area cassinese e si chiamava Dyonisio de Trajecto ed il presbitero si chiamava Iunta de Vico (o de Vito). Nella stessa Raccolta delle Decime del 1324 si parla anche di altri due presbiteri, Riccardus De Augustino e Riccardus de Laudano, i quali officiavano la “Ecclesia sancti Nicolay de Casapuczana”.

Sicuramente questi documenti possono dare un contributo ad arricchire la storia ecclesiastica locale e a supportare con maggiore sicurezza supposizioni ed ipotesi storiografiche che ancora si fanno circa la storia antica di Casapozzano e delle sue chiese.

Va sottolineato che l’epoca della redazione di questi documenti è l’epoca della dinastia angioina nel Regno di Napoli, la quale sostituì il governo dei Normanni e valorizzò una diffusa religiosità collegata con i grandi temi della cultura e dell’arte. In particolare durante questa dinastia, con il favorire dei nuovi ordini religiosi, Francescani e Domenicani, vi fu il recupero della devozionalità longobarda, bizantina e normanna, incentrata sui temi micaelici; ed il Santuario di Montevergine, molto amato da questa dinastia, fu grandemente valorizzato ed ebbe occasione di divenire insieme meta devozionale aristocratica e popolare, con grancie monastiche, siti devozionali , tenimenti e rettorie sparsi in ogni dove per l’Italia meridionale e nelle nostre contrade.

Si intravede così nell’epoca angioina un’altra delle radici storiche che stanno all’origine della cultura devozionale e della committenza degli affreschi di Casapozzano. Tutti questi elementi ci rimandano una importante e nobile immagine dell’antichità e del sicuro inserimento di questa Chiesa nel grande circuito della devozione micaelica in Campania.


Affreschi di Casapozzano


C
ONCLUSIONE

Tralascio gli altri aspetti della storia locale che sono già stati descritti in varie opere in circolazione che si possono facilmente recuperare, e che riguardano la storia del borgo medievale e le vicende della Chiesa di San Michele nella Diocesi di Aversa considerata da dopo il Concilio di Trento. Queste vicende sono in fondo quelle che ancora oggi si ravvisano nei segni presenti dell’organizzazione ecclesiastica parrocchiale, delle congreghe, dei gruppi, della liturgia, della pratica devozionale, dell’arte e dell’architettura che ci circonda. Nella nostra epoca credo che sia importante recuperare la memoria e i segni della comunità antica. Una città, un paese, un borgo non sono mai un mero raggruppamento fisico di case e di residenze; essi sono il luogo ove palpita la vita storica della comunità locale che si esprime nelle dimensioni attuali ma che trova fondamenti nel patrimonio dell’ambiente tradizionale, delle manifestazioni dell’arte, della religiosità, delle chiese e dell’urbanistica antica.

La Chiesa di San Michele e la devozione all’Arcangelo, così come l’abbiamo vista espressa nel nostro territorio, sono forse il principale dei fondamenti della vita storica della comunità di Casapozzano, rispetto al quale trovano consistenza anche quegli altri fondamenti che attengono la sua vita civile, la cultura, l’educazione delle nuove generazioni e la visione del bene futuro.



FRANCESCO D'ASSISI SULLE ORME DI GESU'

Vivere come testimone del Signore ed immergersi nell’annuncio del suo Vangelo. E’ il senso del cammino religioso ed umano di Francesco d’Assisi (1181-1226). E’ l’esempio personalmente offerto, e a chiare lettere, ai suoi frati, alle sue sore, e ai suoi amici devoti. Francesco lo dice in tutti i luoghi da lui narrati e che di lui narrano. Fino all’incontro con sorella morte.

San Francesco. Effige di Greccio


Da giovane mondano il Signore gli “dette d’incominciare penitenza” (Fonti del Testamento) portandolo prima all’incontro con il dolore del lebbroso e poi alla riflessione che lo portò ad “uscire dal mondo”. Lo riempì poi del sentimento comunitario e dell’amore sacro della sua dimora e della sua presenza in tutte le chiese; a tal punto che Francesco era solito così pregare:

Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo”.

E personalmente dialogando con il Crocifisso pregava:

Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio. Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta, senno e cognoscemento, Signore, che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen”.

Quando si accorse che avrebbe dovuto indicare la strada anche ai frati che incominciarono a seguirlo e a stargli vicino, Francesco chiese al Signore di illuminarlo; e così egli racconta:

E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò” .

Correva l’anno 1209. A questo proposito dicono le Fonti della Regola non bollata:

Questa è la prima Regola che il beato Francesco compose, e il signor papa Innocenzo gli confermò senza bolla. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo! Questa è la vita del Vangelo di Gesù Cristo, che frate Francesco chiese che dal signor papa Innocenzo gli fosse concessa e confermata. Ed egli la concesse e la confermò per lui e per i suoi frati presenti e futuri”.

La vita del Vangelo e l’imitazione di Cristo rappresentano così il senso del cammino spirituale

francescano che s’inoltra sulle orme del Signore Gesù. Sono il contenuto dell’esortazione di Francesco ai suoi frati:

Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna […] Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama dl manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore.”

E la manifestazione dell’Altissimo, dice Francesco nella Lettera ai fedeli, è lo stesso Verbo del Padre:

Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore. E perciò, considerando che non posso visitare personalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio corpo, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita. L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele, annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà. E, prossimo alla passione, celebrò la pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». E prendendo il calice disse: «Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati». Poi pregò il Padre dicendo: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice». E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per terra. Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: «Padre, sia fatta la tua volontà; non come voglio io, ma come vuoi tu». E la volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme. E vuole che tutti siamo salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo con cuore puro e col nostro corpo casto”.

Il Corpo del Signore è offerto quindi in espiazione dei peccati e la sua memoria sacramentale serve ad esempio per seguirne le orme. E’ quello eucaristico l’ulteriore versante della spiritualità francescana conformata alla imitazione di Cristo. Ed è anche il significato dell’implorazione di Francesco, rivolta ai suoi frati nella Lettera a tutto l’Ordine, ad avere riverenza del Corpo del Signore:

Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l’amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l’onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale tutte le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente”.

Nella stessa lettera l’esortazione del santo ai frati si estende anche al necessario zelo da avere per le cose di Dio e per il decoro liturgico della sua sacra dimora:

E poiché chi è da Dio ascolta le parole di Dio, perciò noi, che in modo tutto speciale siamo deputati ai divini uffici, dobbiamo non solo ascoltare e praticare quello che Dio dice, ma anche, per radicare in noi l’altezza del nostro Creatore e la nostra sottomissione a lui, custodire i vasi sacri e i libri liturgici, che contengono le sue sante parole. Perciò, ammonisco tutti i miei frati e li incoraggio in Cristo perché, ovunque troveranno le divine parole scritte, come possono, le venerino e, per quanto spetti a loro, se non sono ben custodite o giacciono sconvenientemente disperse in qualche luogo, le raccolgano e le ripongano in posto decoroso, onorando nelle sue parole il Signore che le ha pronunciate. Molte cose infatti sono santificate mediante le parole di Dio e in virtù delle parole di Cristo si compie il sacramento dell’altare”.

Il Signore stesso rivelò a Francesco il saluto che i frati dovevano dire: “Il Signore ti dia la pace!”.

Questo saluto evoca quello dello stesso Signore risorto apparso ai discepoli riuniti nel Cenacolo:

Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20, 21). Camminare sul mandato evangelico del Signore ai suoi discepoli è lo stile del cammino francescano sulle orme di Gesù.

Negli ultimi anni della sua vita, dalla notte di Natale del 1223, vissuta nell’esperienza del presepe vivente di Greccio, attraverso l’esperienza delle Stimmate ricevute nella solitudine della Verna (1224), fino al Beato transito alla Porziuncola (3 ottobre 1226), Francesco d’Assisi visse veramente in maniera intensa la sua personale conformazione a Cristo. I racconti biografici delle Fonti mettono in risalto vari aspetti, avolte anche olegrafici di quelle esperienze, ma soprattutto riconoscono la profondità dell’esperienza di fede del Santo e il dono della Grazia del Signore.

Il primo biografo (Tommaso da Celano nella Vita Prima) mette particolarmente in risalto di Francesco la sua relazione con il Vangelo di Cristo:

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo [...] Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore [...] Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo.”

Anche l’eperienza di Francesco all’eremo della Verna ebbe un fondamentale riferimento al Vangelo. Ciò si evince dalla narrazione della stessa fonte del Celano:

Un giorno si accostò all'altare che era stato eretto in quell'eremitorio, e vi depose sopra devotamente il libro dei Vangeli. Poi, prostrato in preghiera non meno col cuore che col corpo, implorava umilmente Dio buono, padre della misericordia e Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3) che si degnasse manifestargli il suo santissimo volere, e perché potesse condurre a compimento quello che un tempo aveva intrapreso con semplicità e devozione, lo pregava e supplicava di rivelargli alla prima apertura del libro quanto gli conveniva fare. Si conformava così a quegli antichi grandi maestri di santità che avevano agito, ispirati da Dio, in modo analogo.”

Lo stato d’animo di Francesco in quella situazione si può comprendere dalla stessa preghiera così formulata e che si legge dalle Fonti nei suoi Scritti (Absorbeat):

Rapisca, ti prego, o Signore, I’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio.”

La narrazione del Celano sull’esperienza della Verna così continua:

Terminata la preghiera, si alzò e con spirito di umiltà e contrizione di cuore (Dn 3,9), fatto il segno della santa croce, prese il libro dall'altare e lo aprì con riverenza e timore. Ora avvenne che alla apertura del libro, la prima cosa sulla quale si posarono i suoi occhi fu la passione di nostro Signor Gesù Cristo, ma solo nel tratto in cui viene predetta. Per timore che si trattasse di un caso fortuito, chiuse e riaperse il libro una seconda e una terza volta, e risultò sempre un passo uguale o somigliante. Il servo di Dio che era pieno dello Spirito di Dio, capì allora che sarebbe entrato nel Regno dei Cieli solo attraverso innumerevoli tribolazioni, angustie e lotte.

Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato «Verna », due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.

Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande.”

Francesco volle concludere la sua vicenda terrena nello stesso luogo ove era nata la sua vocazione e la sua comunità di frati; e si fece portare alla Porziuncola:

Dimorava allora il Santo nel palazzo del vescovo di Assisi, e pregò i frati di trasportarlo in fretta a Santa Maria della Porziuncola, volendo rendere l'anima a Dio là dove, come abbiamo detto, per la prima volta aveva conosciuto chiaramente la via della verità […] Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: Sei giorni prima della Pasqua, sapendo Gesù ch'era giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre (Gv 12,1; 13,1). Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro, ancora prima di averne l'ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel volume contenesse tutta intera la Bibbia.

E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e guida, stavano ivi raccolti con riverenza e attendevano il beato «transito» e la benedetta fine, quell'anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell'eterna luce, e il corpo s'addormentò nel Signore”.

Jacopa de’ Settesoli, la nobildonna romana che ospitava Francesco quando si recava a Roma, e che a questi e ai suoi frati aveva donato il luogo ove sorge la chiesa di San Francesco a Ripa, si ritrovò miracolosamente presente alla dipartita del Santo alla Porziuncola. Proprio quando Francesco le fece scrivere la lettera che la pregava di venire ad Assisi con i ceri e il cilicio per la sepoltura e con qualche dolce che ella a Roma preparava apposta per lui:

A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco poverello di Cristo, augura salute nel Signore e la comunione dello Spirito Santo. Sappi, carissima, che Cristo benedetto, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della mia vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli, poiché se non verrai prima di tale giorno, non mi potrai trovare vivo. E porta con te un panno di cilicio in cui tu possa avvolgere il mio corpo e la cera per la sepoltura. Ti prego ancora di portarmi di quei dolci, che eri solita darmi quando mi trovavo ammalato a Roma”.

La fonte del Celano (Trattato dei miracoli) così narra:

Pochi giorni prima di morire chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacoma, perché se voleva vedere colui che già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era prossimo al ritorno verso la patria, si affrettasse a venire. Si scrive una lettera, si cerca un messo molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio. All'improvviso si udì alla porta un calpestìo di cavalli, uno strepito di soldati e il rumore d'una comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando istruzioni al messo, si avvicinò alla porta e si trovò alla presenza di colei, che invece cercava lontano. Stupito, si avvicinò in fretta al Santo e pieno di gioia disse: «Padre, ti annunzio una buona novella». Il Santo, prevenendolo, gli rispose: «Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma, fratello nostro! Aprite le porte, esclama, e fatela entrare, perché per fratello Giacoma non c'è da osservare il decreto relativo alle donne!».

La stessa fonte narra anche che donna Jacopa ebbe occasione di vedere con i suoi occhi le stimmate impresse nella carne del Santo e che si adoperò perché si conoscesse da tutti la santità e la somiglianza di Francesco con il Cristo crocifisso.

Jacopa de' Settesoli. Effige di Simone Martini


Alla morte di Francesco, che avvenne sul finire del sabato, volò sulla Porziuncola uno stormo di allodole. Lo narrò Bonaventura nella sua Leggenda Maggiore:

Le allodole, che sono amiche della luce e han paura del buio della sera, al momento del transito del Santo, pur essendo già imminente la notte, vennero a grandi stormi sopra il tetto della casa e roteando a lungo con non so qual insolito giubilo, rendevano testimonianza gioiosa e palese alla gloria del Santo, che tante volte le aveva invitate a lodare Dio.”

L’anno precedente malato agli occhi e quasi cieco, trascorrendo qualche tempo nel convento di San Damiano ospite di santa Chiara e delle Sorelle, Francesco aveva aggiunto le ultime strofe al suo Cantico di Frate Sole:

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfane,

et nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,

spetialmente messor lo frate Sole,

lo quale è iorno et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:

de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:

in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento

et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,

per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,

la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,

per lo quale ennallumini la nocte:

ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,

la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore

et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’I sosterrano in pace,

ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,

da la quale nullu homo vivente po’ skappare:

guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no ’I farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate

e serviateli cum grande humilitate.”