Maestro dell'Osservanza, S. Antonio abate, XV sec. Louvre, Parigi |
Nel
VI secolo, all’epoca di san Benedetto fondatore del monachesimo
occidentale, già circolava da un secolo la Vita Antonii, opera
primaria dell'agiografia cristiana scritta da
sant'Atanasio per narrare la storia di sant’Antonio abate (250-356)
che visse nel deserto egiziano per oltre 80 anni e legò la sua
persona alla fondazione dell’ascetismo monastico cristiano dei
Padri del deserto. La conoscenza dell'esperienza monastica di Antonio
si era diffusa in tutto il mondo cristiano proponendosi come stimolo
di conversione religiosa e come modello di vita spirituale per
sant’Agostino, per lo stesso san Benedetto e per molti altri uomini
e santi.
Dalla
Vita si apprende che Antonio nacque intorno al 250 in Egitto a
Coma, oggi Qemans, città posta presso Eracleopoli
sulla riva occidentale del Nilo. Egli visse nel ricco ambiente
familiare l’infanzia e l’adolescenza con semplicità e purezza.
Rimasto orfano a 20 anni ed ispirato dalla lettura del Vangelo decise
di abbandonare ogni ricchezza e di intraprendere una vita di povertà
alla sequela del Signore. Si ritirò presso la sua città, in un
luogo solitario, come facevano molti cristiani per sfuggire alle
persecuzioni. In quel luogo, seguendo in un primo momento un altro
monaco, Antonio si diede alla preghiera ed al lavoro e meditò
profondamente le Sacre Scritture. Poi si condusse in perfetta
solitudine, ed in quella condizione ebbero inizio le tentazioni
che egli combatteva e vinceva con la preghiera e con il segno della
croce di Cristo. A 35 anni egli si inoltrò per il deserto e si
incamminò verso i monti del Pispir, in direzione del Mar
Rosso. Con quel percorso, che si svolse tra i sepolcri e le rocche
abbandonate, tra le insidie dell’ambiente e degli animali, nacque
il fuoco dell’ascetismo: “una fiamma che nessun’acqua poté
estinguere”.
Frate Angelico, La Tebaide, XV sec. - Uffizi, Firenze |
Antonio
si fermò presso un fortilizio diroccato, luogo orrido e nido di
serpi ma con il vantaggio di trovarsi presso una fonte. Vi stette
nascosto per alcuni anni, aiutato da un monaco che ogni tanto lo
riforniva con viveri lanciati dall’esterno delle mura. La
solitudine di Antonio divenne esemplare per molti altri monaci
ritirati nel deserto che richiesero il suo insegnamento e la sua
guida. In questo modo il santo eremita, chiamato ad essere abate,
organizzò alcuni monasteri intorno al suo eremo presso la riva del
Nilo e a ridosso delle montagne circostanti.
Durante
la sua guida abatiale nel 307 Antonio ebbe la visita di sant’Ilarione
eremita della Palestina, e nel 311, durante la persecuzione di
Massimino Dacia, lasciò il deserto per recarsi ad Alessandria e
confortare i martiri con la sua presenza. Dopo quella esperienza
decise di non tornare più al suo eremo e si incamminò con alcuni
carovanieri verso la Tebaide per raggiungere un luogo ancora più
lontano ed adatto alla sua ascesi nella solitudine. Raggiunse così,
dopo tre notti e tre giorni di cammino, un luogo situato tra le
montagne a trenta miglia dal Nilo, dal quale si poteva vedere il
Sinai. Là egli visse il resto della sua lunghissima vita,
organizzando il suo eremo ed il suo orto in un ambiente
spiritualmente e fisicamente difficile ed aspro. I monaci del Pispir
riuscirono a ritrovarlo e fu ancora possibile per lui avere contatti
con le comunità monastiche e con la civiltà circostante. Da quel
luogo egli ebbe occasione di muoversi ancora per andare alla ricerca
di Paolo, il primo eremita del deserto come racconta san Girolamo, e
di recarsi ancora una volta ad Alessandria poco prima della sua
morte, su invito del vescovo Atanasio suo amico e discepolo, per
confutare la dottrina ariana. Prima di morire egli chiese a Macario e
ad Amathas, unici monaci a cui aveva concesso di vivere presso il suo
eremo, di non rivelare il luogo della sua imminente sepoltura al
fine di terminare in umiltà e senza celebrazioni la sua esistenza
terrena.
S. Antonio abate. Icona devozionale |
Grazie
alla divulgazione della Vita scritta da sant’Atanasio
(Atanasio, Vita Antonii) la conoscenza di Antonio si diffuse
in tutta la cristianità ed il suo culto quasi subito varcò i
confini dell’Egitto estendendosi in Oriente e in Occidente. La sua
festa fu istituita nel V secolo in Palestina dall’abate Eutimio e
venne segnata al 17 Gennaio nel Martirologio Geronimiano (V
secolo) e nel Martirologio Storico di Beda il Venerabile (IX
secolo). La devozione per il santo, che ebbe dai monaci l’appellativo
di ‘magno’, assunse caratteri fortemente popolari ed egli fu
considerato protettore potente contro i contagi e contro l’herpes
zoster (detto dal volgo fuoco di sant’Antonio). A lui
vennero intitolate chiese, congreghe ed edicole votive, ed il suo
nome fu abitualmente imposto a moltissimi neonati.
Nel
561, grazie ad una rivelazione divina, vennero scoperte le sue
reliquie e trasferite nella chiesa di San Giovanni battista ad
Alessandria. Nel 635, durante la conquista araba, le sue reliquie
furono portate a Costantinopoli ove stettero fino al tempo delle
crociate, fino a quando un cavaliere le portò a Motte-Saint-Didier
in Francia e furono riposte in una chiesa consacrata da papa Callisto
II nel 1119. Qualche decennio prima era già stato istituito l’Ordine
dei monaci di Sant’Antonio. Nel 1491 le reliquie di sant’Antonio
abate furono traslate a Saint Julien situata vicino ad Arles. Intorno
alle reliquie di Antonio conservate nella Chiesa di Saint-Antoine de
Viennois si sviluppò la devozione principale che riguardava la
guarigione dal fuoco di Sant’Antonio. Il numero dei malati
che ricorrevano al santo taumaturgo era così elevato che fu
necessario costruire apposite strutture ospedaliere ed impegnare
l’ordine degli Antoniani per l’assistenza e la cura dei
devoti pellegrini. Il simbolo di quell’Ordine fu la cruccia a forma
di T che il santo portava per appoggiarsi nella sua
vecchiaia, ed una pratica che poi si diffuse in tutte le contrade
d’Europa fu quella di allevare in libertà dei maialini, con al
collo un campanello, che venivano nutriti dalla popolazione.
Il
fuoco, il bastone, l’animale, il saio monastico, l’assistenza,
divennero i simboli devozionali principali legati al culto di
sant’Antonio abate, e sono ancora oggi presenti nella tradizione
religiosa popolare. I falò di sant’Antonio abate che si accendono
in moltissimi paesi, con il contributo di tutti nella raccolta delle
fascine e con la divisione quasi sacrale delle ceneri residue, sono
una pratica caratteristica ed affascinante della tradizionale vita
comunitaria; così come lo sono la devozione, importantissima in
molti luoghi, di portare gli animali dell’aia con nastrini e
fiocchi a ricevere la benedizione ecclesiastica, e la protezione che
il santo assicura alle attività agricole e alla salute degli animali
domestici. Il patronato devozionale ed il significato esemplare del
culto di sant’Antonio abate nella moderna civiltà si può
considerare anche di carattere ecologico e di valorizzazione
dei corretti rapporti dell’uomo con la natura. Sant’Antonio abate
è celebrato come patrono dei vigili del fuoco, dei fornai, dei
pizzicagnoli, dei macellai, dei salumieri, degli animali domestici e
del bestiame. La tradizione vuole pure che la devozione antoniana si
sia ampiamente diffusa grazie alla promessa che lo stesso Gesù aveva
fatto al santo eremita per premiarlo con la fama delle sue aspre
lotte combattute nella solitudine.
Fonti
in:
P. Saviano F. Pezzella, Sant’Antonio abate…, Pro Loco
‘F. Durante, Frattamaggiore 2001
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