Due
immagini romane racchiudono i giorni primaverili dal 27 marzo al 25
aprile di quest’anno vissuti nel mondo e in Italia. La prima è
l’immagine vespertina di papa Francesco, che cammina solitario al
centro di Piazza San Pietro verso il sagrato della Basilica per
recarsi a pregare il Signore che liberi il mondo dalla pandemia e
stia accanto all’umanità sofferente. La seconda è quella
mattutina del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che si
introduce solitario all’Altare della Patria, per porgere a nome di
tutti gli Italiani l’omaggio alla tomba del Milite Ignoto, nel
giorno celebrativo della Liberazione che viene vissuto nel
distanziamento sanitario dei cittadini per arginare l’epidemia
imperversante. Il gesto della solitudine ha avuto un valore altamente
simbolico e comunitario, rappresentativo sia dell’universalità dei
credenti per papa Francesco e sia di tutti gli italiani per il
presidente Mattarella.
Nel
giro di qualche mese, dalla metà di dicembre 2019, il contagio di
coronavirus (COVID-19) che sembrava avere il focolaio circoscritto
alla Cina ha assunto i caratteri di una letale pandemia mondiale che
ha coinvolto in modo drammatico l’Italia a partire dalle sue
regioni settentrionali. Il sistema nazionale della Sanità e della
Protezione Civile è stato sottoposto ad un severo impegno per far
fronte ad una influenza imprevista che ha procurato decine di
migliaia di contagi e alte percentuali di ricoveri e di morti. Si
sono dovute adottare misure di controllo e di contenimento del
contagio che hanno fatto leva sul “rimanere a casa“ della
popolazione (Decreto #IORESTOACASA), sul “distanziamento sociale”
con divieto di assembramenti, e sull’utilizzo di dispositivi di
sicurezza sanitaria come tamponi, mascherine e sanificazioni.
La
reazione all’epidemia messa in atto dall’Italia ha avuto effetti
dimostrativi anche per i comportamenti e le soluzioni adottate nelle
altre nazioni europee e mondiali, che nel prosieguo del tempo si sono
trovate coinvolte nel contagio divenuto pandemico. L’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dato pieno sostegno alle
misure adottate dall’Italia; la comunità scientifica
internazionale si è prodotta in uno sforzo continuo di ricerca
operativa e di conoscenza statistica e previsionale del fenomeno
virale, al fine di preparare vaccini e fornire le istituzioni
governative di elementi utili alla gestione delle relazioni
produttive e degli interventi sanitari.
Notevole
è apparsa in questi frangenti di restrizioni fisiche la variazione
della dinamica comportamentale e motivazionale della popolazione, sia
a livello personale e sia a livello comunitario. Si è fatto sentire
acutamente lo stimolo di una consapevolezza più attenta dei limiti e
dei significati dell’esistenza umana, l’esigenza di una
comunicazione basata sulla reciprocità e sulla speranza; di un
pensiero e di una religiosità che ripropongano e testimonino il
senso sacro della Vita e del Creato.
Riporto
stralci testuali della preghiera del Papa e del messaggio del
Presidente per il 25 aprile.
momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia
presieduto da papa Francesco
Sagrato della Basilica di San Pietro
Venerdì, 27 Marzo 2020
«Venuta
la sera» (Mc 4,35).
Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra
che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre
piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite
riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante,
che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si
avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti
e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla
sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto
di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma
nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare
insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca…
ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e
nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci
siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo,
ma solo insieme.
È
facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è
capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono
naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella
parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante
il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica
volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi
viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai
discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete
ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo
di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei
discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano
smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo
invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v.
38). Non
t’importa:
pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro.
Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è
quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase
che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù.
Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta
invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La
tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle
false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre
agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci
dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che
alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra
comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di
“imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei
nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini
apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre
radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così
dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con
la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui
mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria
immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella
(benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci:
l’appartenenza come fratelli.
«Perché
avete paura? Non avete ancora fede?».
Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In
questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a
tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di
guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla
fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo
ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo
ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente
malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre
sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti
imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché
avete paura? Non avete ancora fede?».
Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è
tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In
questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”,
«ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12).
Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un
tempo di scelta.
Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di
scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è
necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta
della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo
guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura,
hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello
Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È
la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di
mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone
comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli
dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle
dell’ultimo show ma,
senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della
nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei
supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze
dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri
che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla
sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli,
scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che
tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).
Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo
cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri,
madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con
gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi
riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera.
Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti.
La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché
avete paura? Non avete ancora fede?».
L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo
autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del
Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù
nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure,
perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a
bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio:
volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte.
Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita
non muore mai.
Il
Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a
risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare
solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra
naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la
nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo
stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati
riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati
risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo
amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo
la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza
di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva:
è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua
croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che
ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che
ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3),
che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare
la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le
contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il
nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla
creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa
trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi
chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di
solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la
speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le
misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e
custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco
la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché
avete paura? Non avete ancora fede?».
Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede
rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per
l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del
mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo
scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di
Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai
cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e
siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della
tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5).
E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione,
perché Tu hai cura di noi” (cfr 1
Pt 5,7).
MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELL REPUBBLICA
in occasione del 25 aprile
Il
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del 75°
anniversario della Liberazione, si è recato all'Altare della Patria
dove ha deposto una corona d'alloro sulla Tomba del Milite Ignoto. La
deposizione della corona è avvenuta al di fuori di ogni cerimonia e
senza la presenza di autorità.
Il
Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 25
aprile ha inviato il seguente messaggio:
«Nella
primavera del 1945 l’Europa vide la sconfitta del nazifascismo e
dei suoi seguaci.
L’idea
di potenza, di superiorità di razza, di sopraffazione di un popolo
contro l’altro, all’origine della seconda guerra mondiale, lasciò
il posto a quella di cooperazione nella libertà e nella pace e, in
coerenza con quella scelta, pochi anni dopo è nata la Comunità
Europea.
Oggi
celebriamo il settantacinquesimo anniversario della Liberazione, data
fondatrice della nostra esperienza democratica di cui la Repubblica è
presidio con la sua Costituzione.
La
pandemia del virus che ha colpito i popoli del mondo ci costringe a
celebrare questa giornata nelle nostre case.
Ai
familiari di ciascuna delle vittime vanno i sentimenti di
partecipazione al lutto da parte della nostra comunità nazionale,
così come va espressa riconoscenza a tutti coloro che si trovano in
prima linea per combattere il virus e a quanti permettono il
funzionamento di filiere produttive e di servizi essenziali.
Manifestano
uno spirito che onora la Repubblica e rafforza la solidarietà della
nostra convivenza, nel segno della continuità dei valori che hanno
reso straordinario il nostro Paese.
In
questo giorno richiamiamo con determinazione questi valori. Fare
memoria della Resistenza, della lotta di Liberazione, di quelle
pagine decisive della nostra storia, dei coraggiosi che vi ebbero
parte, resistendo all’oppressione, rischiando per la libertà di
tutti, significa ribadire i valori di libertà, giustizia e coesione
sociale, che ne furono alla base, sentendoci uniti intorno al
Tricolore.
Nasceva
allora una nuova Italia e il nostro popolo, a partire da una
condizione di grande sofferenza, unito intorno a valori morali e
civili di portata universale, ha saputo costruire il proprio futuro.
Con
tenacia, con spirito di sacrificio e senso di appartenenza alla
comunità nazionale, l’Italia ha superato ostacoli che sembravano
insormontabili.
Le
energie positive che seppero sprigionarsi in quel momento portarono
alla rinascita. Il popolo italiano riprese in mano il proprio
destino. La ricostruzione cambiò il volto del nostro Paese e lo rese
moderno, più giusto, conquistando rispetto e considerazione nel
contesto internazionale, dotandosi di antidoti contro il rigenerarsi
di quei germi di odio e follia che avevano nutrito la scellerata
avventura nazifascista.
Nella
nostra democrazia la dialettica e il contrasto delle opinioni non
hanno mai, nei decenni, incrinato l’esigenza di unità del popolo
italiano, divenuta essa stessa prerogativa della nostra identità. E
dunque avvertiamo la consapevolezza di un comune destino come una
riserva etica, di straordinario valore civile e istituzionale.
L’abbiamo vista manifestarsi, nel sentirsi responsabili verso la
propria comunità, ogni volta che eventi dolorosi hanno messo alla
prova la capacità e la volontà di ripresa dei nostri territori.
Cari
concittadini, la nostra peculiarità nel saper superare le avversità
deve accompagnarci anche oggi, nella dura prova di una malattia che
ha spezzato tante vite. Per dedicarci al recupero di una piena
sicurezza per la salute e a una azione di rilancio e di rinnovata
capacità di progettazione economica e sociale. A questa impresa
siamo chiamati tutti, istituzioni e cittadini, forze politiche, forze
sociali ed economiche, professionisti, intellettuali, operatori di
ogni settore.
Insieme
possiamo farcela e lo stiamo dimostrando.
Viva
l’Italia! Viva la Liberazione! Viva la Repubblica!»
Fonti: ministeriali, ufficiali e di pubblico dominio
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