lunedì 26 maggio 2014

Il sepolcro vuoto di Mario Vergara

Il fiume Salween
E’ una metafora temeraria che si può giustificare nella visione soprannaturale della vita che ci viene donata dalla fede nel Signore risorto; nella luce pasquale di una beatificazione ormai celebrata.    

Nel Cimitero del paese natio c’è un ‘sepolcro vuoto’.

E’ il sepolcro che fu dedicato nel 1953 a Padre Mario Vergara nel luogo più elevato della Cappella della antica ‘Congrega dei Preti per i casi morali’ di Fratta.


C’è scritto sulla lapide:

Che importa se qui o in Birmania
le sue ossa disperse non abbiano più sepoltura?
Glorioso vivente tra i morti
egli attende
dopo la visione di Dio
l’osanna di tutta la Chiesa

In queste parole si avverte prima l’orante amarezza del Salmo 78:

SALMO 78, 1-5. 8-11. 13    Lamento per la distruzione di Gerusalemme

O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni, †
hanno profanato il tuo santo tempio, *
hanno ridotto in macerie Gerusalemme.

Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi
in pasto agli uccelli del cielo, *
la carne dei tuoi fedeli agli animali selvaggi.

Hanno versato il loro sangue
come acqua intorno a Gerusalemme, *
e nessuno seppelliva.

Poi si avverte anche il gaudio della speranza e della luce beata della memoria di un santo. D’altra parte è la stessa speranza espressa da padre Mario in una lettera del 1946 al suo amico Angelo Perrotta:

Il Signore ha voluto che io ti potessi  scrivere ancora, perché è mancato poco tu non leggessi il mio necrologio in qualche rivista missionaria. Il 6 giugno qui a Calcutta ho dovuto consegnare alla terra, in attesa della risurrezione finale,  il mio rene destro…

Padre Mario Vergara
Il corpo non c’era nel sepolcro preparato per Mario; ma c’era l’immagine del suo volto e della sua vita. Il volto e la vita che si affacciarono subito alla mente dei suoi confratelli; e lo descrissero nel foglietto commemorativo subito dopo la sua morte. Iniziava con l’antifona evangelica “Perché cercate un vivente tra i morti” (Lc 24,5) e continuava: 

Dove mai correva quel ragazzo dai grossi occhi luminosi in un volto di antico crocifisso… C’è forse qualcuno che saprà narrare in sedici canti… le sedici tappe dell’oscuro ma glorioso cammino di Mario in Birmania?
In attesa che venga, noi oggi non ci saziamo di vedere Mario nella luce del martire di Cristo; e se degli infelici credettero di spegnere un’idea, uccidendo barbaramente un corpo che mai nulla aveva serbato per se, noi che quel corpo non vedemmo più da quando la nave lo portò lontano, vediamo invece la sua anima levarsi gigante tra noi in una luce che gli anni non sperderanno, messaggera di un giorno nuovo.

C’è stato poi più di qualcuno che ha saputo narrare quegli oscuri 16 anni del cammino missionario di Mario.
Lo hanno fatto subito dopo la morte il beato padre Paolo Manna da Ducenta e gli altri padri del PIME operanti in Birmania sui luoghi del martirio (Pasquale Ziello, Igino Mattarucco, Pasquale Anatriello).
Lo ha fatto padre Ferdinando Germani con la sua fondamentale biografia; Mons. Angelo Perrotta con le lettere dell’amico lontano; padre Piero Gheddo con i suoi racconti missionari; un poco anch’io con l’agiografia della Missione più bella; don Lorenzo Costanzo con la tesi di Magistero, il prof. Ulderico Parente con la sua ricerca storica.
Lo ha fatto la carità della Basilica di San Sossio e del suo rettore Mons. Sossio Rossi. Lo ha fatto la Chiesa del Myanmar, la Postulazione, i Convegni Storici, le Veglie di Preghiera.
Lo ha fatto Papa Francesco con il decreto della beatificazione di padre Mario e di Isidoro catechista.
In preparazione alla beatificazione in Cattedrale celebrata il 24 maggio 2014 dal cardinale Angelo Amato, lo hanno fatto nell’incontro spirituale del clero diocesano di Aversa, con le loro relazioni, Mons. Pasquale Cascio, padre Vito del Prete, ed il pastore Mons. Angelo Spinillo. 
Ci viene restituito un corpus letterario e bibliografico, di opere e di fede, di grande significato religioso ed ecclesiale.

Monti di Shadaw
In questa restituzione c’è sicuramente anche l’immagine del paese della grande compassione, che è la Birmania del Buddismo. La stessa compassione che prese la coscienza di Mizushima, il soldato giapponese che, alla fine della guerra, volle rimanere in quella terra nelle vesti del bonzo itinerante per poter dare degna sepoltura ai tantissimi caduti che marcivano insepolti sui campi di battaglia.
E’ la storia narrata nel bel film del 1956: L’Arpa Birmana, che ci consola un poco sulla sorte di quel “corpo barbaramente ucciso” e onorato nel sepolcro vuoto di Frattamaggiore. La storia si conclude con le parole scritte nella lettera ai commilitoni che tornavano in patria:

Mizushima
E la luce m'illuminò i pensieri. Nessun pensiero umano può dare una risposta ad un interrogativo inumano. 
Io non potevo che portare un poco di pietà dove non era esistita che crudeltà. 

Quanti dovrebbero avere questa pietà? Allora non importerebbe la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana. 

Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine. Per questo, ho chiesto al bonzo che mi salvò dalla morte sul colle del triangolo di affidarmi la cura dei morti insepolti. […]

Quando vidi i morti giacere insepolti, preda degli avvoltoi, della dimenticanza e dell'indifferenza decisi di rimanere perché le migliaia e le migliaia di anime sapessero che una memoria d'amore le ricordava tutte ad una ad una. 

Arpa birmana
Passeranno gli anni, tanti anni prima che io finisca e, allora, se mi sarà concesso tornerò in patria, forse non tornerò più, la terra non basta a ricoprire i morti.

Miei cari amici, io so che voi siete in grado di comprendermi e ve ne sono riconoscente. Vi scrivo dal monastero durante la notte […]

Addio amici che tornate in patria, vi confesso che non finirei mai di poter dire addio. Grazie per avermi tanto cercato, amici. Io vi ringrazio con tutto il mio cuore commosso. Io sarò qui in Birmania quando nevicherà e i monti nasconderanno la croce del sud e quando avrò sete di ricordi, quando avrò nostalgia di voi suonerò di nuovo la mia arpa.


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