martedì 22 gennaio 2013

Vita e culto di Sant'Antonio abate padre del deserto

Maestro dell'Osservanza, S. Antonio abate, XV sec.
Louvre, Parigi

Nel VI secolo, all’epoca di san Benedetto fondatore del monachesimo occidentale, già circolava da un secolo la Vita Antonii, opera primaria dell'agiografia cristiana scritta da sant'Atanasio per narrare la storia di sant’Antonio abate (250-356) che visse nel deserto egiziano per oltre 80 anni e legò la sua persona alla fondazione dell’ascetismo monastico cristiano dei Padri del deserto. La conoscenza dell'esperienza monastica di Antonio si era diffusa in tutto il mondo cristiano proponendosi come stimolo di conversione religiosa e come modello di vita spirituale per sant’Agostino, per lo stesso san Benedetto e per molti altri uomini e santi.

Dalla Vita si apprende che Antonio nacque intorno al 250 in Egitto a Coma, oggi Qemans, città posta presso Eracleopoli sulla riva occidentale del Nilo. Egli visse nel ricco ambiente familiare l’infanzia e l’adolescenza con semplicità e purezza. Rimasto orfano a 20 anni ed ispirato dalla lettura del Vangelo decise di abbandonare ogni ricchezza e di intraprendere una vita di povertà alla sequela del Signore. Si ritirò presso la sua città, in un luogo solitario, come facevano molti cristiani per sfuggire alle persecuzioni. In quel luogo, seguendo in un primo momento un altro monaco, Antonio si diede alla preghiera ed al lavoro e meditò profondamente le Sacre Scritture. Poi si condusse in perfetta solitudine, ed in quella condizione ebbero inizio le tentazioni che egli combatteva e vinceva con la preghiera e con il segno della croce di Cristo. A 35 anni egli si inoltrò per il deserto e si incamminò verso i monti del Pispir, in direzione del Mar Rosso. Con quel percorso, che si svolse tra i sepolcri e le rocche abbandonate, tra le insidie dell’ambiente e degli animali, nacque il fuoco dell’ascetismo: “una fiamma che nessun’acqua poté estinguere”.


Frate Angelico, La Tebaide, XV sec. - Uffizi, Firenze
Antonio si fermò presso un fortilizio diroccato, luogo orrido e nido di serpi ma con il vantaggio di trovarsi presso una fonte. Vi stette nascosto per alcuni anni, aiutato da un monaco che ogni tanto lo riforniva con viveri lanciati dall’esterno delle mura. La solitudine di Antonio divenne esemplare per molti altri monaci ritirati nel deserto che richiesero il suo insegnamento e la sua guida. In questo modo il santo eremita, chiamato ad essere abate, organizzò alcuni monasteri intorno al suo eremo presso la riva del Nilo e a ridosso delle montagne circostanti.
Durante la sua guida abatiale nel 307 Antonio ebbe la visita di sant’Ilarione eremita della Palestina, e nel 311, durante la persecuzione di Massimino Dacia, lasciò il deserto per recarsi ad Alessandria e confortare i martiri con la sua presenza. Dopo quella esperienza decise di non tornare più al suo eremo e si incamminò con alcuni carovanieri verso la Tebaide per raggiungere un luogo ancora più lontano ed adatto alla sua ascesi nella solitudine. Raggiunse così, dopo tre notti e tre giorni di cammino, un luogo situato tra le montagne a trenta miglia dal Nilo, dal quale si poteva vedere il Sinai. Là egli visse il resto della sua lunghissima vita, organizzando il suo eremo ed il suo orto in un ambiente spiritualmente e fisicamente difficile ed aspro. I monaci del Pispir riuscirono a ritrovarlo e fu ancora possibile per lui avere contatti con le comunità monastiche e con la civiltà circostante. Da quel luogo egli ebbe occasione di muoversi ancora per andare alla ricerca di Paolo, il primo eremita del deserto come racconta san Girolamo, e di recarsi ancora una volta ad Alessandria poco prima della sua morte, su invito del vescovo Atanasio suo amico e discepolo, per confutare la dottrina ariana. Prima di morire egli chiese a Macario e ad Amathas, unici monaci a cui aveva concesso di vivere presso il suo eremo, di non rivelare il luogo della sua imminente sepoltura al fine di terminare in umiltà e senza celebrazioni la sua esistenza terrena.

S. Antonio abate. Icona devozionale
Grazie alla divulgazione della Vita scritta da sant’Atanasio (Atanasio, Vita Antonii) la conoscenza di Antonio si diffuse in tutta la cristianità ed il suo culto quasi subito varcò i confini dell’Egitto estendendosi in Oriente e in Occidente. La sua festa fu istituita nel V secolo in Palestina dall’abate Eutimio e venne segnata al 17 Gennaio nel Martirologio Geronimiano (V secolo) e nel Martirologio Storico di Beda il Venerabile (IX secolo). La devozione per il santo, che ebbe dai monaci l’appellativo di ‘magno’, assunse caratteri fortemente popolari ed egli fu considerato protettore potente contro i contagi e contro l’herpes zoster (detto dal volgo fuoco di sant’Antonio). A lui vennero intitolate chiese, congreghe ed edicole votive, ed il suo nome fu abitualmente imposto a moltissimi neonati.
Nel 561, grazie ad una rivelazione divina, vennero scoperte le sue reliquie e trasferite nella chiesa di San Giovanni battista ad Alessandria. Nel 635, durante la conquista araba, le sue reliquie furono portate a Costantinopoli ove stettero fino al tempo delle crociate, fino a quando un cavaliere le portò a Motte-Saint-Didier in Francia e furono riposte in una chiesa consacrata da papa Callisto II nel 1119. Qualche decennio prima era già stato istituito l’Ordine dei monaci di Sant’Antonio. Nel 1491 le reliquie di sant’Antonio abate furono traslate a Saint Julien situata vicino ad Arles. Intorno alle reliquie di Antonio conservate nella Chiesa di Saint-Antoine de Viennois si sviluppò la devozione principale che riguardava la guarigione dal fuoco di Sant’Antonio. Il numero dei malati che ricorrevano al santo taumaturgo era così elevato che fu necessario costruire apposite strutture ospedaliere ed impegnare l’ordine degli Antoniani per l’assistenza e la cura dei devoti pellegrini. Il simbolo di quell’Ordine fu la cruccia a forma di T che il santo portava per appoggiarsi nella sua vecchiaia, ed una pratica che poi si diffuse in tutte le contrade d’Europa fu quella di allevare in libertà dei maialini, con al collo un campanello, che venivano nutriti dalla popolazione.
Il fuoco, il bastone, l’animale, il saio monastico, l’assistenza, divennero i simboli devozionali principali legati al culto di sant’Antonio abate, e sono ancora oggi presenti nella tradizione religiosa popolare. I falò di sant’Antonio abate che si accendono in moltissimi paesi, con il contributo di tutti nella raccolta delle fascine e con la divisione quasi sacrale delle ceneri residue, sono una pratica caratteristica ed affascinante della tradizionale vita comunitaria; così come lo sono la devozione, importantissima in molti luoghi, di portare gli animali dell’aia con nastrini e fiocchi a ricevere la benedizione ecclesiastica, e la protezione che il santo assicura alle attività agricole e alla salute degli animali domestici. Il patronato devozionale ed il significato esemplare del culto di sant’Antonio abate nella moderna civiltà si può considerare anche di carattere ecologico e di valorizzazione dei corretti rapporti dell’uomo con la natura. Sant’Antonio abate è celebrato come patrono dei vigili del fuoco, dei fornai, dei pizzicagnoli, dei macellai, dei salumieri, degli animali domestici e del bestiame. La tradizione vuole pure che la devozione antoniana si sia ampiamente diffusa grazie alla promessa che lo stesso Gesù aveva fatto al santo eremita per premiarlo con la fama delle sue aspre lotte combattute nella solitudine.

Fonti in
P. Saviano F. Pezzella, Sant’Antonio abate…, Pro Loco ‘F. Durante, Frattamaggiore 2001


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