Sono le parole, tra le altre, usate dal Presidente Mattarella, nel suo discorso ai giovani studenti di Casal di Principe, per delineare un tratto della personalità del sacerdote vittima nel 1994 della criminalità locale.
Mattarella le ha pronunciate il 21 Marzo scorso in occasione della celebrazione della “Giornata della Memoria e dell’Inpegno in ricordo delle vittime delle mafie”. Una giornata durante la quale il Presidente della Repubblica ha incontrato Autorità civili e religiose, ha reso omaggio alla Tomba di don Diana, ha incontrato nella palestra dell’Istituto Comprensivo Guido Carli gli studenti e i docenti delle scuole superiori, ed ha visitato la sagrestia della Chiesa di San Nicola ove il sacerdote fu ucciso.
Leggiamo dal testo del discorso pubblicato su portale della Presidenza della Repubblica:
Don Peppino era un uomo coraggioso, un pastore esemplare, un figlio di questa terra, un eroe dei nostri tempi, che ha pagato il prezzo più alto, quello della vita, per aver denunciato il cancro della camorra e per aver invitato le coscienze alla ribellione.
Don Diana aveva compreso, nella sua esperienza quotidiana, che la criminalità organizzata è una presenza che uccide persone, distrugge speranze, alimenta la paura, semina odio, ruba il futuro ai giovani.
Usava parole “cariche di amore” come ha detto poc’anzi Maria. Parole chiare, decise, coraggiose. Dopo l’uccisione di un innocente disse: “Non in una Repubblica democratica ci pare di vivere ma in un regime dove comandano le armi. Leviamo alto il nostro No alla dittatura armata”.
È esattamente così come diceva. Le mafie temono i liberi cittadini. Vogliono persone asservite, senza il gusto della libertà.
Le mafie sono presenti in tutte le attività più turpi e dannose per la comunità: la prostituzione, il traffico di esseri umani, di rifiuti tossici, il caporalato, il commercio di armi, quello strumento di morte che è la droga, lasciando nel territorio povertà e disperazione.
Oltre a reclamare una maggiore e più efficace presenza dello Stato, Don Diana aveva rivolto il suo forte e accorato appello al coraggio e alla resistenza, per liberarsi dalla camorra, proprio ai suoi parrocchiani, ai cittadini, alla società civile, alle coscienze delle persone oneste.
Aveva capito che la mafia è anche conseguenza dell’ignoranza, del sottosviluppo, della carenza di prospettive, e che quindi la repressione – indispensabile - non è sufficiente e che la mafia si sconfigge definitivamente sviluppando modelli fondati sulla legalità, sulla trasparenza, sulla cultura, sull’efficienza della macchina pubblica.
Per tutti questi motivi, care ragazze e cari ragazzi, la lotta alle mafie riguarda tutti, ciascuno di noi. Non si può restare indifferenti, non si può pensare né dire: non mi riguarda. O si respingono con nettezza i metodi mafiosi o si rischia, anche inconsapevolmente, di diventarne complici.
Battere la mafia è possibile. Lo diceva Giovanni Falcone: «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine».
Casal di Principe lo ha dimostrato. L’efferato omicidio di Don Peppino Diana è stato un detonatore di coraggio e di volontà di riscatto. Ha prodotto un’ondata di sdegno, di partecipazione civile, una vera battaglia di promozione della legalità.
Il discorso sul portale del Quirinale
Una pagina diocesana dedicata a Don Diana
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